A cura del dott. Stefano Del Priore.
Il mundus Cereris rappresenta sicuramente una delle estrinsecazioni sacrali più oscure e antiche dell'intera religione romana, seppur probabilmente influenzata da tradizioni di origine etrusca ed ellenica. Per tre giorni l'anno, ovverosia il 24 agosto, il 5 ottobre e il 8 novembre, la fossa circolare posta nel santuario di Cerere, la greca Δημήτηρ-Demetra, era spalancato e dunque fungeva da collegamento diretto con il mondo sotterraneo, l'Ade, il mundus ctonio nel quale dimoravano gli Dei Mani, le anime dei defunti. La forma circolare della fossa era volutamente plasmata affinché ricordasse la volta del Creato e l'Universo, seppur un'interpretazione assai interessante vede in essa un utero rovesciato, posto alla convergenza degli assi cittadini di decumano e cardo, dunque nel cosiddetto "centro di potere" ove sarebbe sorto l'abitato, rappresentando dunque un ideale congiungimento tridimensionale tra il celeste Macrocosmo, il terreno Mesocosmo e lo ctonio Ipocosmo, percepito come l'utero della Grande Dea Madre, della quale Cerere altro non era che una delle innumerevoli incarnazioni. Quando la Terra apriva spontaneamente i suoi antri verso le proprie profondità, tale accadimento era inteso come una terribile calamità, alla quale venne posto rimedio solo con l'estremo sacrificio, ad esempio, del leggendario cavaliere romano Curzio: l'accesso alle profondità scavate da mano umana, dunque, era strettamente controllato e vigilato, risultando possibile solo nelle tre date sopraindicate; in tali occasioni si verificava quindi il Mundus Patet, "il mundus è aperto". La nozione del mundus è sicuramente una delle più controverse e dibattute manifestazioni della religione romana arcaica, sembrando a noi studiosi che gli antichi autori abbiano mescolato, nel narrarlo, molteplici ed eterogenee tradizioni. Occorre precisare sin da subito che non tutte le fosse e i luoghi di culto ctonii possono arrogarsi il diritto di esser definiti mundi: l'altare del Dio Conso ubicato presso il Circo Massimo, argomento trattato in un precedente articolo concernente la festività romana dei Consualia (per chi volesse approfondire l'argomento https://www.archeotibur.org/p/blog-page_9.html), pur essendo posizionato sottoterra appartiene ancora alla dimensione umana e quindi superficiale, nonostante la sfera d'influenza della divinità si estrinsechi nella conservazione del grano nei sili ipogei. Nello specifico, possiamo affermare con un certo grado di sicurezza che il termine mundus fosse applicabile a due tipologie di situazioni: nel primo caso abbiamo l'ecista dell'Urbe, il Gemello Divino Romolo, che una volta tracciato il sacro Pomerium gettò in una fossa, sigillata per l'eternità, tutte le primizie considerate buone e sante secondo il criterio naturale, aggiungendovi una manciata di terra natìa di ognuno dei suoi sodales; siamo di fronte a un classico caso di consacrazione su tre livelli: iperuranici con il tracciamento del confine sacro, terreni con l'offerta delle primizie e terra e ipogei con il seppellimento delle suddette.
La fondazione di una città rappresentava l'atto sacro e regale per
antomasia e ogni accorgimento possibile doveva esser messo in pratica affinché
il nuovo insediamento potesse nascere sotto i migliori auspici di prosperità,
forza e ricchezza. Il secondo caso da analizzare, concernente il mundus,
era una fosse, o più di una, fungente da collegamento diretto con il mondo
sotterraneo, dimora degli antenati e delle anime dei defunti: la principale di
esse, probabilmente, era ciò che veniva chiamato mundus Cereris, il
passaggio che conduceva direttamente nell'utero ctonio della Grande Dea
Madre. Di ciò abbiamo un esempio
estremamente interessante a Capua, dove sappiamo dell'esistenza di un sacerdos
Cerialis mundalis e, al di fuori d'ogni ragionevole dubbio, era definito in
Sacro Cereris, quindi localizzato presso un luogo di culto dedicato alla
Dea. Secondo il grande grammatico romano Sesto Pompeo Festo, nel momento
in cui gli arcani della religione degli Dei Mani erano rivelati, e dunque
portati alla luce conseguentemente all'apertura del mundus Cereris, non
si attaccava battaglia con i nemici, era vietato mobilitare truppe, tenere
comizi e, in generale, si evitava di cimentarsi in qualunque attività
ufficiale, se non in casi di estrema necessità. Da ciò possiamo dedurre, seppur
nel corso del tempo il rituale modificò le proprie costumanze e probabilmente i
veti si addolcirono rispetto al costume arcaico, un carattere eminentemente
purificatorio e soterico, prodromo alla preparazione di successivi eventi sacri
previsti dal calendario romano: uno dei molti significati assunti dal termine,
oltre a quello ben analizzato atto a designare le infere regioni del creato,
era correlato al "purificare" e "sanare, mondare" e le
consonanti m-n-d sono relazionabili alla radice della parola in
lingua indoeuropea, significane "utero" e "bocca". Essendo
un rito prettamente purificatorio, il mundus patet possedeva in sé la
valenza di un momento iniziatico, poiché la mondazione è il passo necessario e
precorritore precedente l'inizio di una rinnovata esistenza, facente parte
dell'eterno ciclo di nascita, vita e morte così superbamente manifestato nei
culti di matrice agraria entro i quali la Dea Δημήτηρ-Demetra recitava
giustamente un ruolo preponderante poiché essa, originariamente, presiedeva non
solo alla rigogliosità delle messi e alla fecondità umana bensì anche ai
fenomeni tellurici, come Tellus Mater, e al mondo ipogeo dei morti nella
sua ambivalenza madre/figlia con Περσεφόνη-Persefone: la valenza ctonia
con forti connessione agricole del mundus diviene facilmente
dimostrabile focalizzando l'attenzione su di una delle tre date nelle quali
esso diveniva patet, ovverosia il 24 agosto; tale data fungeva da
vigilia alla celebrazione degli Opiconsiva del 25 agosto, festività che
consacrava la messa in sicura, al riparo, dei raccolti estivi in previsione del
rigido inverno.
Non bisogna, in ogni caso, lasciarsi traviare dalla lettura
superficiale ed errata con la quale spesso, al giorno d'oggi, si tende a
contestualizzare il mundus Cereris, banalizzandolo e appiattendolo su
tradizioni di matrice assai differente (anch'esse vittime di interpolazioni
moderne assai discutibili): non si trattava, stricto sensu, di una
massiccia fuoriuscita delle anime dei morti come invece accadeva durante i Feralia
al culmine della stagione invernale in febbraio (di cui gli antichi romani
conservavano un funesto ricordo causato da una loro dimenticanza: essendo
impegnati in guerra, trascurarono di celebrare riti e recare offerte alle tombe
degli antenati con il risultato che essi, adirati, emersero dai luoghi di
sepoltura urlando e gemendo, vagabondando per le strade della città e
tormentando i vivi) quanto, piuttosto, di una sorta d'esposizione, alla luce
del sole e dunque visibile, di segreti oscuri e arcani difficilmente determinabili
allo stato atuale delle nostre conoscenze. La celeberrima frase di Varrone,
conservata in Macrobio, purtroppo non aiuta granchè a diradare le fitte nebbie
che avvolgono questa festività tanto arcaica quanto affascinante: "Mundus
cum patet, deorum tristium atque inferum quasi ianua patet", la quale
tradotta significa "Quando il mundus è aperto, è come se una porta fosse
spalancata per i dolenti Dei degli Inferi", senza suggerire nessun altra
indicazione né accennare minimamente a quanto accadesse al di là di quella
misteriosa soglia di confine, lasciando però forse intendere il carattere
consolatorio di altre ritualità specificamente rivolte agli spiriti
dell'aldilà, come i sopracitati Feralia. Possiamo quindi immediatamente
comprendere come la recente costumanza di associare la festività di Halloween,
la celtica Samhain, al romano mundus Cereris sia priva di qualsivoglia
ragion logica, dettata perlopiù da una mediocre conoscenza della religiosità
delle due civiltà in oggetto (per un ulteriore approfondimento, si rimanda
all'articolo "Le Origini di Halloween" al seguente
indirizzo https://www.archeotibur.org/p/le-origini-di-halloween.html).
Una forte somiglianza con il mundus Cereris invece, la si
può celermente riscontrare con il rito propiziatorio, apotropaico e ctonio
messo in atto da Ὀδυσσεύς-Ulisse all'ingresso di Ade, nel IX libro
dell'omerica Odissea: lo scaltro figlio di Laerte, dopo esser rimasto
ospite della potente maga Circe per circa un 1 anno, si accinse a
intraprendere la κατάβασις-catabasi nel regno dei morti, ovverosia la
discesa in Ade da vivi (motivo topico della letteratura ellenica, di cui
conosciamo diversi esempi: Eracle, Orfeo, Ulisse, et
similia). Odisseo non s'addentrò nelle oscure e tetre distese dell'oltretomba
ma, arrestatosi sulla soglia di essa, scavò una fossa che colmò con latte,
miele, vino dolce, acqua e con il sangue di un montone e una pecora sacrificali
evocando così le ombre dei suoi compagni caduti durante la guerra di Troia, di
sua madre Anticlea, morta di dolore a causa della lunga assenza di suo
figlio da casa, e del leggendario indovino cieco Tiresia, che presagì
all'eroe un difficoltoso e funesto ritorno alla natìa Itaca.
Ulteriori punti di contatto possono essere ravvisati con la
celebrazione degli ellenici Ἐλευσίνια Μυστήρια-Misteri Eleusini,
primordiale rito agrario di purificazione, morte, rinascita e sublimazione
avente luogo nel mese di Antesterione in primavera, con i "Piccoli
Misteri", e nel mese di Boedromione, in autunno tra settembre e
ottobre, con i "Grandi Misteri"; tale festività, nella quale si
celebrava il ratto di Περσεφόνη-Persefone, l'errare disperatamente di
sua madre Δημήτηρ-Demetra con la
natura parimenti in lutto e l'accordo di eguale permanenza di Persefone,
equamente divisa, tra Terra e Ade, rappresentava una ritualità antichissima ed
erede storica di ancestrali culti agrari legati alle grandi Dee Madre, dei
quali si può scorgere l'eco già nella cultura micenea e minoica. L'apoftegma
caratterizzante la più elevata e perfetta sintesi dei misteri eleusini era
racchiuso nella frase mistica: "Ha raccolto in silenzio una spiga di
grano". Gli elementi della fossa circolare scavata in luogo sacro,
delle offerte sacrificali da posizionare sottoterra, il principio funereo delle
anime dei trapassati ci consente di operare un collegamento abbastanza agevole
con il rito romano del mundus Cereris e, a suffragio di ciò, concludiamo
la disamina rammentando ancora una volta le parole di Macrobio il quale
spiega, utilizzando termini e logica squisitamente grecizzanti, che il pericolo
più incombente sarebbe proprio nella
κατάβασις-catabasi ("andare in discesa") piuttosto che
nell'ἀνάβασις-anabasi (“andare in salita”): non sarebbe stato saggio
iniziare una guerra quando il mundus era spalancato, poichè esso era
sacro a Dis Pater e Proserpina, pertanto si considerava più
lungimirante andare a combattere quando la gola di Plutone fosse ben
sigillata. Di più non sappiamo, tantomeno ci è stato tramandato: l'estrema
arcaicità di questa celebrazione, dalle radici antichissime, risultando di
ombrosa interpretazione persino per i dotti cronisti romani che la descrissero
nei loro testi.
Fonti
Bibliografiche:
-George Dumézil, La Religione Romana Arcaica, BUR Biblioteca Universale
Rizzoli;
-Christian Hülsen, Il Foro Romano. Storia e
Monumenti, Torino, Ermanno Loescher, 1905;
-Marco
Terenzio Varrone, Antiquitates;
-Robert
Graves, I Miti Greci;
-Pietro
Tacchi Venturi, Storia delle Religioni;