A cura del dott. Stefano Del Priore.
Amphiàros, Nordisk Familjebok, prima pubblicazione sul Nordisk familjebok, Svezia, 1876-1899. |
L'11 gennaio (ante diem
tertium Idus Ianuarias) si festeggiavano nell'antica Roma i Carmentalia in
onore della ninfa Carmenta, divinità appartenente alla famiglia delle Camene,
ancestrali divinità delle sorgenti, e annoverata tra i Di Indigetes dei
romani a seguito, si narra, delle sua morte, avvenuta alla veneranda età di 110
anni. Fu una figura oracolare arcaicamente intesa come la personificazione
femminile del carmen, di natura probabilmente Una&Trina come la
maggioranza delle Grandi Dee Madri: il Flamen Carmentale, uno dei Flamen
Minor, preposto all'officiazione del suo culto e la coppia di giorni a lei
dedicati sono testimonianza della sua antichissima importanza; in epoche
propriamente storiche, la Dea e il Carmen a lei associato, con funzioni
magico-religiose, erano perlopiù stati privati della loro ancestrale funzione,
nulla più di un pallido eco di ciò che furono. Iconograficamente veniva
rappresenta come indossante, sul capo, una corona di fiori, foglie pennate e
baccelli di fave (vicia faba) tra i lunghi capelli fluenti e avente
un'arpa, strumento profetico con il quale intonava i suoi mantici canti. Originariamente la festività a
lei dedicata cadeva nel solo 11 gennaio ma su richiesta della matrone romane le
quali vollero ringraziare la Dea per aver accolto la loro supplica (il Senato
aveva proibito loro l'uso delle carrozze, allorchè le donne di Roma negarono ai
mariti i piaceri coniugali fino a quando, a causa dei tumulti che si erano
generati, l'assemblea degli anzini capitolini dovette cedere alla loro
richiesta), venne aggiunto un secondo giorno, il 15 gennaio (ante diem
duodevicesimum Kalendas Februarias ).
Evandro dal "Promptuarii Iconum Insigniorum", Guillaume Rouillé Lione, Francia, 1553. |
La Leggenda delle
Origini di Roma fece sua la figura di Carmenta e, probabilmente per via di una
forte ma abilmente sottaciuta influenza ellenica, il potere insito nel nome
della Dea si volse nel nella sfera d'influenza mantica e oracolare.
Nel suo Vita di
Romolo, il dotto storiografo, filosofo e sacerdote Plutarco (Cheronea
46/48-Delfi 125/127 dell'era cristiana), ritenne che l'ipotesi più
plausibile utile alla comprensione del nomen di Carmenta, o Carmentis,
fosse da rintracciarsi nei vocaboli latini Carere (dal verbo "careo"
significante "esser privo di qualcosa, aver perso qualcosa") e Mentem
(da "mens" equivalente a "mente, intelletto, est.
senno"): da ciò ne possiamo ragionevolmente ricavare un'etimologia quale
"[Colei la quale è] priva di senno", un chiaro riferimento alla
possessione divina causante i deliri da intepretarsi come oracoli, quindi una
figura che si colloca nel campo mesocosmico di entità poste tra il Divino e
l'Umano come la Pitia delfica, oracolo del Dio Apollo.
Carmenta venne
tradizionalmente identificata come la Madre, o ben più raramente come moglie, dell'Arcade
Evandro, colui il quale guidò il fiore della gioventù argolide, in fuga
dalla terribile guerra civile che infuriava tra Eteocle e Polinice a seguito
della guerra tebana, sulle coste italiche: il figlio della Ninfa e del Dio Ἑρμῆς-Hermes, tradizionalmente
ritenuto il primo colone del Colle Palatino in Roma, istitutore dei Lupercalia
ed ecista regale della leggendaria città di Pallantia (così denominata in
memoria del figlio Pallante ucciso da Turno, signore dei Rutuli) fu
affiancato nell'impresa dal condottiero della sua flotta, quel Catillo progenie
del mitico eroe-indovino Anfiarao, a sua volta figlio di Oicle di
Tebe, e padre dei tre fratelli Corax, Catillo Iuniore e Tiburno,
quest'ultimo fondatore di Tibur-Tivoli.
Tornando
a Carmenta, essa avrebbe annunciato al figlio Evandro, a conferma delle
sue spiccate virtù profetiche, la futura e soverchiante grandezza dell'Urbe
(nell'Eneide virgiliana, con la nota di Servio, viene sottolineato come,
anticamente, le profetesse fossero definite carmentes), il destino
tragico e glorioso dell'Alcide divino Eracle e, stando alla tradizione,
venne ritenuta l'inventrice dell'alfabeto latino, veicolato poi nelle terre
ausoniche da Evandro assieme al pantheon greco e alle leggi; fu suo figlio ad
erigere in suo onore il Sacellum Carmentalis risalente al periodo
monarchico, ove l'accesso era severamente vietata indossando abiti e oggetti di
pelle, e che aveva dato nome alla Porta Carmentalis ubicata nella valle
incastonata tra le alture di Palatino e Campidoglio, nei pressi
dell'odierno Vico Jugario. A ragione di tutto ciò, Carmenta venne
dunque definita Nympha, in virtù del binomio frequentamente
riscontrabile nel rapporto tra la protezione delle acque e il dono della
mantica: nella pratica, però, durante il periodo repubblicano Carmenta attirò
l'interesse delle donne soprattutto per via di un altro suo potere, quello di
soprintendere alle nascite (altro ambito liminare e ambivalente con quello
legato alle acque, per via di un oggettivo richiamo al liquido amniotico) e,
soprattutto, il già menzionato Plutarco la definì μοῖρα, Dea Fatidica
che governava le nascite umane; a partire da tale, specifica, funzione,
Carmenta passò con il divenire una vera e propria levatrice, come alcuni testi
riportano: stando alle conoscenze attuali non possiamo avventurarci in
ulteriori congetture al riguardo, data la scarsità delle fonti documentali. Un
dato che possiamo invece riportare per certo è che la Dea possedeva due cognomina
cultuali del tutto opposti l'un con l'altro: Antevorta et Postvorta,
ovverosia "Colei che conosce il Passato e il Futuro", il che
lascia agilmente intendere quali fossero i suoi ambiti di dominanza. Secondo Tertulliano
e Varrone tali cognomina erano da riferirsi alle due posizioni estreme
assumibili dal nascituro: ben disposto, con la testa in avanti, o maldisposto,
con i piedi in avanti; secondo Ovidio, Servio e Macrobio,
invece, Antevorta et Postvorta erano piuttosto da intepretarsi come le
"direzioni" nelle quali la veggenza poteva muoversi, passato e
futuro.
Numa
Pompilio, secondo Sovrano dell'Urbe, modificò il calendario romuleo secondo la
tradizione nel 713, aggiungendo i mesi di Ianuarius e Februarius
ai dieci preesistenti: secondo la credenza, i numeri pari erano ritenuti latori
di sfortuna e perciò il mese di Februarius venne deputato alla
purificazione. A fronte di ciò, e considerando che nel calendario civile
pompiliano il mese d'inizio era per l'appunto Ianuarius, si può
ipotizzare che i cognomina cultuali di Carmenta fossero riferibili alla
"posizione specifica" assunta dalla sua festività a seguito della
riforma calendariale: Antevorta guardava all'anno passato, essendo
l'ultimo mese prima del periodo purificatorio di febbraio, mentre Postvorta si
proiettava verso l'inizio religioso del nuovo il quale aveva principio in Martius,
passando prima però attraverso la purificazione in Februarius.
La
profonda incertezza che regna circa queste speculazioni è testimonianza
lampante dell'usura subita dalla Dea nella sua percezione, catapultata in una
forma di religio piuttosto rigida e schematizzata, specchio fedele della
civiltà che l'aveva prodotta, del tutto differente e dissimile dai Tempi
Antichi in cui i vates erano la Voce del Dio in Terra e i loro
incantesimi legge assoluta, a cui oramai erano preferite gestualità rigorose e
formule ben definite.
Fonti Bibliografiche:
-George
Dumézil, La Religione
Romana Arcaica, BUR Biblioteca Universale Rizzoli;
-Plutarco, Vita di Romolo;
-Publio Virgilio Marone, Eneide;
-Servio Mario Onorato,
Commentarii in Vergilii Aeneidos libros;
-Robert Graves, I Miti
Greci;
-Pietro Tacchi Venturi, Storia
delle Religioni;
-Marco Terenzio Varrone,
Antiquitates;
-Ambrogio Teodosio Macrobio,
Saturnalia;
-Publio Ovidio Nasone, Fasti;
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