Benvenuti nel sito ufficiale dell'A.P.S. ArcheoTibur di Tivoli (RM).NUOVO ANNALES VOL. III ANNO IV DISPONIBILE

Le origini del Ferragosto.

A cura del dott. Stefano Del Priore.

Mosaico romano, villa romana del Casale, Piazza Armerina, le "Fanciulle in bikini", IV secolo d.C. 


Il Ferragosto è sicuramente la festività estiva che maggiormente incarna, nell'immaginario odierno, lo spirito dell'estate: falò sulla spiaggia, bagni di mezzanotte, passeggiate e pranzi al sacco, gite fuori porta, riposo e giorno vacanziero per antonomasia. Conosciamo, però, quali sono le origini di tale festività? 

Le origini remote 

Ciò che attualmente corrisponde al nostro "Ferragosto" veniva, presso la maggior parte delle genti del mondo antico, celebrato tra la notte del 31 luglio e il giorno del 1 agosto. Tale data assumeva una forte valenza calendariale in relazione alla precessione stagionale e dell'anno agricolo, sul quale i calendari erano modulati, e che con l'alternanza delle quattro stagioni, ognuna delle quali scandita da una festività posta in prossimità con i periodi d'incrocio della stagione successiva, regolava i cicli vitali e temporali della natura e delle attività umane, l'una in stretto contatto con le altre. Un esempio di ciò lo abbiamo nella festività celtica di Lughnasadh, dedicato al Dio della Luce Lugh, la quale era celebrata per l'appunto tra la notte del 31 luglio e il 1° di agosto: significante "matrimonio di Lugh" o "Festival di Lugh" consacrava la riunione tra i vari clan e la raccolta delle messi. La festa simboleggiava il sacrificio del Dio Lugh, nella sua ipostasi (manifestazione) del grano: nel suo ciclo di morte, per fornire nutrimento e sostentamento alla popolazione, e rinascita, il grano veniva percepito come uno degli aspetti del Dio Sole, che i Celti identificavano nel Dio Lugh. Si trattava dunque, sostanzialmente, di un ringraziamento per il pane come primo "rappresentante" tra i frutti del raccolto. Tali festività legate all'anno agricolo erano comuni a moltissime civiltà del passato quali latini, elleni, celti, germani et similia. 

Il Ferragosto nel mondo romano e Cristianesimo 

Il termine "Ferragosto" deve la sua origine alla locuzione latina "Feriae Augusti", traducibile in "Riposo di Augusto", ovverosia una festività istituita dall'Imperatore Ottaviano Augusto, nel 18 a.C., la quale andava ad aggiungersi alle festività già presenti quali i Nemoralia, le festività notturne rallegrate da torce e fiori in onore di Diana Nemorense nel suo aspetto di Luna Piena d'agosto nei giorni 13-15 del mese, i Vinalia Rustica o Altera, celebrati in onore di Venere e Giove il 19 agosto dalle popolazioni del Latium durante i quali un Flamen Dialis sacrificava un agnello a Giove al fine di propiziare un'opulenta vendemmia e i Consualia, importanti festività celebrate il 21 di agosto e il 15 dicembre sacre al Dio Conso e alla sua sposa Consiva i quali proteggevano granai, raccolti e presiedevano alla fertilità della terra. Le Feriae Augusti simboleggiavano il riposo, dovendo in parte la loro origine alle sopracitate Consualia durante le quali si celebrava la fine del raccolto, dei lavori agricoli e la gratitudine dei lavoratori verso i loro padroni, con i primi auguranti felicità e benessere ai secondi. In tutto l'Impero era consuetudine organizzare corse di cavalli mentre gli animali da tiro come buoi, muli e asini venivano agghindati di fiori e dispensati dal duro lavoro nei campi. In tal senso il Ferragosto ampliava il periodo di festività estendendolo de facto all'intero mese: tutto ciò era ritenuto necessario poiché il corpo si ristorasse dalle lunghe fatiche dovute all'estenuante lavoro nei campi sostenuto nelle settimane precedenti e asserviva allo scopo di autocelebrazione che ogni imperatore non doveva trascurare. Tale, lungo, periodo di riposo e celebrazioni era detto anche Augustali.

E' plausibile ritenere dal 21 a.C. le Feriae Augusti cambiarono denominazione in Feriae Augustales, riunendo in un unico festeggiamento tutte le celebrazioni del mese. Originariamente la festività era celebrata il primo giorno di agosto al pari del Lughnasadh celtico con il quale condivideva il significato più profondo ma, successivamente, venne spostata al 15 del mese tale da far combaciare la celebrazione con l'assunzione in cielo della Vergine Maria: come scritto poco sopra, il 15 di agosto era il giorno culminante dei Nemoralia, le festività in onore della Dea Diana nel suo aspetto di Luna Piena. In onore della Dea Ἄρτεμις-Diana si festeggiavano i Nemoralia, le festività notturne rallegrate da torce e fiori in onore di Diana Nemorense nel suo aspetto di Luna Piena d'agosto nei giorni 13-15 del mese, presso il lago di Nemi, la selva circostante e il grande Santuario di Diana Nemorense a lei consacrato (per approfondire l'argomento sulla struttura sacra, consultare l'articolo "Il Santuario di Ercole Vincitore e i grandi Santuario Repubblicani, a cura di Christian Doddi Vicepresidente di ArcheoTibur https://www.archeotibur.org/p/il-santuario-di-ercole-vincitore-tivoli.html)
L'istituzione della Beata Assunzione, celebrazione cristiana nata attorno al V secolo d.C. e quindi ben più tarda delle tradizioni di cui sopra, defraudò dunque le antiche festività privandole del loro significato originario, una profonda connessione biunivoca tra Uomo e Natura, riducendo la giornata di "Ferragosto" ad una pallida eco di ciò che realmente fu invece nel passato: un'ode alla vita, alla rinascita, al raccolto e al giusto riposo.


I Nemoralia


Le celebrazioni dei Nemoralia occupavano tre giorni, dal 13 al 15 di agosto, e inizialmente furono con una festività propria delle genti appartenenti alla Lega Latina che a lungo si oppose a Roma: le ritualità si svolgevano presso il grande Santuario di Diana Nemorense, ubicato lungo le sponde del lago di Nemi e attualmente in rovina. Le ritualità erano di tipo annuale e avevano inizio durante le Idi di Agosto presso l'Ara della Dea in Aricia, odierna Ariccia, una data che commemorava la fondazione del centro abitato in un passato mitico, infatti se l'istituzione ufficiale di questi riti può essere datata storicamente almeno al III secolo a.C. con la diffusione del culto di Diana a Roma, echi ancestrali sembrano affondare la memoria a un periodo precedente al VI secolo: le cerimonie prevedevano lunghe processioni notturne di fedeli sorrettenti fiaccole, torce e addobbi floreali; i pellegrini che si dovevano spostare dalla sponda settentrionale e meridionale del bacino potevano farlo viaggiando su piccole imbarcazioni illuminate dalla luce delle lanterne, similari a quelle utilizzate dalle Vergini Vestali durante le sacralità dedicate a Vesta (non sono rari i ritrovamenti archeologici di questi oggetti, alcuni recanti l'effige della Dea Diana sulle sponde del lago di Nemi). Il primo giorno della festa, cadente durante le Idi di Agosto, le donne si recavano in processione inoltrandosi nel bosco sorreggendo delle torce, come segno di ringraziamento per i servigi resi (Ovidio, Fasti, III, 263; Sesto Properzio, Elegie, II, XXXII, IX): nei profondi recessi della macchia sgorgava una fonte alle cui acque presideva una ninfa avente nome Egeria1 (il Dumézil ne fa derivare il teonimo dal vocabolo e – gerere, da riferirsi alla liberazione delle partorienti), la cui potestà era oggetto di sacrificio da parte delle donne partorienti desiderose di assicurarsi una felice nascita; era infine presente un Genius Loci maschile dall'enigmatica natura di nome Virbio, tradizionalmente ritenuto il primevo Rex Nemorensis. nel quale successivamente fu vista la trasfigurazione dell'ellenico Ippolito2: questo complesso di tradizioni deve certamente risalire a un'antichissima preistoria, dalle cui remote profondità i riti si tramandarono stratificandosi gli uni sugli altri, modificandosi e assorbendo via via elementi propri di altri culti. Nel I secolo il poeta romano Publio Papinio Stazio (Neapolis, odierna Napoli, 45 – 96) descrisse con queste parole la festività delle Nemoralia:


"È la stagione in cui la parte più cocente dei cieli sovrasta la terra e prende possesso del suolo, e Sirio, della costellazione del Cane Maggiore, scosì spesso colpito dal sole di Hyperio, brucia i campi ansimanti. È questo il giorno in cui il boschetto di Ariccia, grato ai re fuggitivi, diventa di fumo, e il lago, sapendo della colpa di Ippolito, brilla del riflesso di una moltitudine di torce; Diana stessa agghinda di ghirlande i cani da caccia che lo meritano e ripulisce la punta delle frecce e lance, e concede, agli animali selvatici, di stare al sicuro, e tutti gli Italiani dal focolare virtuoso celebrano le Idi Hecateane." (Silvae, III,I, LII-LX).


Nelle parole del cantore si percepisce chiaramente la celebrazione della triplice natura della Dea attraverso la divisione operata tra il Divino (Sirio, la Stella – Segugio), il Terreno (il Sacer Lucus del Rex Nemorensis) e il Mondo Ctonio (con la terrificante Dea Ἑκάτη – Hecate, Signora della Luna nel suo aspetto funereo, dei morti e degli spettri), specificando anche che nessuna caccia era autorizzata durante la celebrazione di questi giorni sacri: i segugi rivestivano un ruolo di una certa preponderanza nel culto artemideo, rappresentando la protezione e la fedeltà che la Dea donava a coloro i quali decidevano di porsi sotto la sua protezione. Gli animali, impreziositi di ghirlande floreali, partecipavano alle celebrazioni invece di esser impiegati nelle loro consuete attività venatorie, a ribadire che alcuna caccia fosse autorizzata in quel particolare lasso temporale: la protezione che la Dea garantiva, secondo Stazio, era esemplificata anche dal suo ruolo di garante per gli schiavi che nei suoi templi cercavano rifugio sicuro. La triplice natura della Dea e la sua associazione con l'astro Selenico, però, sono di epoca ben successiva rispetto alla primeva caratterizzazione: Selene rappresentava la Luna nel suo aspetto uranico e pieno, ArtemideDiana possedeva le regioni terrene e la Luna ascendente dove Hecate simboleggiava le regioni infere e la Luna calante, il tutto semplificato nella tripartizione nascita – crescita – morte.3 Altra interessante testimonianza ci giunge da Publio Ovidio Nasone nei Fasti:


Nella valle Arriciana,

c'è un lago circondato da foreste ombrose,

ritenute sacre da una religione fin da tempi antichi...

Su un lungo recinto siepe appesi pezzi di fili tessuti,

e iscrizioni assieme

aggraziatamente posti qual doni alla Dea.

Spesso una donna le cui preghiere sono state ascoltate da Diana,

con una corona di fiori a coprire il capo,

cammina da Roma portando una torcia accesa..

Lì un ruscello fluisce gorgogliando dal suo letto roccioso...",


mentre Properzio, pur non avendovi partecipato direttamente potè osservarlo da vicino, immortalando le sue emozioni con questi versi dedicati alla sua amata:


"Se solo potessi raggiungermi nelle ore di festa.

Ma oggi non possiamo incontrarci

ti vedo correre in frenetica attesa, con una torcia accesa

al boschetto di Nemi dove

porti la luce in onore della dea Diana"




La Di - Ana onorata dai Latini sembrerebbe ricalcare quella tipologia di Divinità maschile che per gli Indoiranici e gli Scandinavi era invece di sesso maschile, ovverosia una figura garante della sovranità nel Regnum e guardiana delle nascite, Sovrana ella stessa ma che non pone in essere questa condizione per sé; tale fenomeno di paredria al femminile è attestato in numerosi altri esempi sul territorio italico. In Roma, a seguito della traslazione del culto nell'Urbe, il Santuario principale era l'Aedes Dianae in Aventino, la cui fondazione viene fatta risalire a Servio Tullio e non vi sono elementi contrastanti per dubitare che tale istituzione fosse effettivamente così antica, seppur una corrente di pensiero ritiene che le cronache storiche furono sistemate ad hoc anticipando determinati eventi, procedura non rara adotttata dagli annalisti quando si trovarono a dover scrivere dell'antico periodo monarchico. In questo luogo di culto la Dea conservava i suoi due aspetti che ne caratterizzarono la figura in Aricia, quello fecondante e quello meramente politico scevro però della cruente costumanza del Rex Nemorensis. La singolarità di questa sacralità, diffusa praticamente su tutto il territorio della penisola, deriva anche dall'esser successivamente stata celebrata in Roma nel tempio di Diana sull'Aventino4, fatto apparentemente anomalo data la sua provenienza esterna. Diana, nonostante il suo nome latino, fu una divinità non romana giunta nell'Urbe dalle vicine popolazioni del Lazio, nonostante non si possa affermare con esattezza quando ciò avvenne (a dispetto della ricchezza di particolari che le cronache delle origini ci hanno donato), seppur possiamo invece stabilire con certezza la ragione di tale assorbimento: le agitazioni guerresche e politiche che portarono Roma in una posizione di indubbia supremazia nei confronti dell'oramai capitolata Lega Latina. Il già menzionato Santuario di Diana Nemorense era la più importante struttura cultuale a lei dedicata e fungeva da centro confederale per le genti laziali. Il suo nome, un tempo scandibile come Diviana, trova la sua radice nell'aggettivvo dius/dium (“spazio celeste” o “luce [del giorno] in riferimento forse ai raggi che penetravano nelle fronde boschive delle selve a lei sacre) e il suo Santuario ancora s'erge sulla riva di un lago montano, l'ancestrale Speculum Dianae, immerso in un bosco al quale dovette il suo nome consueto, “Diana Nemorensis”: il suo sacerdote portava il titolo di Rex Nemorensis (Svetonio, Caligola XXXV, III) e un'ancestrale costumanza rendeva quantomeno labile la sua posizione poiché chi desiderava la regalità doveva uccidere il Rex in carica, dopo aver spezzato un ramoscello di un particolare albero del sacro bosco5. L'Italica Diana, la cui originaria natura dovette essere d'immacolata vergine poiché fu per sincretismo facilmente associata all'ellenica Ἄρτεμις – Ártemis, estendeva però la sua sfera d'influenza anche su nascite e bambini, dato che gli scavi hanno portato alla luce una quantità di ex voto suscepto il cui significato lascia ben poco spazio a dubbi: immagini di organi sessuali femminili e maschili, statutine di madri con infanti e donne vestite con l'abito aperto sul davanti6. Altri metodi utilizzati per porgere la propria richiesta alla Dea consistevano nello scrivere dei messaggi legandoli ai rami degli alberi o all'altare nel bosco, statuine fatte di pane indicanti la parte malata che si desiderva guarisse, sculture miniaturizzate di cervi (animale sacro a Diana), offerte di frutta e in particolar modo di mele, danze e canti rituali; Hecate, parimenti, era oggetto di offerte propiziatorie consistenti per lo più in aglio. Essendo le ritualità divise in tre fasi, è altamente probabile che il primo giorno rappresentasse la discesa di Diana in Ade alla ricerca dell'anima di Ippolito, il secondo l'ascesa vittoriosa verso le regioni celesti quale splendente regina e il terzo il ritorno sulla Luna (celebrazioni dai caratteri similari sono riscontrabili, a onor del vero, anche per Divinità quali Demetra e Isis, figure con le quali spesso Diana era associata. Il 13 agosto, in occasione del suo Dies Natalis aricino, le donne romane si acconciavano i capelli con estrema cura e si lavavano la testa (Plutarco, Questioni Romane, C) ed è assai probabile, come anticipato nella prima nota di questo paragrafo, che l'Egeria situata nel bosco delle Casmenae la quale fu ispiratrice e amante del secondo Monarca di Roma Numa Pompilio, altro non fosse che la traslazione dell'Egeria un tempo risiedente nel fronzuto bosco che adombrava i tondeggianti declivi bordanti il lago di Nemi, giunta in Roma assieme alla sua divina patrona: un'iscrizione epigrafica, tanto antica quanto autentica, il tempio era considerato commune Latinorum Dianae templum (Varrone, De Lingua Latina, V, XLIII) e Servio Tullio, servendosi della sua notoriamente persuasiva abilità oratoria, avrebbe dunque convinto le genti Latine a riconoscere, tramite il sopracitato atto di fondazione, Ea erat confessio caput rerum Romam esse, de quo totiens armis certatum fuerat7 (Livio, Ab Urbe Condita, XLV, III). Diana, sostanzialmente, era garante di sovranità seppur diffentemente da Giove e la prova di ciò viene da un aneddoto narrato da Livio poco dopo: nella stalla di un sabino era nata una giovenca straordinariamente bella e di notevoli dimensioni, allorché gli indovini predissero che chi avesse immolato la bestia a Diana, avrebbe di conseguenza spgarantito la supremazia alla sua città di appartenenza, “Ibi fore Imperium”. Il sabino, gaudente per questa lieta novella, immediatamente si mise in viaggio verso Roma verso il Tempio sull'Aventino: l'officiante, però, essendo un buon cittadino romano e avendo avuto sentore della profezia mandò il sabino a purificarsi con abluzioni presso le sacre acque del Tevere e nel mentre s'affrettò a sacrificare egli stesso la giovenca alla Dea. Non sappiamo dire il perchè la Dea, garante di sovranità, fosse tanto cara agli schiavi (nonostante anche le interpretazioni di Stazio, come analizzato in precedenza): la spiegazione fornita dagli antichi in tal senso sembra in effetti possedere una sua logicità, dato che il fondatore del culto romano fu proprio quel Servio Tullio figlio di Ocrisia, nobildonna di Corniculum8 resa schiava durante la distruzione della sua città a opera di Tarquinio Prisco, per quanto ai nostri occhi appaia de facto priva di fondamento e frutto di un'artificiosa revisione volta all'affermazione di un determinato messaggio politico. Sembra invece essere più convincente la teoria secondo la quale essendo ella una Divinità “straniera”, la prima introdotta a Roma, gli schiavi si sarebbero votati in modo particolarmente devoto a lei, tantopiù che dovevano essere per la maggior parte dei Latini; mi sento di aggiungere però che ciò percepito in Età Imperiale, ossia una decadenza della tradizione con i soli schiavi o plebei quali candidati al sacerdozio del Rex Nemorensis, potrebbe invece rappresentare l'eco di un ancestrale costumanza secondo la quale, a seguito di mitigazione del rito, il Re effettivo fu sostituito da uno schiavo – capro espiatorio, al fine di garantire l'officiazione del Sacro senza richiedere in cambio la vita del Sovrano (cerimonia già incontrata precedentemente nei capitoli dedicati alle Origini del Carnevale, sulla quale torneremo al momento della disamina sulle Origini del Capodanno). In seguito la Diana aricino – romana fu sincreticamente assimilata alla greca Vergine Cacciatrice Ἄρτεμις – Ártemis, grazie alla natura pura e boschiva di quest'ultima (è probabile che un primo segno di ciò sia rintracciabile nel santuario montano di Tifata, nei pressi di Capua): a ogni modo, sin dal IV secolo, Diana era già sufficientemente ellenizzata tale da comparire, assieme a Ercole, nel primo lectisternium collettivo.9 Circa un millennio dopo questa cerimonia, la Vergine cacciatrice sorreggente Virbio tornato a nuova vita e protetta dal Sacro Serpente divenne la base iconografica per la Vergine d'Israele il suo Figlio Divino, mentre il rettile un tempo attributo di saggezza, conoscenza e vita eterna divennne l'Araldo del Male schiacciato dal calcagno della Madonna. Come accadde tutto ciò?



Artemide di Versailles”, marmo, copia romana del II secolo d.C. di un originale greco in bronzo datato al IV secolo circa a opera dello scultore Λεοχάρης – Leocare di Athene; proveniente da Nemi o nei pressi della Villa Adriana a Tivoli, attualmente custodita al Museo del Louvre, Parigi.






La Beata Assunzione della Vergine Maria


L'Assunzione di Maria, madre di Cristo, è un dogma della chiesa cristiana nel quale si enuncia che la donna, al termine della sua vita terrena, venne accolta anima e corpo in Paradiso, in virtù dell'esser stata il tramite tra Dio e il Mondo Umano e poichè colmata dello Spirito Santo sin dal momento del suo concepimento (come abbiamo già avuto modo di analizzare nel capitolo dedicato alle Origini della Pentecoste): le origini di questo culto affondano le radici nel V secolo dell'era cristiana, ai principi della dominazione religiosa del nuovo culto, per quanto nella Bibbia non vi sia la benché minima traccia di questo accadimento. Festa di precetto, riconosciuta dalle chiese cattoliche, ortodosse e ortodosse orientali ma rifiutata dalla maggior parte delle anglicane (solo una minima parte la considera come uno degli adiaphora), è celebrata il 15 di agosto dalle chiese cristiane. Come anticipato poc'anzi, al termine della sua vita terrena Maria venne "assunta" (ergo, trasferita in Cielo anima e corpo) senza che venisse confermata o smentita la tesi della Dormizione10: l'eccezionalità di Maria consiste proprio nell'anticipare la Resurrenzione della Carne, quando alla Fine dei Tempi, durante la Seconda Venuta del Cristo nel Giudizio Univerale, i Giusti saranno ridestati dal loro sonno di morte e accolti in Paradiso con corpo terreno. De facto, è una condizione del tutto differente da quella attribuita ai vari Santi, i quali ebbero accesso alle regioni celesti solamente con la loro anima e giustifica, in seno alla dottrina cattolica, le numerose apparizioni di Maria nel corso dei secoli durante le quali le sue manifestazioni in tutto il mondo sono avvenute tangibilmente, con il corpo terreno palesatosi sulla Terra: a riguardo del differente aspetto ravvisato durante le numerose apparizioni l'opinione della Chiesa consiste nell'affermare che il corpo con il quale i Redenti vivono la beatitudine eterna sia un corpo glorificato, ergo in possesso di caratteristiche intrinseche diverse da quello meramente mortale un tempo posseduto e privo dei legacci di tipo spazio – temporali e fisici o soggetto alla caducità dovuta allo scorrere del tempo. Maria sarebbe l'unica persona assunta in Cielo11, assieme al figlio Gesù, prima della Seconda Venuta, sia grazie all'effusione del Ruah Elohim il giorno dell'Annunciazione sia perchè scevra dal Peccato Originale affliggente invece il resto del genere umano: ciò crea un interessante parallelismo teologico con la successiva, e ben più discussa, dottrina circa l'Immacolata Concezione; nonostante ciò, per quanto possa apparire paradossale, l'ufficializzazione della Beata Assunzione è di circa un secolo più tarda rispetto l'Immacolata Concezione essendo stata proclamata il 1° novembre del 1950 dal Pontefice Pio XII (dove la seconda fu ufficializzata nel 1854 da Papa Pio IX) con queste parole:


"Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la chiesa, per l'autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che:

l'immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo."



Questo discorso rientra perfettamente nella linea di pensiero secondo la quale i dogmi non rappresenterebbero, effettivamente, delle imposizioni dottrinali promulgate per volontà superiore quanto, invece, un'effettiva ufficializzazione di credenze, riti e tradizioni presenti in senso alla Chiesa già da moltissimo tempo, tantomeno la loro proclamazione è avvenuta per modificare o alterare precedenti tradizioni quanto, piuttosto, per difendere quest'ultime da attacchi ritenuti di natura eretica e sovversiva12: la Beata Assunzione, per la verità, non incontrò mai minacce nel corso della sua millenaria storia, per quanto la molla che ne fece scattare la proclamazione può essere individuata nelle ragioni che la critica scientista mosse nei riguardi di ogni sfaccettaura della fede cattolica. Il consolidamente di questa tradizione concernente il singolare episodio risale al V secolo circa e la traccia più antica circa la sua menzione può essere individuata nel Liber Requiei Mariae pervenutoci in una traduzione in lingua etiopica praticamente integro e risalente al IV secolo, per quanto non si possa escludere una sua redazione nel III; ulteriori versioni in lingua siriaca risalgono al V e al VI. Ulteriori fonti provengono dal Transitus Mariae13, a noi noto soprattutto per traduzioni siriache del V – VI secolo14. Queste scritture apocrife cristiane divennero la base per la compilazione del De Obitu S. Dominae attribuito, secondo la tradizione ovviamente tardiva, al Discepolo del Cristo San Giovanni il Teologo (Betsaida, circa 10 – Efeso, 98 d.C. o anni immediatamente seguenti) autore anche dell'Apocalisse: ambedue i testi sarebbero stati redatti sull'isola greca di Patmo. Per quanto la definitiva consacrazione del dogma avvenne nel V secolo, tracce della formazione di questa ideologia possono essere scorte anche nei secoli precedenti, seppur il culto fosse da considerarsi ancora in fase embrionale e non del tutto teorizzato: Efrem il Siro (teologo, scrittore e santo siro; Nisibis, 306 – Edessa, 9 giugno 373) sosteneva che il corpo di Maria non conobbe la corruzione della carne, mentre Timoteo di Gerusalemme (IV secolo) affermò che la Vergine rimase immortale in quanto il Cristo la trasferì stricto sensu nei luoghi della sua ascensione; Epifanio di Salamina (Vescovo e scrittore greco antico, Padre della Chiesa; Eleuteropoli, 315 - 403), invece, prefigurò quanto poi canonizzato nell'iperdulia mariana ovverosia che ella possedeva con la carne, sin dal principio, il Regno dei Cieli in virtù del suo esser colma del Ruah Elohim (lo Spirito Santo o Spirito di Dio, cardine della spiritualità israelitica sin dai giorni antichi, come già analizzato nel capitolo dedicato alle Origini della Pasqua e della Pentecoste) sin dal giorno della Beata Annunciazione dell'Angelo. Nel Decretum Gelasianum15, canonicamente datato all'anno 494 e attribuito al già incontrato Papa Gelasio I (492 – 496) o alternativamente a San Giovanni Apostolo ma il cui autore resta incerto e può essere datato al VI secolo in Gallia meridionale, si menziona tra gli apocrifi un "Liber qui appellatur Transitus sanctae Mariae": sembra che il libro venne rinominato da San Melitone con il titolo De Transitu Virginis Mariae al fine di preservare la memoria, nel corso del tempo, del testo originale e preservarne l'integrità sostanziale contro le eresie diffuse da Leucio, appartenente alla pseudo - setta dei Doceti16, autore di numerosi attacchi scritti contro gli Atti degli Apostoli e sulla figura di Maria Vergine, in virtù del credo del suo movimento (vedi nota precendente circa il Docetismo); per quanto concerne il Transitus Sanctae Mariae non ve ne è alcuna traccia prima del Decretum Gelasianum, tanto che persino i Padri della Chiesa non lo menzionano mai: in questo periodo specifico sembra vigere profonda confusione circa scritti, autori e periodi. Tanto Melitone quanto Giovanni Apostolo ebbero lunga vita e non si può escludre che il primo, in giovane età, abbia avuto modo di conoscere o incontrare il secondo, il quale secondo tradizione terminò il suo mandato apostolico come vescovo di Efeso: circa la figura di Melitone, vi è incerta attribuzione circa la paternità dello scritto, poichè alcuni sarebbero indecisi se riconoscervi la mano di Mellito Vescovo di Laodicea già autore di un codex apocrifo incentrato sulla Passio Sanctae Joannis: a ogni modo ambedue concordarono nell'affermare che Maria rimase a Gerusalemme e non andò a Efeso, mentre Epifanio di Salamina sosteneva contro di loro che la Vergine visse in caso di Giovanni a Gerusalemme per poi seguirlo durante le sue peregrinazioni in Asia sino a Efeso. A conclusione di questa disamina, nel Transitu viene rivelato che la Madonna chiese al Figlio di avvisarla circa la sua morte tre giorni prima che avvenisse, e così fu: due anni dopo l'Ascensione, Maria era raccolta in preghiera quando le apparve l'Arcangelo Gabriel stringente un rametto di palma, il quale le disse che entro tre giorni sarebbe avvenuta la sua Assunzione. Maria convocò dunque Giuseppe d'Arimatea e i Discepoli al suo capezzale, annunciando il commiato dal mondo terreno.


<<Venuta la domenica, all'ora terza, come lo Spirito Santo discese sopra gli apostoli in una nube, discese pure Cristo con una moltitudine di angeli e accolse l'anima della sua diletta madre. E fu tanto lo splendore di luce e il soave profumo mentre gli angeli cantavano il Cantico dei Cantici al punto in cui il Signore dice: "Come un giglio tra le spine, tale è la mia amata fra le fanciulle" - che tutti quelli che erano là presenti caddero sulle loro facce come caddero gli apostoli quando Cristo si trasfigurò alla loro presenza sul monte Tabor, e per un'intera ora e mezza nessuno fu in grado di rialzarsi. Poi la luce si allontanò e insieme con essa fu assunta in cielo l'anima della Beata Vergine Maria in un coro di salmi, inni e cantici dei cantici. E mentre la nube si elevava, tutta la terra tremò e in un solo istante tutti i Gerosolimitani videro chiaramente la morte della santa Maria.>>


Il testo prosegue rivelando che Satana allora istigò nel cuore degli abitanti di Gerusalemme una scintilla di male, persuadendoli affinchè si armassero e uccidessero i Discepoli così da sottrarre loro il corpo di Maria e darlo in pasto alle fiamme: vennero colti da cecità e iniziarono a urtare caoticamente contro le pareti della casa e ciò consentì ai Discepoli di fuggire con le spoglie della Madonna dirigendosi verso a Valle di Giosafat, dove la deposero in un sepolcro. In quell'istante "li avvolse una luce dal cielo e, mentre cadevano a terra, il santo corpo fu assunto in cielo dagli angeli."


La Dormitio Virginis



Come anticipato brevemente nella prima nota di questo capitolo, la dottrina della Dormitio Virginis sosterrebbe che la Madonna non morì, ma cadde addormentata in un sonno estremamente profondo al momento della Beata Assunzione in Paradiso. A tale riguardo la parola più antica a noi nota che descrisse questo particolare fenomeno proviene dal greco, nello specifico κοιμησις – koimésis, equivalente a "giacere, sonno17" ma anche "dormizione, trapasso, morte" in numerosi autori ecclesiastici: la parola greca in sè è ambivalente, possedendo ambedue i significati dove, invece, in italiano equivale solamente a "morte". Sussiste una certa qual divisione circa l'interpretazione e, conseguentemente, la credenza attorno a questo singolare episodio nonostante sia opinione diffusa che ella non abbia conosciuto morte, come sostenuto dalla maggior parte dei teologi. A ogni modo, la Costituzione Apostolica Munificentissus Deus (1° novembre 1950) di Papa Pio XII ebbe lo scopo di proclamare in modo definitivo e incontrovertibile il dogma dell'Assunzione, senza però chiarire se essa fosse avvenuta post morte o Dormizione: "l'immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo."

La Dormizione e l'Assunzione sono strettamente concatenate tra loro, essendo l'una prodroma dell'altra, ma liturgicamente vengono celebrate nel medesimo momento (con alcune differenze come nelle chiese orientali di rito ortodosso, dove la seconda avviene il 28 di agosto): ricordiamo che la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa riconoscono ambedue l'Assunzione e che per il Clero Romano i Quattro Dogmi Mariani, nucleo e fondamento della mariologia cattolica, sono dipendenti l'uno dagli altri e posseggono valore fondante: in questa branca della teologia cristiana, fermo restando il valore assoluto di quanto sopra elencato, si confrontano fondamentalmente due scuole di pensiero. La prima sostiene che, essendo la morte il frutto dovuto al Peccato Originale ed essendone Maria scevra sin dal suo concepimento, ella semplicemente non è morta; nella seconda la Madonna ne è priva per via dei meriti acquisiti in Cristo, beneficiando dunque in anticipo i doni della Redenzione, essendo lei la prima a esser redenta dal Figlio e, come lui, sperimenta la morte terrena ma il suo corpo viene risparmiato dalla corruzione. Nel Vangelo secondo Marco (5, 39 – 42) incontriamo un interessante passo menzionante la Dormizione della figlia di Giairo:


«Entrato, [Gesù] disse loro: "Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme". Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: "Talità kum", che significa: "Fanciulla, io ti dico, alzati!". Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni.»


Ciò prova in modo abbastanza palese che la tesi della Dormizione era facente parte del tessuto ideologico in seno alla dottrina cristiana sin dagli albori, per quanto essa fosse causa d'incredulità, se non derisione, da parte dei non cristiani: l'episodio della resurrenzione di Lazzaro crea un interessante parallelismo, lasciando dunque intendere che la morte non rappresentasse la cessazione del tutto ma solo un momento di passaggio in attesa della seconda vita manifestatasi attraverso il Risveglio in Cristo, con la preservazione del corpo terreno in uno stato di κοιμησις o morte apparente. Anche sul momento esatto della Dormizione regna un certo qual grado d'incertezza, come abbiamo avuto modo di vedere in precedenza, dato che una tradizione afferma esser avvenuta in Gerusalemme circa un anno dopo la morte terrena di Gesù (ergo, nel 34 circa), con i Discepoli avrebbero seppellito la donna trovando però in seguito il sepolcro vuoto: a memoria di ciò sorsero due luoghi di culto, ovverosia la Chiesa della Dormizione ubicata sul Monte Sion in commemorazione del luogo del trapasso, e quella della Tomba di Maria nella Valle del Cedron ricadente nel medesimo complesso della "grotta del tradimento" ove sarebbe avvenuta la sepoltura e prospiciente la Basilica Francescana dell'Agonia del Getsemani. L'altra tradizione, invece, afferma che ella sarebbe vissuta ancora per molti, lunghi, anni, seguendo Giovanni il Teologo nella sua lunga missione apostolica e rassegnando il commiato dal mondo terreno a Efeso.



Cripta della Basilica di San Pietro a Civate, "Dormizione della Vergine", bassorilievo in stucco datato all'XI secolo con al centro la Vergine addormentata,a destra Gesù e la schiera dei Santi e sommitalmente gli Angeli che portano l'anima di Maria nella Gerusalemme Celeste; trattasi di uno dei pochi esempi figurativi sopravvissuti rietraenti la Dormitio Virginis. Abbazia di San Pietro al Monte, Civate in provincia di Lecco.






Approfondimenti


1Quale rapporto intercorra tra la Ninfa Egeria e il Dictator Latino Manio Egerio, leggendario fondatore del Lucus Nemorensis,, non è dato saperlo: potrebbe però trattarsi di una relazione dalla similare valenza di quella che vide coinvolti il secondo Re di Roma, Numa Pompilio, e la ninfa Egeria.

2Si ritiene che l'assoluto divieto d'accesso per i cavalli, nel Santuario, abbia certamente favorito tale assimilazione di figure (il carro su cui Ippolito viaggiava, assieme ai suoi compagni, si schiantò contro delle rocce lasciando il giovane agonizzante, poichè i cavalli s'imbizzarrirono alla vista di un toro mostruoso uscito dalle acque marine). Virgilio ci narra, nel canto VII dell'Eneide, di come Ippolito fosse figlio dell'eroe Teseo fatto uccidere da Aphrodite per sentimento di vendetta; Artemide persuase Asclepio a riportarlo in vita e l'epopea di Ippolito proseguì nel Lazio, tra i monti Albani, dove la Dea lo ribattezzò "Virbio", il "Nato due volte": egli sposò la fanciulla ateniese Aricia, istituì il culto della Dea tra le montane selve e fu ecista della città che portò il nome della sua consorte, della quale divenne il primo sovrano.

3La Luna, oggetto di devozione da parte delle genti sin da epoche immemori, è stata probabilmente una delle prime, se non la prima, forma di "morte" percepita, a cagione del suo "scomparire" dal cielo notturno a seguito di un periodo di declino, per poi "tornare alla vita" nel pieno della sua manifestazione.

4Il culto di Diana sull'Aventino fu quasi certamente una replica romana di quello aricino, per quanto alcuni autori (tra i quali A. Alfoldi in "Diana Nemorensis" e "Il Santuario Federale di Diana sull'Aventino e il Tempio di Cerere") insistono molto nell'affermare il carattere commune Latinorum del luogo di culto romano, ergo non una copia ma una sostituzione stricto sensu del santuario albano datando quest'ultimo al principio della Repubblica, grossomodo al periodo della battaglia del Lago Regillo (499 o 496 a.C.). La posizione del tempio romano sull'Aventino è facilmente inquadrabile nel concetto dell'extraterritorialità del culto (aspetto già affrontato nella disamina dei riti legati a Cibele, nel capitolo sulle Origini del 1° aprile) e i suoi rapporti con la plebe risalirebbero a un periodo posteriore al colpo di stato del 456, quando il colle in questione divenne de facto il presidio armato dei plebei sovversivi; il Momigliano nel suo "Sul Dies Natalis del Santuario Federale di Diana sull'Aventino", è fautore di una posizione diamentralmente opposta che vede la genesi di Diana in seno al tessuto religioso romano. Allo stato attuale delle prove, ambedue le tesi risulterebbero accettabili.

5In età classica si trovavano volontari per questa pratica solo tra uomini di bassa estradizione sociale o tra schiavi fuggitivi dato che il rituale conservava intatte le sue caratteristiche efferate, a dispetto dell'aver perduto l'antico prestigio: Svetonio narra che Caligola inviò contro il Rex Nemorensis, reo di possedere tale titolo da troppo tempo, un opponente ben più possente di quest'ultimo. A dispetto del titolo, e delle interessanti teorie formulate da valenti autori come il Frazer nel suo "Il Ramo d'Oro", non possediamo sufficienti elementi per affermare se il Rex Nemorensis sia stato effettivamente un sovrano o il suo titolo possedesse una valenza più sacrale che materiale: non ci sentiamo di escludere, a ogni modo, che in un tempo antichissimo tali riti e cariche abbiano sicuramente rivestito una duplice valenza, data anche la natura violenta e sanguinaria connotante la cerimonia di successione.

6Simbolismo riferentesi a richieste di guarigione.

7"[...] La questione era questa: che Roma diventasse la Capitale dell'Allenza, e a cagione di tale problema tante volte si era venuti alle armi."

8Probabilmente l'attuale Montecelio di Guidonia.

9 Il Lectisternio era una cerimonia religiosa romana di matrice ellenica, in cui si offrivano abbondanti e opulenti banchetti alle Divinità e la tradizione romana narra che fu officiato per la prima volta nell'anno 399 a.C. decretata dal collegio dei duumviri sacris faciundis, in occasione di un'epidemia, essendo Tribuni consolari Gneo Genucio Augurino, Lucio Atilio Prisco, Marco Pomponio Rufo, Gaio Duilio Longo, Marco Veturio Crasso Cicurino e Volero Publilio Filone: la cerimonia venne dedicata ad Apollo e la sua divina madre Latona, Nettuno, Mercurio, Ercole e Diana. L'etimologia deriva dal latino Lectos Sternere ("[di]stendere i cuscini"), determinata dall'usanza di banchettare distesi su confortevoli cuscini triclinari, cosuetudine attestata sia in Ellade che in ambito italico – etrusco (celebri in tal senso sono le raffigurazioni pittoriche tipiche dell'arte etrusca di stampo funerario)

10La tesi della Dormizione (dal latino dormitio) sostiene che Maria non sarebbe veramente morta ma solamente caduta in un sonno profondo al momento della sua assunzione in Cielo. Sarà oggetto di analisi più approfondita nel successivo paragrafo di questo capitolo.

11Per la Chiesa Cattolica Maria è l'unica appartenente del genere umano interessata da quattro dogmi di fede: Immacolata Concezione, Maternità Divina, Verginità Perpetua e Beata Assunzione.

12Esempio probante, a riguardo di ciò, fu la convocazione del Concilio di Nicea nel 325 per volere diretto dell'Imperatore Costantino, desideroso di combattere la crescente e pericolosa eresia dell'Arianesimo la quale negava la natura divina del Cristo.

13 Conosciuto anche come Transitus Dormition o The Dormition of the Vergin – 6 Books, il quale compare anche nei più tardi testi del Protovangelo di Giacomo, le Visioni di Teofilo e il Vangelo dell'Infanzia di Tommaso; il nucleo di questa narrazione sarebbe databile al V secolo e la tradizione, attualmente priva di alcun fondamento, l'attribuisce alla mano di Giuseppe d'Arimatea o a San Melitone Vescovo di Sardi (190 d.C.).

14 Non è casuale che provengano dal medesimo periodo e dalla medesima area geografica nella quale venne creata la leggenda postuma della Decima Sibilla, la Tiburtina Albunea, il cui vaticinio profetizzò all'Imperatore Ottaviano Augusto la futura nascita del Messia: per ulteriori approfondimenti è possibile consultare il Volume 0 degli Annales di ArcheoTibur – Culti&Dei nell'Antica Tibur, Pars Quarta: "Albunea, Signora delle Acque Rombanti", pgg. 27 – 32, Quickebook edizioni, 2019.

15 Il Decretum Gelasianum, titolo convenzionale per Decretum Gelasianum de libris recipiendis et non recipiendis, consiste in un documento contenente, tra le molte cose, varie opere religiose considerate come canoniche, un elenco dei sinodi e degli scrittori ecclesiastici considerati come riconosciuti e un computo di opere invece da porre all'indice: è giunto a noi in due versioni, l'una definita breve e inziante dal terzo capitolo, e l'altra lunga comprendente tutti i cinque le parti dell'opera. Attribuito a Papa Gelasio I ma originario della Galla Meridionale di circa due secoli dopo (per quanto l'opera, seppur d'incerta paternità, sembra rispecchiare molto bene le ideologie che caratterizzarono il soglio petrino di Gelasio), alcune parti potrebbero essere però riconducibili al Pontefice Damaso I (Roma o Guimarães, 305 – Roma, 11 dicembre 384, 37° vescovo della Chiesa di Roma) da cui riprende il De Explanatione Fidei e all'ambito romano in generale. Nella prima parte sono descritti i 7 Doni dello Spirito Santo incarnati nel Cristo, dando per ognuno una definizione specifica, seguono le dispensazioni di Cristo e l'analisi delle varie relazioni tra Dio Padre, Figlio, Spirito Santo e l'umanità; nella seconda si passa a un elenco dei libri componenti le Sacre Scritture, suddivisi tra Antico e Nuovo Testamento; la terza è un decretale concernente i testi che devono essere accolti dalla Chiesa e quelli che devono essere rigettati; la quarta comprende i sinodi e gli scrittori ecclesiastici riconosciuti dalla Chiesa, mentre la quinta è incentrata sulle opere rifiutate dalla Chiesa (gli apocrifi).

16 La dottrina, diffusasi soprattutto nel periodo paleocristiano, sostenente che il corpo di Cristo esistesse solo come ϕάντασμα, di forma apparente e dunque privo della sostanza materiale della carne: escludevano di conseguenza la sua concezione e nascita umana, così come la Passione e la Morte.

17Nei Septuaginta del Nuovo Testamento



Bibliografia:


- Sir George James Frazer, “Il Ramo d'Oro” - Studio sulla magia e sulla religione, Newton Compton 2006 ;

- P.Tacchi Venturi, “Storia delle Religioni”, UTET 1954

- Henri - Charles Puech “Storia delle Religioni”, Universale Laterza, 1978 ;

Slavi, balti, germani e celti

Il mondo classico

Il cristianesimo delle origini

- Mircea Eliade, “Trattato di Storia delle Religioni”, Universale Scientifica Boringhieri, 1976 .

- Publio Ovidio Nasone, Fasti;

- Tito Livio, Ab Urbe Condita;

- Varrone, De Lingua Latina;

- Publio Papinio Stazio, Silvae;

- Plutarco, Questioni Romane;

- Sesto Properzio, Elegie;

- Svetonio, Caligola;

- Green, C.M.C., Roman Religion and the Cult of Diana at Aricia, New York, Cambridge University Press, 2007

- Elaine Pagels, I Vangeli Gnostici;

- Nuovo Testamento,

    Vangeli secondo Marco, Luca, Matteo e Giovanni;

    Septuaginta;

    Atti degli Apostoli;

- Wilhelm Schneemelcher e Robert McLachlan Wilson (a cura di), New Testament Apocrypha: Gospels and related writings, vol.1, Louisville - Londra, Westminster John Knox Press, 2003;

- Ennio Cortese, Le grandi linee della storia giuridica medievale, 2ª ed., Roma, Il cigno Galileo Galilei, 2002;






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