Fra le più note chiese dell'antica Tibur, celebre tra i cultori dell'archeologia locale, dell'architettura e della storia medievale tiburtina, è la Chiesa di S. Stefano ai Ferri.
Ubicata nel vicolo dei Ferri nel Rione S. Paolo, incastrata fra altri edifici che nel tempo le si sono affiancati (come ad esempio le tipiche case torri) la Chiesa trae probabilmente la sua origine costruttiva dalle preesistenze romane dell'antica città. Il ben noto pontefice Simplicio, tiburtino di nascita (per un approfondimento circa la figura di questo Papa, è possibile consultare l'articolo del dott. Di Braccio al seguente link), operò nel V secolo all'interno della diocesi una cospicua fondazione di edifici di culto, a servizio della crescente comunità di fedeli. La Chiesa potrebbe far parte del novero di questi edifici sacri come lo sono certamente quelle di S. Michele o S. Silvestro. S. Stefano sorge quindi all'interno della cinta muraria dell'antica città, forse impiantata sulla base di un'aula romana muovendosi lungo un percorso seguito al tempo da una serie notevole di luoghi privati o civili dell'amministrazione capitolina. Inoltre strutturalmente pare assodato che l'edificio poggi sui resti delle antiche mura ciclopiche, in saldi blocchi di tufo preromani, che organizzavano in possenti sostruzioni il clivio tiburtino e di cui notevoli testimonianze possono ancora essere osservate nei seminterrati di alcuni edifici privati posti poco sotto, lungo l'asse che corre sulla via di Posterula un tempo sede di un porta urbica prima e della chiesa di San Pantaleone poi.
Ipotesi ricostruttiva dell'aspetto originario della Chiesa di Santo Stefano ai Ferri (V. Pacifici e A. Morelli) |
La prima menzione della Chiesa risale al 1400, e in questo periodo viene ricordata la presenza all'interno delle cappelle dedicate a S. Giovanni, S. Nicola e all'Annunciazione. Una grande navata centrale doveva essere preceduta dal portico, sicuramente l'elemento più iconico e caratterizzante della Chiesa e oggi murato, e la facciata era ben distinguibile da una finestra trifora centrale e da due laterali di tipo biforo. Nella visita pastorale del 1581 del Vescovo Croce viene ricordata la bella fattura delle colonne (romane) del portico con pitture, la presenza di un ciborio con colonne sopra l'altare il quale doveva essere sormontato in abside da una gloriosa pittura del crocefisso. A metà della navata principale una porta con portichetto, forse un protiro, immetteva nell'orto e nel cimitero, mentre la torre campanaria si innestava a destra del portico. E' accertata la presenza, oltre che della sagrestia, inoltre di una mensa lapidea dove la Curia amministrava la giustizia: a cagion di ciò e dalla vicinanza con l'antico Foro cittadino, si vorrebbe identificare il preesistente edificio romano quale una Curia e il toponimo “ai Ferri”, inoltre, rimanderebbe proprio ai ceppi con i quali si usava serrare i piedi dei prigionieri; viene altresì menzionata, nella stessa relazione, la Cappella di S. Stefano collegata alla navata, voltata con buona fattura e pittura gotica e adornata di bellissimi affreschi. Importante è la presenza di un grande arco detto dell'Annunziata, alla sinistra del presbiterio, che si offre come elemento fondamentale per comprendere la funzione della Chiesa anche in relazione alle ben note pitture dei crociati, e che deve essere contestualizzato ad una situazione urbanistica chiaramente diversa dall'attuale. Molti furono i materiali di recupero tratti da fabbriche romane che concorsero alla realizzazione della Chiesa. L'architrave del portico, con cornice finemente decorata, è alleggerito nel peso da archi di scarico in prossimità degli intercolumni.
Aspetto della facciata della Chiesa di Santo Stefano, nel 1824, in "Memorie romane d'antichità e belle arti", L. Cardinali. |
Il campanile aveva primo livello di apertura a bifora, e successivi a trifore con colonnine a stampella, realizzato in solida muratura di laterizio. Può dirsi che la Chiesa conservò quindi, in grandi linee, impianto e caratteri architettonici coevi con le chiese del XII secolo in area romana e, per alcuni specifici caratteri, tiburtini. E' plausibile che la Cappella di S. Stefano fosse utilizzata come sagrestia già verso il 1595, in una nuova visita pastorale del Vescovo Croce, il quale fu attivo visitatore e osservatore dei luoghi sacri della sua diocesi, a Tivoli e non solo. La facciata nel suo impianto medievale non aveva l'altezza corrispondente a quella che si rileva attualmente, ma terminava in corrispondenza della visibile e tipica cornice a dentelli o sega, che caratterizzando gli edifici di culto definibili dallo scrivente come simpliciani, ne aiuta la datazione e l'iscrizione alla grande stagione fondativa del pontefice nel territorio tiburtino. Le finestre della facciata furono modificate forse già nel Quattrocento e ridotte a singole aperture, con la trifora principale che subirà una tamponatura totale in epoca successiva. Controverse furono poi le vicende che portarono l'edificio alla funzione laica che conserva tutt'oggi, e sulla strada di un progressivo declino. Il passaggio alla funzione abitativa ne comportò l'innalzamento, per un terzo livello, al di sopra del limite originario impostato in facciata sulla cornice medievale. La cappella di S. Stefano perse la connessione con la navata, mentre il portico venne murato ricavando uno spazio atriale precedente l'ingresso alla navata, ma che non ha cancellato fortunatamente del tutto i caratteri originari. Successivamente l'edificio fu utilizzato anche come deposito, stalla e locale artigianale. Oggi trova pacifica e pressocchè stabile funzione in luogo privato per la celebrazione di eventi culturali, restaurato e reso funzionale allo scopo all'interno della sua navata principale.
Chiesa di Santo Stefano ai Ferri, dettaglio dell'affresco della Cappella dell'Annunziata |
Gli affreschi fra Scuola Romana e Ordine Templare
Dettagli degli affreschi nella Cappella di S. Stefano, area absidale. Fonte tivolincode.com. |
Di notevole valenza e fattura sono gli i cicli di affreschi custoditi nella Chiesa. La Cappella di S. Stefano custodisce un importante ciclo di affreschi scoperto solo nel 1910 da Vincenzo Pacifici, con scene del nuovo testamento e della vita di S. Stefano. Gli affreschi assumono particolare importanza anche perchè attribuibili a quella famosa Scuola Romana che vide in Pietro Cavallini massimo esponente, e che magistralmente operò quella scissione e progressiva evoluzione dalla pittura “ieratica” bizantina influenzando (è questo il pensiero di una corrente minoritaria dello studio della storia dell'arte ma prestigiosissima, con esponenti di assoluto rilievo quali Federico Zeri) la successiva evoluzione umbra cristallizzata nel ciclo assisiate di Giotto, all'interno della Basilica di S. Francesco.
Il celebre affresco dei cavalieri nella navata di S. Stefano: dettaglio del primo e del secondo cavaliere. Fonte tivolincode.com |
Non solo "Ai Ferri". Il Culto di S. Stefano nell'area tiburtina.
La devozione a S. Stefano e le prime intitolazioni di chiese in suo onere iniziarono a partire dalla scoperta in Gerusalemme delle reliquie del santo definito protomartire, ovvero colui che per primo subì il martirio nel nome del Cristo, nel 415. Tale scoperta fu giudicata miracolosa e narrata dalla leggenda dell'apparizione del dotto Gamaliele (maestro di Saulo, o meglio del futuro S. Paolo) il quale avrebbe indicato il luogo di sepoltura delle reliquie di alcuni martiri e dello stesso Stefano ad un sacerdote di nome Luciano. Un'altra chiesa probabilmente attribuita a S. Stefano doveva sorgere sui colli tiburtini detti ancora oggi di S. Stefano, vicino a Villa Adriana, riscontrabile nei ruderi visibili e accertati di un edificio sacro e di un battistero esagonale. Sulla reale intitolazione della Chiesa e sulla sua possibile identificazione con la celebre S. Maria in Cornuta fondata da Valila “il Goto” si rimanda ad una prossima pubblicazione dell'A.P.S. ArcheoTibur, a cura dello stesso autore.
Fonti Bibliografiche
-V. Pacifici, La Chiesa di S. Stefano - Vicende storiche, all'interno di AMST, XVI, fascicoli 59 – 62, 1936, pgg. 51 – 89;