Eracle,
il Figlio di Zeus e Alcmena
Tibur
fu così profondamente connessa al culto di Ercole,
il greco Ἡρακλῆς
-
Herakles,
al punto tale da esservi inscindibilmente associata (Herculea
Tiburis Arces, Herculi Sacra, Herculeum Tibur, herculeos colles;
venerato massimamente in Tibur,
ricordato nell'epigrafia come Hercules
Victor, Hercules Tiburtinus Victor, Hercules Invictus, Hercules
Victor Certenciinus, Hercules Domesticus e
Hercules
Saxanus
).
Non analizzeremo la sua mitologia, oggetto di un futuro articolo, ma
ci limiteremo a riportare le tracce storico-archeologiche del suo
culto nella nostra città. Numerose decorazioni, quale l'Ercole
Tunicato
nella
Mensa Ponderaria
(*1)
ed
epigrafi, come sopra riportato, attestano lo strettissimo rapporto
che vi fu tra Ercole
e gli abitanti di Tibur,
rendendo senz'ombra di dubbio il figlio di Zeus
la divinità maggiormente onorata a livello locale: il grandioso
santuario di Hercules
Victor
nei pressi dell'Acquoria
ne
è palese testimonianza. E' indubbiamente interessante analizzare il
percorso di tale venerazione, di come si sia originata, la sua
provenienza, le sue caratteristiche intrinseche e particolari, la
predominanza dell'Ercole
tiburtino
su quello romano o viceversa. Ambedue le ipotesi presentano la loro
validità, per cui in assenza di ulteriori prove fornite
dall'archeologia risulta piuttosto ardimentoso potersi esprimere
definitivamente. La figura
di Ercole
probabilmente penetrò nelle zone laziali attraverso le grandi vie di
commercio con la Magna
Grecia,
con Tibur
o
Roma
che funsero da "intermediarie" nella veicolazione di questa
divinità-eroe nel territorio italico: nella versione che qui
analizziamo era un Dio protettore dei commerci, della pastorizia,
della transumanza che qui percorreva la sua via verso il Sannio,
dagli attributi guerrieri e vittoriosi e dunque la sua venerazione
sembrerebbe ricalcare alla perfezione le necessità e le attività
delle antiche civiltà laziali dell'epoca. Non è semplice ipotizzare
quando ciò avvenne, sicuramente molto prima dell'edificazione del
Santuario tiburtino, il quale monumentalizzò un'area sacra dedicata
ad Ercole
già
da molti secoli: forse in origine un τέμενος
- Tèmenos,
un bosco sacro recintato, sede di uno stanziamento temporaneo di
pastori e viandanti veneranti il Dio in particolari momenti dell'anno
legati all'attività pastorale e del commercio.
Degno di nota è il
passo di Virgilio
nell'Eneide,
dove viene descritto l'instaurazione del culto del Dio: il rituale
sembrerebbe esser stato diviso in due parti, l'una svolta la mattina
e l'altra la sera, forse a simboleggiare la duplice natura mortale e
divina del Dio. I sacerdoti marciavano sorreggendo fiaccole e
vestendo pelli ferine, colmando gli altari con piatti traboccanti di
offerte; successivamente sopraggiungevano i Salii,
collegio sacerdotale romano istituito per tradizione dal Re Numa
Pompilio,
con il capo coperto da una ghirlanda di pioppo, albero sacro ad
Ercole,
danzanti ed elevanti cori dinnanzi agli altari, divisi tra giovani e
anziani. I Sacerdoti
Salii,
che in Roma curavano il culto del bellicoso Dio Marte,
celebravano riti sacri in giorni stabiliti ,i cosiddetti giorni
"FAUSTI"
e dopo aver divinato degli auspici. Interessante quindi notare che
nella descrizione virgiliana il poeta si riferì molto probabilmente
alla ritualità dell'Ercole
tiburtino,
in quanto sembra che tale particolare attestazione dei Sacerdoti
Salii,
officianti il culto del figlio di Zeus,
fosse tipicamente locale. Le feste sacre del Dio erano previste per
le Idi
di Agosto
(nei
giorni 12-13),
e nel grande Santuario venivano inscenate le "Dodèkathlos",
ossia le Dodici
Fatiche
che l'Eroe Solare sopportò per volere della matrigna Hera.
Numerose epigrafi rinvenute testimoniano l'importante presenza del
collegio dei Salii nella nostra città, collegio che sembrava
accogliere esclusivamente patrizi, non di rado forestieri. Il termine
più antico designante il sacerdote preposto al culto di Ercole
sarebbe Cupencus,
secondo Servio:
il termine sarebbe comunque stato comune a tutta l'area sabina e non
solo a Tivoli. Sappiamo,dalla testimonianza di Aulo
Gellio,
che visitò Tivoli nel 160
d.C.
circa, dell'esistenza di una vasta e ben fornita biblioteca curata
dai Sacerdoti
Salii,
di cui purtroppo si è perduta ogni traccia.
A
riguardo della fondazione del tempio, la testimonianza di Macrobio,
derivata dai Memoralia
di
Masurio
Sabino,
narra la leggenda del tiburtino M.
Octavius Herennius,
in gioventù tibicines
(suonatore
di flauto) e poi ricchissimo commerciante d'olio, il quale dedicò la
decima dei suoi guadagni a Ercole, appartenendo alla corporazione
degli Olearii.
Durante un viaggio fu vittima di un attacco pirata e, scampato al
pericolo, ricevette la visita in sogno di Ercole, il quale gli rivelò
che tale vittoria era dovuta alla sua divina intercessione. Herennius
decise dunque di donare ingenti proventi per la fondazione di un
tempio nel Foro
Boario
di Roma, dedicandolo a Hercules
Victor
o
Hercules
Olivarius.
Hersennius
fu
anche autora di un testo, purtroppo andato perduto, nel
quale erano minuziosamente riportati i rituali perpetrati dai Salii
nell'officiazione dell'Ercole
Tiburtino:
la Gens
degli
Hersenii
ben
attestata, in Tibur,
grazie a numerose testimonianze epigrafiche.
Dal
tempio romano proviene un blocco marmoreo, dalla verosimile funzione
di base per la statua presente
all'interno, il quale riporta l'iscrizione dedicatoria a Hercules
Olivarius,
oltre che il nome dell'autore del manufatto: si tratta dello scultore
greco Skopas
minor,
vissuto nel II
secolo a.C. e
creatore di altre opere nel Circo
Flaminio.
La
nascita dell'epiteto "Vittorioso"
in Tibur, dunque dalla forte connotazione bellica , sembra invece da
mettere in relazione ad una battaglia che i Tiburtini
sostennero
contro i Volsci,
o gli Equi,
attorno al VI/V
secolo antecedente l'era cristiana e dalla quale uscirono trionfanti:
dopo tale episodio, il collegio dei Salii
e
l'epiteto "Victor"
del nume furono istituiti in Tibur. In età imperiale il culto di
Ercole venne associato e quasi si fuse con quello imperiale, per cui
abbiamo gli Herculanei
Augustales,
gli Iuvenes
Antoniniani Herculanei
e
i Magistri
Herculaneorum Augustalium.
Ricostruzione
del Santuario di Ercole Vincitore per come dovette apparire in
antichità – Illustrazione Ink Link su ricostruzione di C. F.
Giuliani - 1970.
|
In
conclusione, il titolo "Hercules
Saxanus"
è attestato in epigrafia assai raramente, una sola volta, e presente
in Italia esclusivamente a Tibur
e
Tridentum,
l'odierna Trento,
dove la maggior parte delle dediche proviene invece dalla Gallia
Belgica
e dalla Valle
del Reno
presso Andernach:
tutte le epigrafi ad esso riferite sono state rinvenute presso
antiche cave per l'estrazione della pietra. Possibile dunque
ipotizzare che tale versione dell'Ercole fosse un protettore delle
cave e delle persone che vi lavoravano, quindi da relazionarsi alle
pietre lavorate e non alle rocce naturali. Traslando tutto ciò nel
nostro territorio, dovrebbe esser piuttosto palese l'associazione di
questo Ercole
con i cavatori e i commercianti di Lapis
Tiburtinus,
il pregiato travertino locale. Il rinvenimento di un'epigrafe
dedicata a Hercules
Saxanus
presso l'area forense di Tibur
lascia intuire che nei pressi vi sorgesse un tempio a lui consacrato.
Ara dedicata a Hercule Saxanus, l'Ercole delle rocce
e delle pietre. Norroy-lès-Pont-aMousson, circa 70 dell'era Cristiana,
museo di Bruxelles, Koninklijke musea voor kunst en geschiedenis.
L'iscrizione recita:
Herculi Saxsano et
Imp(eratori) Vispasiano
Aug(usto) et Tito Imp(eratori) et
Domitiano Caesari
M(arcus) Vibius Martialis
|(centurio) lig(ionis) X Gem(inae) et commili-
tones vexilli leg(ionis) eiusd(em)
qui sunt sub cura eius
v(otum) s(olverunt) l(ibentes) m(erito)
Giove,
Signore del Cielo e della Folgore
Giove
fu noto in Tibur
con le sue forme di Iuppiter
Castos,
"Il
Sacro",
Iuppiter Dolichenus,
personificazione in Giove di
una divinità della folgore di origine hittita il cui culto era
originario della città di Doliche
in Anatolia,
Iuppiter Praestes, "Il
Custode", e Terrìtor,
"Il
Terrificante".
La natura di quest'ultimi due
epiteti è chiaramente di natura bellica e militare, di qui la
deduzione riguardo la profonda antichità del culto a loro legato:
non avrebbero avuto ragione di esistere dopo il IV
secolo antecedente l'era cristiana,
quando Tibur
si arrese a Roma nel 338
a.C.,
al termine della sanguinosa Guerra
della Lega Latina.
D'altronde, essendo attestata
l'arcaicità del culto di Ercole
nel nostro territorio sarebbe stato quantomeno singolare che, al suo
fianco, non si ergessero il suo divino genitore e la sua matrigna,
colei la quale lo costringerà alle celeberrime Dodici
Fatiche, le Dodèkathlos.
Sul culto di Iuppiter Praestes non
abbiamo prove di antefatti mitici, se non un epigrafe attestante che
un altare suo onore gli fu dedicato da Hercules
Victor, analogamente a quanto
accadde in Roma con l'altare di Iuppiter
Inventor. Il significato
dell'epiteto "Praestes"
presenta profonde somiglianze con lo "Stator";
di notevole interesse è l'altro epiteto, "Terrìtor",
attestato solamente in Tibur.
Il culto di Giove
a Tivoli deve esser stato di grande importanza, vista la presenza di
un Flamen Dialis Tiburis:
l'ancestrale collegio sacerdotale dei Flamen
Dialis, sottoposto a
rigidissime e numerose regole con divieto assoluto d'infrangere
determinate interdizioni sacrali (ben 25!),
curava e officiava il culto di Giove
Capitolino in Roma sin dai tempi più
remoti, istituito dal Re Numa
Pompilio.
Tempio di Iuppiter Stator, a destra, e di Iuno Regina, a sinistra. Porticus Metelli, Roma. |
Giunone,
la Grande Madre Guerriera
Essendo
presenti tanto Ercole
quanto suo padre Giove,
il culto di
Giunone
non avrebbe certo potuto essere assente in Tibur.
Il culto di Iuno
Curitis,
la cui attestazione la dobbiamo a Servio
[...]Curitis,
quae utitur curru et hasta[...]
traducibile
con
"Curite,
colei che utilizza carro e lancia",
sembra
indissolubilmente legato a una divinità guerriera, dalle
caratteristiche profondamente marziali. Il il termine "Curitis",
derivato di "Curis",
sembrerebbe di origine sabina significante "Dalla
Lancia"
e dunque Iuno
Curitis
sarebbe perciò "Giunone
che Brandisce la Lancia",
una divinità bellicosa posta a protezione della comunità e della
città, assimilabile per certi versi all'Athena
Promachos,
"Colei che combatte in Prima Linea".
Divinità
celeste e lunare, Dea del calendario, delle donne, della vita
femminile e della fecondità, Divinità del matrimonio e, in quanto
Regina, Divinità poliade di alcune città del Lazio e d’Italia.
Il culto di Giunone
deve esser stato di considerevole mportanza nella nostra città, al
pari di Aricia,
Praenestes
e Lanuvium,
stando alla testimonianza di Ovidio
nei Fasti
(VI
59-62).
Una preghiera a lei rivolta, trovata nei pressi di Tibur,
recita:
"Iuno
Curitis tuo curro clipeoque tuere meos curiae vernulas"
ossia
"Giunone
Curite, proteggi i miei compagni della Curia con il tuo carro e il
tuo scudo".
Carro,
lancia e scudo la identificano chiaramente come una divinità
guerriera, armata come i nobili eroi dell'età del Bronzo, quindi la
sua istituzione deve esser avvenuta in epoche molto remote e,
prevalentemente, officiato presso la classe guerriera dell'epoca, la
nobiltà delle ere più ancestrali. L'origine di tale culto è
piuttosto oscura e le ipotesi avanzate suggeriscono una derivazione
Falisca
oppure
Sabina,
con la seconda possibilità che si lascerebbe preferire alla prima
per una serie di considerazioni tra le quali spicca, ovviamente,
l'ubicazione della città di Tibur,
in pieno territorio sabino. Un tempio a lei dedicato sorgeva quasi
sicuramente nella città e sarebbe ipotizzabile cercarlo nei pressi
dell'acropoli, uno dei primi, e di certo più importanti, primi
nuclei protoabitativi della città: da escludersi l'ubicazione presso
l'attuale chiesa di S.
Biagio,
antistante ciò che un tempo fu la "Piazza
della Regina",
attuale Piazza
Plebiscito,
toponimo che ha lasciato credere per lungo tempo che ivi sorgesse un
luogo di culto dedicato alla "Regina
degli Dei".
La denominazione "Piazza
della Regina"
è probabilmente un'alterazione popolare di "Piazza
delle Ruine"
o "Della
Ruina",
creato dopo che un sisma nel 1456
distrusse gran parte delle abitazioni lì collocate: dove sorgesse
l'antico tempio di Iuno
Curitis
è tutt'oggi un enigma irrisolto. Attestazioni epigrafiche di Iuno
Curitis
sono assenti, ad esclusione della sopramenzionata preghiera, mentre
abbiamo una testimonianza di Iunoni
Argeiae:
nell'Italia centrale, "Hera
Argeia",
ovverossia
"Hera di Argo", la
città ellenica dove fu maggiormente onorata, è testimoniata
solamente a
Lanuvium, Fàlerii e
Tibur.
Se Iunoni
Argeiae
e Iuno
Curitis
presero l'una il posto dell'altra, se la prima fosse più antica
della seconda o viceversa è arduo affermarlo ma, con un certo grado
di sicurezza, possiamo ritenere che furono due culti ancestrali assai
importanti e di comprovata antichità già al tempo della dominazione
romana, essendo legati ad una divinità femminile affondante le sue
origini nelle ere più antiche della storia greco-italica. A tal
riguardo, degne di menzione sono le ritualità collegate alla
festività degli Argei
(16-17
marzo
e 14
maggio),
figure mitiche profondamente connesse alle memorie più arcaiche di
Roma e rappresentanti i prìncipi dell'Argolide
che seguirono Ercole
quando questi viaggiò e sbarcò in Italia, i quali poi si
stabilirono nel villaggio fondato dal Dio
Saturno
sul Campidoglio.
Approfondimenti
(*1)
Ercole
venne sedotto e imprigionato da Onfale,
regina di Lidia
e figlia del sacro fiume Iardano.
Ella lo sedusse, gli sottrasse la Leontè,
la pelle del leone nemeo, indossandola e costringendolo a tre anni di
prigionia, durante quali Ercole si vestì da donna, filò la lana e
le diede numerosi figli:
Ati,
Illo,
Agelao,
Lamo
e Tirseno
(quest'ultimo
capostipite mitico dei Rasna,
gli Etruschi). Un simbolismo riferibile dunque ad uno scambio di
sessualità nella coppia, un eco ancestrale di un'antichissima
Ierogamia
(sposalizio sacro) nel quale Ercole, l'eroe-Dio, si sottometteva alla
maestà della Dea Madre, di cui Onfale sarebbe un'ipostasi
ovveorosia
una
manifestazione.
Per ulteriori approfondimenti al riguardo è possibile consultare
l'articolo di ArcheoTibur “La
Mensa Ponderaria e l'Augusteum”
al seguente link
https://www.archeotibur.org/p/la-mensa-ponderaria-e-laugusteum.html
Fonti
Bibliografiche
-Franco
Sciarretta,, "Tivoli
in età classica” e
"Viaggio
a Tivoli”,
Tiburis
Artistica Edizioni
-Cairoli
Giuliani, “Forma Italiae-Tibur Pars Prima e Altera”,
De Luca, 1970 e 1966;
-Masurio
Sabino, “Memoralia”;
-Publio
Virgilio Marone, "Eneide";
-Aulo
Gellio, "Noctes Atticae";
-Servio
Mario Onorato, "Commentarii";