Benvenuti nel sito ufficiale dell'A.P.S. ArcheoTibur di Tivoli (RM).NUOVO ANNALES VOL. III ANNO IV DISPONIBILE

Zenobia, la Regina d'Oriente che sfidò Roma





A cura della dott. ssa Ottavia Domenici



Julia Aurelia Zenobia, meglio nota tra gli scrittori classici antichi come Septimia Zenobia, nome che ereditò a seguito del matrimonio contratto con Settimio Odenato, dux Romanorum nonché corrector totius Orientis, lascia ai posteri l’immagine di colei che riuscì seppure per breve tempo a tenere testa al grande impero di Roma trasformando essa stessa il suo regno, quello di Palmira, la città carovaniera più ricca del Vicino Oriente, in uno Stato autonomo e indipendente. Di nobili origini1, bella, colta, raffinata, amante delle arti e della guerra, manifestò sin da subito il sogno e l’ambizione di dar vita un giorno a un vero e proprio Impero d’Oriente e di regnare su questo assieme a suo figlio Lucio Giulio Aurelio Settimio Vaballato Atenodoro, secondogenito di Odenato e dunque per questo escluso di diritto dalla successione. Zenobia tramutò ben presto il suo sogno in realtà facendo assassinare presso la città di Emesa (l’attuale città di Homs in Siria), suo marito e il figlio di quest’ultimo, Settimio Erodiano (noto anche con il nome di Erode o ancora di Hairan) avuto da un precedente matrimonio. Circa le cause e i mandanti che portarono alla loro morte le fonti antiche sembrano essere piuttosto discordanti, si parla talvolta di una cospirazione interna orchestrata magistralmente con la complicità della Regina stessa o talora invece di un complotto ordito nientemeno che alla corte imperiale preoccupata forse dalle mire espansionistiche di questo principe orientale. Dopo la morte di Odenato, che le fonti collocano tra il 266 e il 268 d.C., salì dunque al potere Zenobia in qualità di reggente del figlio Vaballato ancora in fasce assumendo così il titolo di Augusta.





Figura 1 - Zenobia, bassorilievo, III d.C., Museo Nazionale di Damasco.




Divenuta unica sovrana in un primo tempo si limitò a conservare e a rafforzare il regno lasciatole dal consorte, soprattutto lungo il limes Orientalis costantemente minacciato dall’esercito del re Sasanide Šābuhr I, e a mantenere un rapporto di pace con Roma. Ben presto però adottò una politica espansionistica ostile ai romani nel tentativo di annettere parte dei territori già soggetti al controllo di Roma. Sotto la guida del suo più fidato e valente generale, l’armeno Settimio Zabdas, conquistò tra il 269 e il 270 d.C. l’Arabia, la Giudea e l’Egitto, mentre l’anno seguente si lanciò alla volta della Siria e dell’Asia Minore. Zenobia rafforzò così il suo potere e il controllo su alcune importanti province orientali dell'Impero sfruttando non solo l’assenza in quei territori dell’esercito romano, impegnato a respingere le continue incursioni dei Goti oltre i confini, dapprima sotto l’imperatore Gallieno e successivamente con Claudio il Gotico, ma anche e soprattutto volgendo a suo vantaggio la già delicata situazione politica interna della madrepatria2. Il desiderio della Regina di costituire un regno indipendente ben si sposava con la natura cosmopolita della città di Palmira animata com’era da un sincretismo culturale, linguistico, etnico e religioso che faceva di quest’oasi nel deserto un privilegiato punto di incontro tra genti provenienti dall’India, dal lontano Oriente e dalle coste del Mediterraneo, le quali miravano anch’esse ad assumere una propria fisionomia e una certa autonomia da Roma. Nel 270 d.C. fu nominato imperatore Lucio Domizio Aureliano il quale, impegnato con le sue truppe contro i Goti sulla frontiera danubiana, si trovò costretto a ratificare a Settimio Vaballato i titoli già acquisiti in precedenza dal padre e a riconoscere pertanto in Oriente l’autorità di Zenobia che dimostrò tuttavia eccellenti capacità di amministrazione. Raggiunto l’apice del successo la Regina iniziò a mostrarsi in pubblico con indosso elmo e manto di porpora ornato di gemme3, proprio come i romani, e arrivò persino a coniare monete con la propria effigie e con quella del figlio4 al posto dell’imperatore.





Figura 2 – Antoniano dalla zecca di Antiochia avente l’effigie di Zenobia, risalente al marzo – maggio del 272. Sul lato obverso S ZENOBIA AVG, con mezzobusto di Zenobia drappeggiato e coronato da un diadema, adagiato su di una mezzaluna crescente. Sul lato reverso, IVNO REGINA ed effigie di Iuno Sospita con patera, scettro e un pavone ai suoi piedi.




Il “trattato” di pace così stipulato tra Roma e Zenobia era destinato ben presto a tramontare. Aureliano, una volta pacificata la situazione interna, allarmatosi decise presto di intervenire nel tentativo di ripristinare il controllo sulle diverse regioni perdute in Oriente. La riconquista dell’Asia Minore avvenne senza grandi difficoltà, mentre in Egitto le truppe romane incontrarono una seppur minima resistenza da parte di un manipolo di fedelissimi alla regina. L'avanzata di Aureliano continuò senza incontrare particolare resistenza fino in Siria dove era pronto un esercito guidato dal generale Zabdas. Lo scontro avvenne presso le rive del fiume Oronte5 dal quale uscirono vittoriosi Aureliano e le sue truppe mentre Zenobia fu costretta a ripiegare con il suo esercito dapprima entro le mura di Antiochia poi da lì, per mezzo di uno stratagemma6, verso Emesa. Occupata pure Antiochia e le città di Apamea, Larissa e Aretusa, che si consegnarono spontaneamente al nemico, Aureliano giunse così presso le porte di Emesa dove si scontrò con l’esercito palmireno guidato da Zenobia in persona e dal suo generale Zabdas; nonostante l’inferiorità numerica l’imperatore romano riuscì a riportare una straordinaria vittoria impossessandosi anche del tesoro della Regina e costringendo i due comandanti a rifugiarsi con i pochi sopravvissuti a Palmira dove tentarono di organizzare l’ultima disperata resistenza. Aureliano offrì loro una resa molto vantaggiosa7 a cui Zenobia rispose con un netto e sprezzante rifiuto, sicura dell’aiuto che avrebbe ricevuto dai vicini persiani.




Figura 3 - Zenobia in catene, Harriet Goodhue Hosmer 1859, Saint Louis Art Museum.




Assediata così la città tentò di fuggire assieme al figlio Vaballato ma catturati dai soldati romani furono condotti a Palmira, che si era arresa, e poi ad Emesa per essere processati. L’imperatore romano fece uccidere tutti coloro che avevano appoggiato Zenobia nella rivolta, tra cui il generale Zabdas e il suo fedele consigliere Cassio Longino, mentre a lei venne risparmiata la vita. Zenobia fu condotta a Roma insieme a suo figlio, che secondo le fonti perì lungo il viaggio, e venne fatta sfilare con catene d’oro8 per le strade della città come trofeo durante le celebrazioni per il trionfo di Aureliano nel 274 d.C. Finiva così il grande sogno del regno di Palmira, l’Impero d’Oriente.




Figura 4 - La Regina Zenobia al cospetto dell’imperatore Aureliano, G. Tiepolo, 1725-1730, Museo del Prado.




ZENOBIA E LA CATTIVITA’ TIBURTINA


A seguito della sconfitta contro Aureliano, Zenobia e suo figlio Vaballato furono condotti a Roma come prigionieri. Stando ad alcune fonti sembra che il giovane principe morì prima ancora di aver raggiunto la Capitale, secondo altre invece sfilò nel corteo trionfale di Aureliano accanto alla madre. Quanto al destino della Regina esistono versioni divergenti tra gli storiografi antichi; le fonti arabe9, tra cui lo storico persiano al-Tabari (IX sec.), non menzionano affatto la figura dell’imperatore Aureliano ma al contrario vedono coinvolta la regina in una serie di vicende che la porteranno poi al suicidio. Tra le fonti classiche invece alcune raccontano di una morte avvenuta per decapitazione per mano degli stessi romani, altre di una morte sopraggiunta a seguito di un prolungato sciopero della fame o di una malattia all’età di soli trentacinque anni, altre ancora di un probabile suicidio, calcando così le orme della sua presunta antenata Cleopatra. Si accordano a questo filone, ovvero a quello di una prematura scomparsa, gli storici bizantini Zosimo (vd. Historia Nova 1, 59, 1) e Giovanni Zonara (XI-XII sec.). Esiste tuttavia un’altra storia che vorrebbe Zenobia, una volta giunta a Roma, sposata a un ricco senatore romano10 dal quale ebbe dei figli. Graziata infatti dal Cesare Aureliano, il quale affascinato forse dalla bellezza e dal carattere indomito della Regina e conscio delle simpatie di cui ella godeva ancora in Oriente preferì evitare nuove possibili ribellioni a seguito del suo omicidio, venne data in sposa a un ricco patrizio ed esiliata in un podere nei pressi della più celebre Villa dell’imperatore Adriano, presso Tibur, alla maniera di una matrona romana11. Già a partire dal Cinquecento gli storici del suburbio tiburtino, e non solo, si sono a lungo interrogati circa l’esatta localizzazione topografica di tale podere partendo innanzitutto dall’identificazione del vocabolo Concae o Conche contenuto nelle fonti. Lo storico S. Viola12, seguendo le orme di Fulvio Cardoli, individuava tale “possessione” nelle immediate vicinanze della Villa di Adriano, in quella parte cioè del territorio tiburtino chiamata Colli di S. Stefano, e che portava appunto il nome della proprietaria Zenobia13; il Sebastiani e A. Tedeschi invece insistevano su di un’area ricca di vestigia antiche situata a monte della strada di Pomata, chiamata «Grotte Sconce» (forse per assonanza o meglio corruzione del termine latino Concae delle fonti). Rodolfo Lanciani, suggestionato forse da quanto riportato nell’Historia Augusta, suggeriva al contrario un posizionamento della villa entro i confini della ben più nota dimora dell’imperatore Adriano, verso sud, a guisa di “dependance” privata riservata alla regina d’Oriente e alla sua famiglia. Dello stesso parere risultava essere anche L. Canina14 il quale identificava con l’Accademia e la Torre del Timone la villa della Regina. Tuttavia, la gran parte degli storici riconosceva l’intera area di natura solfurea posta intorno al casale S. Antonio, al centro dei cosiddetti «Piani di Conche» e comprendente pure le terme di M. Agrippa, come il luogo deputato ad ospitare tale misteriosa villa. Così si esprimevano studiosi del calibro di A. Del Re, Pirro Ligorio, S. Cabral, Don Stanislao Rinaldi15 e T. Ashby16. Sembra invero che le terme fatte costruire circa 300 anni prima da Agrippa, poi ampliate forse per volere di Zenobia17, facessero parte esse stesse della villa della Regina essendo inoltre questa lontana poco più di due miglia dalla Villa di Adriano18 (“non longe ab Adriani Palatio”, H.A. 30, 27). Del resto in alcuni atti notarili di fine ‘500 veniva riportata la vendita di alcuni terreni proprio in località «Piani di Conche», nei pressi della Solfatara, e ancora in una carta topografica del 1739 di D. Revillas veniva messo in evidenza il casale S. Antonio posto al centro di una zona nota anch’essa col nome di «Piani di Conche». Sulla base di tali elementi e delle notizie tramandate dalle fonti antiche, è possibile dunque notare come nei secoli sia rimasto vivo l’uso del toponimo Concae ad indicare le cosiddette «Concoline», ovvero degli avvallamenti lasciati nel terreno con ogni probabilità a seguito del prosciugamento dei laghetti solfurei. L’ubicazione, inoltre, della villa in questa zona sembrava trovar conferma dal ritrovamento agli inizi del ‘600 in località “Caprine” non solo di un gran numero di manufatti di pregevole fattura ma anche e soprattutto di un vaso d’argento e di una medaglia d'oro; il vaso in particolare conteneva ornamenti femminili e tutti gli indizi lasciavano pensare che qui fosse situata la tomba di una delle figlie di Zenobia. Questo fece comunque supporre agli studiosi la loro appartenenza, se non direttamente a una discendente della regina, a un qualche personaggio pur sempre di alto rango. Un’altra prova a sostegno dell’individuazione della villa nel terreno nei pressi della solfatara, o «Solfarata», è data dall’usanza dei tiburtini, nei secoli addietro, di riferirsi ai ruderi delle Terme di Agrippa come ai «Bagni della Regina». Sembra infatti che il ricordo delle sue gesta e la sua personalità abbiano profondamente segnato i cittadini della vicina Tibur; spesso nei registri pubblici delle nascite era facile trovare il nome di Palmira o di Zenobia. Nel folklore locale alcuni prodotti come il noto “pizzuttello” venivano addirittura considerati come un dono dell’Oriente portato dalla Regina. Tra gli studiosi di epoca contemporanea Renzo Mosti19 nel descrivere il complesso delle Terme di M. Vipsanio Agrippa presso le sorgenti delle Acqua Albule riporta il nome dei due laghetti che da queste prendono vita, ovvero il minore detto «Colonnelle» e il maggiore detto «Regina». Se ci sia qui un riferimento alla “Regina” di Palmira Zenobia però non è dato saperlo. Un’ulteriore identificazione (ad oggi poco attendibile) è quella con la villa dei Vibii Vari detta di Zenobia, in località “Colli di S. Stefano”, così chiamata dall’attuale proprietario, il prof. D. G. Faroni. Trattasi di una villa di età classica rilevata agli inizi del ‘900 dal Baddeley e ancora prima dal Piranesi, il quale aveva erroneamente identificato la zona, e dunque il complesso, come una diretta prosecuzione della villa di Adriano20. Anche Z. Mari sembra invece concordare con l’identificazione del podere presso il casale di Tor dei Sordi, verso est, sulla base dello studio del toponimo Concae che ricorre nell’H.A. Il termine Concae secondo Mari sarebbe da riferirsi non alle vallecole degli archivi medievali quanto piuttosto ai bacini d’acqua solfurea che sorgevano numerosi nei pressi della Torre (il termine latino sta ad indicare del resto qualcosa di “concavo”). È solo a partire dal medioevo che con ogni probabilità per caratterizzare il podere di Tor dei Sordi venne adottato il toponimo classico proprio per la sua vicinanza ai laghetti solfurei ritenuti appunto “conche”. Ancora oggi però, a causa di una documentazione archeologica avara di testimonianze, risulta assai difficile circoscrivere con esattezza l’area in cui originariamente doveva sorgere la villa. Ciò che è certo è che la figura di Zenobia ha suscitato nei secoli un vivo interesse e una grande ammirazione da parte di scrittori, poeti, pittori, al punto da trasformarsi in un vero e proprio topos letterario, simbolo romantico di virtù e valore militare. Virtù elogiate anche da monarchi e regine, tra cui ricordiamo Caterina II di Russia, particolarmente affezionata a Zenobia e alla sua corte. Già nel Trecento autori come Boccaccio e Petrarca21 dedicarono alla regina di Palmira versi di encomio e celebrazione. Prendendo le mosse dalla più “autorevole” delle fonti antiche in materia, ovvero l’Historia Augusta (sebbene questa sia stata nel tempo screditata), gli studiosi del passato hanno elevato Zenobia, seducente donna guerriera, a modello di rettitudine, indomita fierezza, di castità e di nobiltà. La ritroviamo ad esempio protagonista nei Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer (XIV sec.) e ancora nella raccolta di novelle di William Painter, The Palace of Pleasure (1566). Nella letteratura successiva il ricordo delle fonti antiche sembra invece svanire per lasciare il posto a suggestioni più o meno realistiche le quali si arricchiscono di particolari via via più fantasiosi e tutti da dimostrare22. Tra le opere ultime pubblicate su Zenobia si ricorda l’opera di Raphaël Toriel, scrittore e drammaturgo francese, J’ai le cœur à Palmyre in cui l’autore sulle orme degli autori a lui precedenti tratteggia l’immagine di una donna che dalle sabbie aride e misconosciute del deserto siriano si eleva sino a raggiungere una gloria imperitura sfidando l’impero di Roma. È così che anche noi vogliamo ricordare la regina Zenobia, fiera, coraggiosa e senza paura.






Figura 5 - L’ultimo sguardo della Regina Zenobia su Palmira, H. Schmalz, 1888.

















FONTI BIBLIOGRAFICHE:


- “Historia Augusta”, Tyr. Trig., 30, 1-27.
- “Historia Augusta”, Aur., Pars II, 16-37.
- “Le Storie”, di Ammiano Marcellino, UTET, 2008.
- “Storia Nuova”, di Zosimo di Panopoli, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2007.
- “Storia di Roma”, di Eutropio, Rusconi Editore, 2014.
- “De Zenobia Palmirenorum regina”, in De mulieribus claris, di Giovanni Boccaccio.
- “Delle ville e de’ più notabili monumenti antichi della città, e del territorio di Tivoli”, di S. Cabral e F. Del Re, Sala Bolognese, Arnaldo Forni Editore, 1976.
- “Guida a Tivoli - Divisa in due parti”, descritta dal Can.co D. Stanislao Rinaldi arciprete della Basilica di S. Lorenzo in Tivoli, Tivoli, Tipografia Mattei, ristampa anastatica della prima edizione del 1855.
- “Septimia Zenobia Sebaste”, di E. Equini Schneider, Roma, «L'ERMA» di Bretschneider, 1992.
- “Passeggiate nella campagna romana”, di R. Lanciani, Edizioni Qasar, Roma, 1980.
- “Zenobia - Una regina d’Oriente a Tivoli”, di A. Mannucci, Tivoli, 1994.
- “Forma Italiae - Tibur Pars Quarta”, di Z. Mari, Firenze, L. S. Olschki editore, 1991.
- “Storia e monumenti di Tivoli”, di R. Mosti, Tivoli, Società Tiburtina di Storia e Arte, 1968.
- “Intorno alla Villa di Zenobia”, in Bollettino di Studi Storici e Archeologici di Tivoli, di V. Pacifici, Tivoli, 1919.
- “Viaggio a Tivoli - Guida della città e del territorio di Tivoli”, di F. Sciaretta, Tivoli, 2001.
- “Storia di Tivoli”, Vol. II, di S. Viola, Bologna, Atesa Editrice, 1988, ristampa anastatica della prima edizione del 1819.


NOTE:

1 Zenobia vantava di discendere da Semiramide, da Didone regina di Cartagine e dalla regina tolemaica Cleopatra VII d’Egitto. Dichiarazioni che tuttavia non sembrano trovare conferma all’interno dell’Historia Augusta una delle poche fonti (IV sec. d.C. e dunque posteriore di circa un secolo rispetto alle gesta della regina) giunte fino a noi a tracciare un profilo della Regina. Al suo interno, infatti, non viene fatta menzione alcuna né dei suoi antenati né della sua giovinezza.

2 Il III d.C. secolo segna per Roma un momento di profonda crisi caratterizzata da un’instabilità del governo centrale, dall’incertezza economica, dalla debolezza militare lungo i confini. Elementi questi che contribuirono non poco ad accrescere il malcontento soprattutto da parte della popolazione provinciale.

3 Cfr. Historia Augusta, (tyr. trig. 30, 14).

4 L’uso del titolo di Augusto da parte del giovane principe Vaballato fu considerato un grave affronto al prestigio dell’imperatore di Roma.

5 La battaglia di Immae del 272 d.C.

6 Si racconta che il generale Zabdas fece vestire dei paramenti imperiali un uomo simile nell’aspetto ad Aureliano e lo fece sfilare per le strade della città facendo credere ai suoi abitanti di aver catturato l’imperatore permettendo così alla Regina di fuggire verso Emesa.

7 « [...] ti prometto che vivrai, Zenobia ; tu e la tua famiglia potrete vivere nel palazzo che chiederò al nostro riverito Senato di concederti. In cambio, dovrai consegnare i gioielli, l’argento, l’oro, le vesti di seta, i cavalli ed i cammelli all’erario di Roma. I diritti della popolazione di Palmira saranno rispettati.»; H.A., Vita Aureliani, 26-27.

8 Riporta l’H.A.: “[] ornata gemmis ingentibus, ita ut ornamentorum pondere laboraret []” (tyr. trig. 30, 24); e ancora: [] vincti erant praeterea pedes auro, manus etiam catenis aureis, nec collo aureum vinculum deerat, quod scurra Persicus praeferebat []” (tyr. trig. 30, 26). Nella Vita Aureliani, contenuta sempre all’interno dell’Historia Augusta, si legge anche: [] incedebat etiam Zenobia, ornata gemmis, catenis aureis, quas alii sustentabant []” (Aur. 34, 3).

9 La regina Zenobia era nota agli autori arabi con il nome di Zaynab o al-Zabba.

10 Tale tesi sembrerebbe confermata dal rinvenimento di un’iscrizione la quale riporta il nome di L. Septimia Patavinia Balbilla Tyria Nepotilla Odaenathiania” insieme a quello del figlio di Zenobia (Settimio) e quello del primo marito (Odenato).

11 Cfr. Historia Augusta, (tyr. trig. 30, 27); “[] huic vita ab Aureliano concessa est, ferturque vixisse cum liberis matronae iam more Romanae data sibi possessione in Tiburti, quae hodieque Zenobia dicitur, non longe ab Hadriani Palatio atque ab eo loco cui nomen est Conchae”.

12 Cfr. S. Viola (1988), “Storia di Tivoli”, pp. 47-49.

13 “[…] quae hodieque Zenobia dicitur [..]”, H.A., tyr. trig. 30, 27.

14 Cfr. nota 1189 in Z. Mari (1991), Forma Italiae, Tibur Pars IV, p. 318.

15 Egli colloca la villa di Zenobia “[…] A tramontana e greco del lago sulfureo […]” (da Guida a Tivoli, 1855, p. 98).

16 Cfr. A. Mannucci (1994), “Zenobia. Una Regina d’Oriente a Tivoli”, p. 217.

17 Alcuni studiosi hanno ipotizzato che le strutture ancora in piedi delle terme di Agrippa siano state prima ampliate poi adattate dalla Regina a propria residenza.

18 Cfr. S. Cabral - F. Del Re (1976), “Delle ville e de’ più notabili monumenti antichi della città, e del territorio di Tivoli”, pp. 68-70

19 Cfr. R. Mosti (1968), “Storia e monumenti di Tivoli”, pp. 91-92.

20 Cfr. F. Sciarretta (2001), “Viaggio a Tivoli. Guida della città e del territorio di Tivoli”, p. 348.

21 Cfr. F. Petrarca, “Il Trionfo della Fama” (Triumphus Famae) e G. Boccaccio “De mulieribus claris - De Zenobia Palmirenorum regina”.

22 Cfr. E. Equini Schneider (1992), “Septimia Zenobia Sebaste”, pp. 7-9.