Benvenuti nel sito ufficiale dell'A.P.S. ArcheoTibur di Tivoli (RM).NUOVO ANNALES VOL. III ANNO IV DISPONIBILE

Tibvr, Empvlvm e Roma

A cura del dott. Stefano Del Priore.

Hendrik Voogd (Amsterdam, 1768-Roma, 1839), “Veduta della grandi e piccole cascatelle di Tivoli”, olio su tela.


La storia dell'acerrima rivalità tra la Superba Tibur e l'Eterna Roma è ancestrale come la memoria delle due città in questione: antenati eroici e divini, battaglie mitologiche e guerre in età storica, i due centri abitati a lungo furono ostili l'un l'altro, con alterne sorti e altrettanti screzi. L'argomento affrontato in questo articolo si riferisce a un particolare episodio della lunga guerra che vide fronteggiarsi la Lega Latina da un lato, nella quale Tibur ricopriva un ruolo di egemone importanza, e l'emergente potenza di Roma dall'altra.

Con il trascorrere dei secoli, nonostante la sconfitta subita per mano di Enea nell'epoca del Mito,il potere di Tibur crebbe soverchiantemente, anche grazie a una posizione geografica unica nel Lazio: arroccata su di una poderosa acropoli, protetta naturalmente dal Divino Aniene e le sue rombanti cascate, ricca di acqua e terra fertile, la città degli Argolidi rappresentava un'autentica sfida per chiunque osasse attaccarne le mura. Conscia della sua supremazia e del suo potere, Tibur non volle mai chinare il capo di fronte l'emergente potenza di Roma e, per tale motivo, le due comunità arrivarono ben presto allo scontro, sin dall'epoca dei primi sovrani Capitolini. Dopo il regno di Tarquinio Prisco, caratterizzato da un'avanzata militare romana senza freni che portò alla distruzione di Apiolae e Corniculum*(3), s'instaurò con i successivi re un periodo caratterizzato da un'apparente tregua, seppur effimera, che sembrò mostrare Roma benevolente nell'accettare l'indipendenza delle città laziali. Nei secoli successivi Tibur decise di limitarsi a osservare, con occhio vigile e attento, l'evolversi delle guerre tra Roma, oramai divenuta una Repubblica, e i suoi vicini, seppur la conquista di Fidenae da parte degli eredi di Romolo, città posta all'affluenza dell'Aniene nel Tevere, lasciò ben intendere ai tiburtini di come il tempo dell'attesa fosse giunto al termine, esortandoli dunque a propendere per un politica più aggressiva: la neutralità messa in atto sino a quel momento aveva favorito l'ascesa dei capitolini e, così procedendo, il loro potere sarebbe divenuto troppo vasto e grande per esser fronteggiato persino dalla Superba città degli eredi di Anfiarao. Nell'anno 501 antecedente l'era cristiana,  le città Latine formano dunque una Lega, con lo scopo di arrestare una volta per tutte la prepotente avanzata di Roma: gli esiti furono disastrosi e si conclusero con l'umiliante disfatta al Lago Regillo, nel 499 secondo il grande storico romano Tito Livio o nel 496 come invece generalmente ritenuto, sconfitta che costrinse le città della Lega a implorare la pace.


Tratto di mura urbane risalenti al IV secolo a.C., sulla destra, tagliate e defunzionalizzate dalle mura della successiva Chiesa di San Pantaleone in Postera-Tivoli, via di Postera.

Nel 496, o nel 493, venne stipulato il patto conosciuto come Foedus Cassianum, dal console romano Spurius Cassius Vecellinus, il quale regolamentava la suddivisione del bottino di guerra tra Romani, Latini ed Ernici (fu proprio ciò a causare, successivamente, alla guerra Latina del 340-338 a.C.), attribuiva il comando delle campagne militari affrontate congiuntamente da Roma e Lega Latina a un generale scelto di volta in volta tra un console romano e il dittatore latino, la fondazione di colonie latine come colonie appartenenti alla Lega, il diritto allo ius commercii e ius connubii(*4) e la celebrazione di una comune festività sul Monte Albano (aggiungendo un terzo giorno alle Feriae Latinae) antichissimo centro sacrale delle genti appartenenti al Latium Vetus avente come cuore l'ancestrale Santuario di Iuppiter Latialis, o Latiaris, sito sul Mons Cavo:  tra Romani e Prisci Latini, dunque, sarebbe sussistita una condizione di parità, detta isopolitia.
Il patto non ebbe, però, lunga vita poiché dopo decennale assedio la città etrusca di Veio cadde sotto le armi dell'Urbe nel 396, per mano del grande condottiero Marcus Furius Camillus: il culto di Iuno Regina, divinità poliade, venne traslato dall'arx di Veio, oggi in piazza d'Armi, a Roma sul Colle Aventino, secondo il rituale romano dell'evocatio. A seguito dell'ulteriore espansione della città romulea, le città della Lega Latina decisero quindi di rompere unilateralmente il patto, creando dunque i presupposti per ciò che venne poi definita la Guerra Latina.
Dopo il saccheggio che distrusse gran parte della Roma dell'epoca, a opera dei Galli Senoni guidati da Brennox(*5) nel 390, a lungo si discusse se edificare una nuova Roma nel territorio che un tempo appartenne alla sopracitata città etrusca, ben più fertile e meglio difeso naturalmente; la proposta, a lungo dibattuta, fu alla fine respinta anche grazie al parere decisivo dello stesso Marco Furio Camillo. Tibur sembra recitò un ruolo di una determinata importanza nelle varie battaglie che caratterizzarono le guerre che videro contrapposte Roma e le varie confederazioni celtiche che tentarono la conquista nella penisola italica: più volte offrì alleanza, stazionamento e supporto logistico agli irriducibili combattenti del Nord, ritenendo la loro indole spiccatamente guerrafondaia un'opportunità irrinunciabile per stroncare le mire di dominio assoluto dell'odiata e antica rivale. Nel 361, i Romani erano di ritorno da una vittoriosa sortita contro gli Ernici, capitanata da Caio Sulpizio e Caio Licinio Calvo, e Tibur si rifiutò di aprir loro le porte per lasciarli passare: questo episodio generò diffuso malcontento tra i capitolini, i quali dichiararono apertamente che se i Feziali(*6) non avessero ottenuto adeguato risarcimento, avrebbero dichiarato guerra a Tivoli e alle città da essa dipendenti. Nello stesso anno ci fu una sortita gallica nei territori laziali, prontamente repressa dalle milizie romane: i Celti ritirarono verso Tibur, venendo accolti e rifocillandosi presso la città e, poco dopo, si diressero in Campania; nel 360 Roma decise di punire l'infedeltà dei Superbi, marciando contro la loro città. I Galli, ascoltata la notizia, mossero dalla Campania e depredarono Labico e Tusculum, per poi muovere in soccorso dei loro alleati tiburtini: i romani i sconfissero i Galli nella battaglia del Ponte sul Fiume Aniene e a condurli alla vittoria fu Tito Manlio Torquato Imperioso, così definito perché durante la colluttazione ebbe modo di sottrarre il Torquis, collana simboleggiante lo status quo di guerriero e uomo libero presso i Celti, a un'enorme barbaro; l'episodio, narrato da Tito Livio nel suo Ab Urbe Condita VII, 10, venne così tramandato:

“Il Romano (Tito Manlio), tenendo alta la punta della spada, colpì col proprio scudo la parte bassa di quello dell'avversario; poi, insinuatosi tra il corpo e le armi di quest'ultimo in modo tale da non correre il rischio di essere ferito, con due colpi sferrati uno dopo l'altro gli trapassò il ventre e l'inguine facendolo stramazzare a terra, disteso in tutta la sua mole. Tito Manlio si astenne dall'infierire sul corpo del nemico crollato al suolo, limitandosi a spogliarlo della sola collana, che indossò a sua volta, coperta com'era di sangue."


I Galli furono sbaragliati e costretti alla ritirata, mentre il console romano Gaio Petelio Libone Visolo, al quale era stato lasciato il comando delle operazioni dal dittatore Quinto Servilio Ahala, intercettò anche le forze della città argiva che si erano mosse per dar manforte agli alleati Iperborei; il dittatore, invece, costrinse i Galli alla fuga nella battaglia di Porta Collina, presso l'attuale Via Collina. Ambedue gli schieramenti alleati vennero surclassati dallo stesso Petellio e furono costretti a rinchiudersi entro le solide mura della città dalle rombanti cascate.
Al console romano venne concesso il trionfo, il 29 luglio, per aver debellato la minaccia congiunta di Celti e Superbi ma quest'ultimi si ritennero grandemente offesi da ciò, non considerandosi sconfitti e deridendo la vanagloria avversaria: a dimostrazione di ciò, e per provare agli occhi di tutti la codardia romana, nel 359 decisero di mettere in atto un fulmineo attacco notturno sotto le mura dell'Urbe, capitanato da un ristretto numero di guerrieri. La sortita creò scompiglio e colse di sorpresa i capitolini ma con il sorgere del sole l'inganno fu dissipato, rendendosi conto i romani che le forze nemiche erano composte da due sparuti e inoffensivi manipoli di soldati i quali, attaccati congiuntamente da due porte distinte, furono sconfitti in breve tempo. Nel 358 vi furono nuove avvisaglie di turbolenze galliche nel Lazio, con Roma che concesse un nuovo trattato ai Latini su richiesta di quest'ultimi i quali, ottenutolo, inviarono un robusto contingente nei pressi di Praeneste, ove vennero in contatto con le forze romane e, stazionando presso Pedum (l'odierna Gallicano nel Lazio), debellarono l'ennesima minaccia sotto la guida del dittatore capitolino Gaio Sulpicio Petico. Ciò che possiamo asserire con certezza nel mare della nebulosità degli episodi che scatenarono continue rappresaglie tra Roma e le città Latine, è che queste ultime dovettero mal tollerare l'oramai continua e duratura presenza capitolina nella zona Pontina ma pressate dall'impellenza di una seria minaccia armata rappresentata dai Celti dovettero propendere per la riconciliazione con la città di Romolo, seppur malvolentieri: a fronte però dell'accondiscendenza delle altre città, Tibur e Praeneste restarono sempre fortemente ostili a Roma; tutto ciò, qualche anno dopo, porterà allo scatenarsi dell'episodio chiave di questo trattato.


Poderosi resti della cinta muraria urbana risalente al V-IV secolo
antecedente l'era cristiana, in località "dei Pisoni", Tivoli.

Nel 356 il console romano Marco Popilio Lenate fu incaricato di guidare una spedizione militare contro i Tiburtini, costringendoli ad asserragliarsi entro le mura e devastando le campagne antistanti alla potente città, la quale anche in quel frangente dovette sembrare praticamente inespugnabile: la tattica usata, di per certo meno dispendiosa e assai più redditizia rispetto a uno scontro campale, fu quella di isolare Tibur attaccando ogni centro che le gravitava attorno e appartenente al suo dominio, in particolar modo gli oppida fortificati che ne proteggevano i confini a scopo profilattico.
Infatti nel 355/354, praticamente senza combattere, i Romani di ritorno da una spedizione contro gli Equi conquistarono Empulum*(7) la quale distava da Tibur circa 7 km, distruggendola completamente, e l'anno successivo fu la volta di Saxula, altra città sottoposta a Tibur e strategicamente importante al pari di Empulum. I Figli di Romolo invasero le campagne Tiburtine con un esercito ancor più forte e numeroso, assemblato con il chiaro scopo di conquistare tutte le terre dipendenti dalla città Superba, e seguendo la tattica adoperata per la conquista di Empulum oltrepassarono Tibur dirigendosi verso Saxula, la quale cadde dopo un lungo e sanguinoso scontro. A seguito della conquista delle sue principali piazzeforti Tibur si vide costretta a deporre le armi e dichiarare la resa nel 354, logorata oramai dai lunghissimi anni di battaglie, e la guerra ebbe fine con il console Marco Fabio Ambusto che celebrò il trionfo sui Tiburtini il 3 giugno e, nel medesimo anno, Roma strinse pace anche con la città di Praeneste. Nel 338, ultimo anno della Guerra Latina, il console Lucio Furio Camillo sconfisse nuovamente i Tiburtini e, si narra, ne prese la città: la Lega Latina fu sciolta, ai Latini fu vietato severamente di allearsi gli uni con gli altri, i loro territori vennero annessi a quelli di Roma e la lunga inimicizia ebbe dunque termine con la capitolazione definitiva della città edificata dagli eredi del Divino Anfiarao, 415 anni a seguito della fondazione di Roma. A Tibur e Praeneste venne sottratto parte del loro territorio, come punizione non solo per essersi sollevate nella Guerra Latina ma anche per esser state a capo della fazione avversa ai romani durante le guerre Romano-Latine degli anni 389-354: Tibur perdette dunque la sua autonomia politica, acquisendo però anche determinati vantaggi in quanto fu considerata civitas foederata (città alleata) e poté beneficiare di pace interna ed esterna che rese possibili maggiori e più proficui scambi commerciali soprattutto con l'Urbs, in crescita oramai vertiginosa e pressoché inarrestabile.


Attuale paese di Castel Madama.


Approfondimenti

*(1) Leccio (Quercus Ilex): detto anche Elce, è un albero spontaneo appartenente alla famiglia Fagaceae e al genere Quercus, diffuso nei paesi del bacino del Mediterraneo, può raggiungere anche i 20-24 metri in altezza. Gli alberi del genere Quercus sono spesso stati sacralizzati in quanto testimoni di Keraunofanìe, poiché sovente colpiti da folgori.

*(2) Aborigeni: I primevi Latini, autoctoni dell'Italia; il loro etnonimo deriverebbe da “Ab Origines”, ovverosia “I Fondatori”, endoetnonimo, oppure da “Aberrigines”, equivalente a “I Girovaghi”, in questo caso esoetnonimo. Forse furono anticamente i leggendari Lélegi, di stirpe greca, discendenti degli Enotri.

*(3) Apiolae e Corniculum: probabilmente da collocarsi, rispettivamente, presso Monte Savello tra le odierne Albano Laziale/Pavona e Montecelio.

*(4) Ius Commercii e Ius Connubii: diritto al libero commercio e libero sposalizio tra gli abitanti di Roma e della città latine, con riconoscimento dei diritti civili per i figli nati da queste unioni, sanciti nel patto di tregua conosciuto come Foedus Cassianum.

*(5) Brennox: nome proprio di persona in lingua celtica, significante “corvo” dalla radice “Bren” (continentale) o “Bran” (insulare); era anche un titolo militare assunto dai condottieri celtici in tempo di guerra, equivalente a “comandante”.

(*6) Sacerdotes Fetiales: ancestrale collegio sacerdotale dell'antica Roma, i cui membri erano all'epoca selezionati per cooptazione tra le sole famiglie patrizie (l'apertura ai plebei avvenne nella tarda età repubblicana); il loro compito principale, tra i molteplici che li vedevano coinvolti, era di preservare e tramandare gli aspetti sacrali del diritto extraurbano e dello Ius Bellorum romano.

*(7) Empulum: il toponimo, di origine incerta, è attestato sin dall'età arcaica e sarebbe riconducibile secondo alcuni al greco àmpelos, significante “vite, vigna, vigneto”. L'ubicazione di Empulum e Saxula resta tutt'oggi incerta, rientrando nella tipologia di centri abitati interiere sine vestigiis (“Scomparsi senza lasciar alcuna traccia”). Le fonti narrano di come la conquista romana di Empulum tenne impegnate le legioni romane per circa 1 anno, probabilmente in logoranti assedi; il prof. Fulvio Cairoli Giuliani, in ogni caso, ritenne negli anni passati come ricercare l'ubicazione di Empulum e Saxula nella valle aniense fosse del tutto errato.


Fonti Bibliografiche:

-Gianfranco Maddoli,  “La civiltà Micenea, guida storica e critica”, Universale LATERZA, 1977;

-Franco Sciarretta, "Tivoli in età classica”, "Viaggio a Tivoli” e “Storia di Tivoli”, Tiburis Artistica Edizioni;

-Cairoli  Giuliani, “Forma Italiae-Tibur Pars Prima e Altera”, De Luca, 1966 e 1970;

-Publio Virgilio Marone, “Eneide”;

-Omero, “Odissea”;

-Tito Livio, Ab Urbe Condita, VII, XVIII, XIX;

-Diodoro Siculo, “Bibliotheca Historica”;

-Dionisio d'Alicarnasso, “ Ῥωμαικὴ ἀρχαιολογία” o “Antichità Romane”;

-Gaio Giulio Solino, “Collectanea rerum memorabilium";

-Marco Porcio Catone, "Origines";

-Fasti Triumphales;



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