Questa
è la Mitica storia di un eccellente oratore, dotato di favella
affabulatrice e celebre messaggero presso leggendari eroi Achei dell'epos
omerico, nonché nobile, illustre e valente cavaliere che provò
coraggiosamente a tener testa ai terribili Lucumoni Tirreni (*1).
A. Mantegna, Mercurio e Pegaso, 1497, Parigi. |
Il personaggio in questione fu Vènulo, nome che presenta assonanze
linguistiche del tipo etrusco-latino, celebre membro della Legione tiburtina
durante le guerre tra i Rutulii-Ausoni e l'alleanza Greco-Troiana, capeggiata
dal semi-dio Enea figlio della Dea Venere, la greca Aphrodite,
e del nobile miso-troiano Anchise. Nell'Eneide virgiliana, il massimo
capolavoro letterario di Publio Virgilio Marone, lo vediamo comparire
per la prima volata come araldo nell'ambito della chiamata alle armi del
giovane e possente Turno, Re dei Rutulii, semidio antagonista
dell'Anchiseide (*2), figlio di Dauno e della Ninfa
Venilia. In quest'ambito il prode Turnus, dalla reggia a Laurentum
del leggendario Re Latino, prole del Dio Fauno, chiamò in
massa alla guerra tutti gli Ausoni, i Rutulii di cui era Rex,
i Volsci, popolo italico di lingua osco-umbra stanziato tra le valli
appenniniche e zone costiere del Lazio Meridionale, capeggiati da Vòluso
e dall'Amazzone Camilla e i grandi capi Etruschi confinanti quali Messàpo, definito l'aspro, Ufènte
e Mezènzio, quest'ultimo ricordato come empio, Tarconte, oltre
che una serie di avventurieri e capi villaggi
come il nostro Tiburno o Tiburto, affiancato da i suoi oriundi
fratelli gemelli Cora e Catillo (*3).
Per l'appunto,
durante l'assemblea di Laurentum vengono scelti vari ambasciatori tra
cui spicca Vènulo (non si tramandano i nomi degli altri), colui il quale
avrebbe dovuto convincere il Tidide
Diomede profugo Re di Argo, che nel suo lungo peregrinare
fondò la città di Api, a riprendere lo scontro armato contro l'acerrimo nemico dai tempi della guerra di Troia.
Tra le intenzioni della coalizione ausonica vi era anche quella di spingere il
prode Diomede a spezzare la coalizione greca-arcade, capeggiata
da Evandro figlio di Hermes e della Ninfa Carmenta. re
del Colle Palatino e fondatore di
Pallantio o Pallanteo: il nome alla città fu dato in onore
di suo figlio, morto coraggiosamente al fianco dei Troiani nella battaglia
finale con i Rutulii. Il racconto narra l'impresa di codesti
ambasciatori che, dopo lunghi giorni di viaggi, pericoli e disavventure,
ritornarono scortati nella Reggia del figlio di Fauno con la risposta
dell'Onieido (Onieo padre di Anchise originario della
città greca di Calidone) divino.
Essi, di fronte al Re, risultarono
essere molto rammaricati, preludio al
mancato accordo, nonostante le solenni preghiere e giuramenti alle divinità
protettrici della comunità latina; a niente valsero doni aurei tali da far vacillare qualsiasi sovrano. Latino
comandò agli ambasciatori di illustrare cosa aveva dunque risposto,
letteralmente, Diomede alla sua richiesta di aiuto e alleanza. Vènulo,
obbedendo al re, espose i fatti dinnanzi alla platea ansiosa:
O
cittadini vedemmo Diomede nel borgo greco di
Argyrippa.
Superato
ogni ostacolo, al termine del viaggio gli stringemmo la mano, quella mano sotto
la quale cadde il Regno di Ilio (Troia).
Giunto
vincitore (Diomede) fondò nella terra iapigia del Gargano Argyrippa, da lui cosi chiamata dal nome
proprio della patria Argo.
Come
siamo introdotti al suo cospetto, ci è dato il permesso di parlare, gli
offriamo i doni (in oro e bronzo) gli diciamo i nostri nomi, la
patria, il nemico a cui si fa guerra (gli esuli troiani capeggiati da Enea)
e il motivo per cui siamo venuti ad Arpi.
Lui
ci ascolta e con voce pacata ci risponde.
Dopo
una breve pausa, il tiburtino parla ricordando le parole del Tidide, colui che
al solo grido di guerra faceva scappare i troiani impauriti:
Statua c.d. Diomede copia romana. |
O
gente prospera o regni saturni, antichi Ausoni che cosa vi turba, voi cosi
quieti spingendovi a guerra tanto pericolosa?
Tutti
noi che facemmo guerra nel campo di Troia, tralasciando i mali sofferti
lottando sotto le grandi mura e quegli eroi che il Simoènta (fiume
nella Troade) sommerge, pagammo affanni ed ogni pena per il gesto
sacrilego, raminghi per tutto il Mondo (una lunga traversata che
dalla Rocca di Pergamo lo porterà fino in Apulia) un
pugno di sbandati da muovere a pietà persino a Priamo.
La
Dea Atena presso il promontorio Cafarèo (Eubea) scatenò
la tempesta che disperse la nostra flotta.
Dopo
la Guerra (i Re Greci, Agamennone, Menelao, Ulisse,
Aiace etc.) fummo gettati su spiagge diverse.
A
me gli Dei non proibirono di rivedere (ritornato ad Argo) la
mia cara consorte (Egialea, colei che orchestrò un tranello,
sventato miracolosamente, per uccidere Diomede ) .
Ed
oggi ho ancora terribili visioni: i miei compagni che mutati in albatri da
Aphrodite (per via delle blasfemie di cui si macchiò uno loro durante il
viaggio di ritorno) volarono in cielo ed ora vanno errando lungo i
fiumi.
Questo
dovevo attendermi il giorno in cui, folle assalii con la mia spada gli esseri
divini (scesi in campo a difesa di Enea) ferendo Aphrodite ad una
mano (l'episodio è ricordato da Omero nell'Iliade, in cui
afferma che l’eroe con la spada inseguiva Aphrodite,
sapendo che non era una Dea guerriera. Con il carro rubato ad Enea raggiunse
la dea scagliando la lancia bronzea che la ferì sul polso; l’asta penetrò nella
pelle attraverso al peplo divino, il sangue immortale della dea sgorgò)
.
No,
non costringetemi a simili battaglie: dopo il crollo della rocca dei Priamidi
per me non c'è più guerra con i Troiani: non provo alcuna gioia nel ricordare i
loro antichi mali.
I
doni che portate dalle vostre spiagge offriteli ad Enea.
Ci
trovammo difronte (a Troia) e combattemmo lealmente.
Credete
a me che ho già sperimentato come s'erge al di sopra dello scudo, con quale
foga scaglia i giavellotti.
Se
ci fossero stati altri due prodi simili a Enea, i Dardani sarebbero venuti in
armi contro la Grecia e molti greci ora piangerebbero.
Nella
lotta sotto le mura di Troia la vittoria dei Greci ritardò a causa soprattutto
di Ettore ed Enea, per dieci lunghi anni, essi furono guerrieri meravigliosi,
ma Enea è primo per pietà.
Dopo
di ciò ci chiese di stipulare un accordo di pace con i troiani dicendo:
Se potete, unite le vostre destre in un patto concorde, evitando di battervi
fra voi in armi.
Questa
è la risposta di quel sovrano, ottimo fra tutti i re, e la sua opinione su
questa grande guerra che si va scatenando.
Appena
Vènulo ebbe finito di parlare, tutti gli Ausoni furono sconcertati,
rumoreggiando contrariati, facendo impallidire persino il grande Re Latino,
provocandogli un grande dolore, che pur tuttavia non si scoraggiò d'animo
riprendendo le velleità contro il figlio di Venere. Nel corso del
racconto del Sommo Maestro dantesco, troviamo Vènulo impiegato in prima fila
nella guerra contro i troiani all'interno del battaglione latino e la
falange di Tiburno coordinato e capeggiato da Camilla, per volontà
diretta di Turno, con il compito di arrecare offesa ai Tusci
alleati degli invasori asiatici, in collaborazione con Messàpo capo
della cavalleria. Tuttavia, Vènulo apparteneva alla classe nobiliare,
posta ai vertici della società tiburtina e di rimando a quella latina: ciò si
può affermare poiché egli, durante lo svolgimento del ultima battaglia campale,
venne descritto come un cavaliere che lottava al fianco di Cora e Catillo,
valenti cavallerizzi e lanciatori di giavellotti che, procedendo
coraggiosamente in prima fila, guerreggiavano sprezzanti del pericolo.
P. Uccello, “Battaglia di San Romano”. 1535. |
Nella
confusione e nel marasma dello scontro terribile tra le varie fazioni in lotta,
viene descritta anche una scena epica, riferita alla morte coraggiosa di Vènulo.
Il Re
di Tarquinia, l'illustre Tarconte(*5) alleato di Turno,
dopo aver imprecato contro i Tuscii (cosi venivano definiti gli Etruschi
dalla tarda antichità sino al Medioevo) alleati di Enea sprona il suo
focoso cavallo nella mischia pronto a sacrificarsi, scagliandosi sinistramente
contro Vènulo, disarcionandolo con una mossa repentina e in
contemporanea abbracciandolo fortemente con il suo possente braccio destro,
trascinandolo via con sé al galoppo sfrenato. Tra lo stupore e la paura, i Latini
urlano di rabbia correndo tutti contro Tarconte: egli vola fulmineo
lungo la pianura con Vènulo e le sue armi spezzando la lancia dalla
punta di ferro, cercando così di penetrare mortalmente nelle parti scoperte
dell'armatura di quest'ultimo e ponendo
fine alla vita coraggiosa dell'araldo tiburtino. Tuttavia l'ultimo disperato
gesto di Vènulo fu quello di afferrare la mano dell'etrusco, cercando di
allontanarla dalla sua gola e resistendo con tutta la forza di cui era capace,
pur non riuscendoci, finendo per lasciarsi sopraffare dalla potenza bruta dal tirreno.
Virgilio narra questo gesto creando una similitudine di immagini, per
far comprendere a pieno la scena e darle maggior pathos, come soleva
fare il Divino Omero nell'Iliade e Odissea.
Questa
è la sua descrizione: “Come un aquila fulva nel suo volo, afferrato un
serpente se lo porta in alto, avvinto nei suoi piedi e stretto nei forti
artigli e lui, benché ferito, vola e rivola le insidiose spire e sibilando con
la bocca drizza irto le squame, sollevando in alto il suo collo, ma l'aquila
con il becco adunco, incalza il ribelle sferzando l'aria con le sue ali, come
Tarconte porta via tutto trionfante
dalle file tiburtine la sua preda Vènulo.”
Approfondimenti
(*1)
I Luxumni, sovrani delle città Stato etrusche,
corrispondenti ai Rex romani.
(*2)
Così si indicava Enea nell'Iliade di Omero.
(*3)
Da identificare in linea teorica con il Minor, ricordato dalle fonti
come figlio di Catillo Major.
(*4)
Argyrippa o Argos Hippium in Apulia, attuale
provincia di Foggia.
(*5)
Figlio di Telefo e fratello di Tirreno con cui partecipò
all'emigrazione del popolo dei Tyrsenoi,
quest'ultimo figlio di Heracle e Onfale, fodatore
della dodecapoli etrusca in territorio italico.
Fonti Bibliografiche:
-P.
Virgilio Marone, Eneide, Libro VIII, par. 9, Libro XI, par. 465,
507–520, 230– 295, 730-755.
-P.
Ovidio Nasone, Metamorfosi.
-G.Cascioli 1927, Gli uomini illustri
o degni di memoria della città di Tivoli dalla sua origine ai giorni nostri, Tomo I. Dalla preistoria al secolo XIII, Tivoli 1927, pag.
1,2.
Questo articolo è protetto
dalla Legge sul diritto d'autore.
Proprietari del Copyright
sono l'A.P.S. ArcheoTibur e l'autore.
È vietata ogni
duplicazione, anche parziale, non autorizzata.