Benvenuti nel sito ufficiale dell'A.P.S. ArcheoTibur di Tivoli (RM).NUOVO ANNALES VOL. III ANNO IV DISPONIBILE

L'utilizzo delle curve nell'architettura adrianea e di Francesco Borromini

 



A cura dell’Ing. Christian Doddi


FRANCESCO BORROMINI


Nacque nel 1599 a Bissano sul Lago di Lugano e crebbe a Milano fino all’età di vent’anni. Nel 1619 si recò a Roma dove trascorse il resto della sua vita. Grazie a una lontana parentela con Carlo Maderno (1556-1629), iniziò a lavorare come scalpellino nel cantiere di San Pietro e si occupò principalmente dei Cherubini che ornavano festoni, cancelli ecc… Morto Maderno nel 1629, il cantiere passò nelle mani di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) e Borromini divenne suo assistente sia nella progettazione di San Pietro che in quella di Palazzo Barberini (di cui ricordiamo principalmente l’elegante scala ellittica ed elicoidale (fig. 1) che l’Architetto di Bissano progettò con grande sensibilità artistica e con una razionalità che si spinge quasi all’irrazionalità delle forme). Il rapporto tra i due Architetti non era facile, difatti Borromini non amava le lacune tecniche di Bernini e soffriva il grande successo che l’Architetto di Napoli vantava. La loro separazione avvenne con la commissione, nel 1634, della Chiesa di San Carlo alle quattro fontane, su cui torneremo più avanti, per Borromini. A San Carlo seguì nel 1643 quella che a mio avviso è la massima espressione dell’Architetto, ovvero Sant’Ivo alla Sapienza, tripudio di forme geometriche e soluzioni spaziali geniali e senza nessun confronto. Menzioni d’onore vanno ovviamente alla Galleria Spada, in cui applica le grandi conoscenze sulla prospettiva e ne realizza un’architettura illusionistica dove l’occhio umano percepisce una profondità di circa 30/35 m, ma che in realtà ne misura soltanto 8,82 m. Altra opera importante è certamente la ripresa del progetto di Carlo Rainaldi (1611-1691) per la chiesa di Sant’Agnese in Agone a Piazza Venezia, dove viene mantenuta la geometria di base, adattandola alle forme geometriche tipiche di Borromini e riprogettando completamente la facciata, a cui conferì un andamento concavo. È d’uopo smentire la credenza romana che riguarda la Fontana dei Quattro Fiumi e Sant’Agnese. La fontana fu realizzata da Bernini e dai suoi allievi ed è un’eccezionale opera ricca di simbolismi e personificazioni dei fiumi più grandi conosciuti all’epoca, ovvero il Danubio per l’Europa, il Gange per l’Asia, il Rio de la Plata per le Americhe e il Nilo per l’Africa. Tra i vari simbolismi vi è quello del Rio de la Plata in cui la personificazione del fiume è stato inscenato in una posizione dinamica in cui sembra che la statua si tiri indietro spaventata e con una mano alzata rivolta verso l’alto. Tale statua è posta precisamente difronte alla facciata della chiesa del Borromini e quindi tale coincidenza ha alimentato la credenza popolare in cui Bernini fece scolpire il Rio de la Plata come se fosse spaventato da un possibile crollo della chiesa, o addirittura che il Nilo avesse il volto coperto per evitare di assistere “all’orrore” dell’opera dell’architetto rivale. Ovviamente queste leggende, tali restano, dato che il fiume sudamericano fu raffigurato in quel modo per simboleggiare il tramonto del Sole ad Ovest e il fiume africano con il volto coperto perché ancora non se ne conoscevano le sorgenti. Inoltre, cosa più importante, la chiesa di Sant’Agnese fu iniziata non prima del 1652, mentre la fontana fu inaugurata da Bernini nel 1651. Smentita la leggenda, va comunque confermata però la forte rivalità che arieggiava tra i due geni dell’architettura, rivalità che ci ha regalato la Roma Barocca nel suo massimo splendore. Con la morte di Innocenzo X e la salita al pontificato di Papa Alessandro VII, Bernini fu nuovamente l’architetto preferito dalla corte papale e questo provocò una forte crisi psicologica in Borromini che lo portò lentamente al suicidio nel 1667.


 Fig. 1 - Scala elicoidale palazzo Barberini


L’ARCHITETTURA DI ADRIANO: LE CURVE

L’effimero stile dell’Imperatore, riconoscibile per la sua ecletticità e la sua evoluzione del concetto di canone architettonico romano, ha in sé degli elementi sperimentali e innovativi. È risaputo il gusto ellenico ed egittizzante di Adriano, portato all’esasperazione all’interno della sua dimora tiburtina, dove oltre a trovare edifici che rimandano alla Grecia e all’Egitto, sono state rinvenute statue del culto greco (copie romane ed originali elleniche) e di quello egizio. La grande ricerca di forme complesse e figure uniche nel progetto della villa di Tivoli ha portato alla creazione di spazi complessi e dettagli architettonici diversi da tutto. Il forte razionalismo romano nella distribuzione geometrica e lineare degli spazi, a Villa Adriana si evolve e si scinde in una planimetria di forme complesse, direttrici ben ragionate e l’utilizzo di forme curve e sinuose. La genialità della dimora sta nella grande armonia urbanistica tra gli edifici e nello splendore della singola costruzione. Analizzando la planimetria generale si coglie quanto studio c’è stato per dare una continuità paesaggistica all’intera costruzione, basti pensare allo splendido utilizzo del Teatro Marittimo (fig. 2) che con la sua forma circolare fa da vera e propria cerniera urbanistica tra due direttrici che altrimenti avrebbero creato degli scomodi angoli acuti, che nel campo della progettazione architettonica creano sempre delle problematiche compositive. Tale perno di rotazione ha anche permesso di dare una dinamicità all’intera Villa in modo tale da non trovarsi mai in uno stesso paesaggio fatto di rette perpendicolari e di una sensazione di staticità complessiva. La rivoluzionaria scelta di dare movimento alle piante delle diverse costruzioni della dimora imperiale, a reso Villa Adriana unica al mondo, infatti di edifici simili tra loro nell’antica Roma ne esistevano e ne esistono ancora, si pensi al Colosseo e ai vari anfiteatri sparsi per l’Europa o ancora si pensi agli edifici templari che, anche se tutti diversi tra loro, sono decisamente simili e rispettano delle regole compositive che è possibile consultare nel trattato di Marco Vitruvio Pollione (80 a.C. – 15 a.C.), ovvero il De Architectura, dove l’autore prova a dare spiegazione alla nascita degli ordini e a dettarne dei canoni. Se pensiamo invece al Canopo o al Teatro Marittimo, in giro per il mondo non troviamo esemplari simili, né nella composizione né nell’ideologia architettonica e questo è dovuto non solo alla grande sensibilità artistica dell’Imperatore, ma anche e forse soprattutto al suo ego e all’amore per il bello che in Adriano tocca vette mai raggiunte da nessun altro imperatore. Si potrebbe obiettare a tale affermazione prendendo come per esempio Nerone o Caligola con la Domus Aurea o con le navi del Lago di Nemi, ma tale obiezione sarebbe poco fondata perché nei casi dei due Imperatori Giulio - Claudii, lo sfarzo e la mania di supremazia erano dettate dalla volontà di mostrare al mondo la loro grandezza e la loro potenza, quindi il loro gioco di sfarzosità non era affatto ragionato ed era delegato ad altri. Nel caso di Adriano invece ci troviamo difronte ad uno studio ben ragionato ed intellettuale, i suoi progetti nascono con la precisa volontà di stupire in primis sé stesso e poi tutti gli altri. Si pensi soltanto che il fundus non era imperiale, ma bensì apparteneva alla famiglia della moglie Vibia Sabina (83 d.C. – 136 d.C.), quindi non ebbe neanche bisogno di espropriare terreni privati o di impossessarsi di quelli dell’Impero per realizzare la sua dimora. Ogni dettaglio era ben studiato e questo sta a riprova del suo ego spropositato che però non influenzò (per lo meno in negativo) la sua attività da Imperatore e l’amministrazione dell’Impero stesso.


Fig. 2 pianta del Teatro Marittimo – Villa Adriana


Prendendo in analisi degli edifici specifici per cercare di comprendere lo studio compositivo delle curve nella Villa Adriana, sceglieremo senz’altro il Teatro Marittimo, la Piazza d’Oro e il Belvedere nell’Accademia. Al fine didattico stiamo scartando opere come il Canopo o le Piccole Terme o ancora l’Edificio a Tre Esedre dato che non sono rilevanti per capire lo sviluppo delle curve nel ‘600 nell’architettura barocca di Borromini. L’Archeologo Eugenia Salza Prina Ricotti, nel libro “Villa Adriana – il sogno di un Imperatore” recita testuali parole: “L’Accademia è certamente uno degli edifici architettonicamente più interessanti del complesso adrianeo e ci ricorda le più belle creazioni del Borromini e dei suoi successori Guarini e Iuvara.” Tale affermazione si riferisce in special modo a quello che William Lloyd MacDonald (1921-2010) identifica come il Belvedere (fig. 3), ma che la stessa Salza Prina Ricotti preferisce riconoscere come un vestibolo. A fine didattico continueremo a chiamare il vestibolo con il nome di Belvedere per rendere più fruibile la comprensione del saggio. In pianta ci appare come una croce di Sant’Andrea con un susseguirsi di forme concave e convesse, decisamente avanzata la sensibilità architettonica del progettista considerando che l’utilizzo delle curve a contrasto che compongono la pianta, ha una logica ben ragionata e tutti gli spazi hanno un senso architettonico ma soprattutto funzionale. Basti pensare che i quattro archi concavi della croce creano una dinamicità importante e che, in continuità con loro, altri quattro piccoli archi convessi posti agli angoli, danno alla luce delle salette di attesa.


Fig. 3 Pianta del vestibolo dell’Accademia denominato Belvedere


Questo nuovo approccio allo sviluppo di modelli curvilinei è riscontrabile anche nel già citato Teatro Marittimo. La Residenza nella Residenza, una rivisitazione di una domus in proprio stile, un rifugio dove comporre le proprie poesie e staccare dal mondo esterno. Questo splendido gioiello, luogo d’isolamento dell’Imperatore si presenta come un’isola all’interno di un grosso porticato ionico circolare diviso dalla costruzione da un canale d’acqua e collegato ad esso con da due ponti levatoi. In pianta vediamo come l’uso delle curve permette di creare una simmetria che in realtà non esiste (un po’ come nel caso dei Propilei dell’Acropoli di Atene, dove per problemi di carattere orografico, ci fu l’esigenza di spezzare la simmetria, riuscendo però a restituirla in modo apparente). Giochi di curve concavo convesse predominano l’impianto del Teatro Marittimo (così chiamato perché all’interno vi sono diversi fregi con richiami alla mitologia marina), un gioco compositivo estremamente armonico e tutt’oggi eccezionale. Dove però Adriano riuscì ad anticipare i tempi di circa 1500 anni, fu nella Piazza d’Oro (fig. 4). Monumentale edificio dalle forme sinuose e decisamente barocche. Dal ruolo tricliniare, questa costruzione aveva la funzione di stupire il più possibile gli ospiti, che potevano raggiungere fino a un totale di 370. Ancora oggi è tra gli edifici più studiati della Villa considerando la splendida soluzione architettonica scelta dall’Imperatore: un gioco di curve continue su di un’impostazione a croce che, ammirando una ricostruzione tridimensionale moderna, ci fa credere di trovarci in una chiesa barocca romana. L’incredibile lungimiranza compositiva di Adriano non si limitava solo al triclinio principale ma lo si ritrova anche in un piccolo porticato ondulatorio a nord-est, che fiancheggia il peristilio dell’area centrale e dà accesso ad un ambiente absidale. Se si vuole forzare un po’ l’immaginazione, provando a specchiare l’elemento (fig. 5) e si congiungessero le estremità con due semicerchi, avremmo una figura molto simile e certamente riconducibile alla Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane a Roma, di Francesco Borromini.


Fig. 4 stralcio di pianta della Piazza d’Oro



Fig. 5 Porticato nord-est della Piazza d’Oro. Pianta specchiata per prova visiva.



Prima di passare al prossimo paragrafo, vorrei sottolineare la mia convinzione nel credere l’Imperatore Adriano tutt’altro che un Architetto dilettante. Penso che analizzando tutte le opere che ci ha lasciato (la Biblioteca di Atene, il Santuario di Venere a Roma, la Villa Adriana ecc…), viene da sé che l’idea, il concetto o comunque il seme ideologico dei progetti apparteneva totalmente all’Augusto. L’incredibile distacco dai canoni soliti dell’architettura e la meravigliosa rielaborazione dell’idea compositiva, fanno di Adriano, a mio avviso, un Architetto decisamente colto e di spessore.


BORROMINI, LE OPERE E LE INERENZE CON LA VILLA

Riassunta la vita di Borromini e spiegato “il nuovo stile” Adrianeo, possiamo ora descrivere alcune tra le più importanti opere romane dell’Architetto di Bissano. Prenderemo in considerazione la Chiesa di Sant’Agnese in Agone (fig. 6), quella di Sant’Ivo a La Sapienza e la piccola, ma non meno prestigiosa, Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane (conosciuta anche con il nome di San Carlino). Partiamo dall’opera di Piazza Navona. Iniziata dagli Architetti Girolamo e Carlo Rainaldi, la soluzione iniziale non soddisfò il Papa Innocenzo X che nel 1652 ne affidò la direzione a Borromini. Limitato da ciò che era già iniziato, decise di demolire l’esterno e mantenere la pianta centrale variandone alcuni aspetti, accentuando le esedre orizzontali e distaccando alcune delle colonne d’angolo. La vera rivoluzione infatti la ritroviamo in facciata, dove l’Architetto decise di rielaborare la pianta arretrando delle parti e rendendole concave, dando così un movimento curvilineo nell’aspetto finale della chiesa. Seppur fortemente influenzato dai lavori già iniziati e dal progetto del Rainaldi e soprattutto dall’impedimento nel 1657 di continuare con la direzione del progetto, Borromini riuscì comunque a regalarci quest’aspetto tanto elegante quanto armonioso dell’utilizzo delle curve, firma d’autore dell’Architetto.


Fig. 6 Facciata di Sant’Agnese in Agone, Piazza Navona - Roma



Opera che probabilmente è l’icona indiscussa del Barocco romano e dove Borromini riuscì ad esprimere il massimo è sicuramente la Chiesa di Sant’Ivo a La Sapienza. I lavori iniziarono nel 1643 e terminarono nel 1660 e il progetto fu fortemente influenzato dalla forma quadrata dell’area di ubicazione dell’edificio che indusse così l’Architetto a pensare a una pianta centrale. Borromini creò una delle soluzioni geometriche più interessanti e originali di sempre, anche se un modello simile è riscontrabile in un disegno di Baldassarre Peruzzi (1481-1536) (conservato agli Uffizi, Firenze) e non è da escludere che tale impostazione di progetto era già conosciuta, ma poco studiata. La scelta consiste nel sovrapporre due triangoli equilateri in modo tale da formare una Stella di David e trasformando le punte della stella, in modo alternato, in esedre semicircolari e in nicchie trapezoidali (fig. 7). La facciata è suddivisibile in due parti, la parte inferiore che si sviluppa seguendo un andamento concavo e che raccorda i due porticati già realizzati da Giacomo Della Porta (1532-1602), e la parte superiore che contrasta con quella inferiore data la convessità ad andamento mistilineo del tiburio. Ancora più sorprendente, inoltre, è la scelta geometrica della Lanterna (fig. 8) che si sviluppa su di un impianto alternato convesso che termina con la famosa spirale di cui ancora oggi ammiriamo l’armoniosa eleganza.



Fig. 7 Pianta di Sant’Ivo a La Sapienza







Fig. 8 Lanterna a spirale di Sant’Ivo a La Sapienza



Borromini fu incaricato nel 1634 di realizzare il convento presso le Quattro Fontane dall’Ordine dei Trinitari. Nel 1638 inizia con i lavori della costruzione della Chiesa di San Carlo, che terminerà nel 1640, ad eccezione della facciata che, progettata in più riprese, non sarà finita prima del 1682 (dopo la morte dell’Architetto e sotto la direzione del nipote Bernardo). Se in Sant’Ivo riesce ad esprimere il massimo concetto del Barocco romano, in San Carlino Borromini ci dà dimostrazione di tutta la sua genialità. La Chiesa ha le dimensioni di un solo pilone di San Pietro in Vaticano e lo spazio ristretto e allungato non permettevano scelte troppo argute. Nonostante ciò l’Architetto di Bissano riesce a realizzare una delle piante più geniali e avanzate che siano mai state concepite nell’immaginario architettonico mondiale. La forma allungata dell’ottagono si scompone e ricompone con un susseguirsi di dolci curve sinuose, accentuate dal dotto utilizzo delle colonne e dalla cupola ellittica cassettonata con croci, esagoni ed ottagoni intricati (fig. 9). Un forte movimento, decisamente più accentuato e turbolento di quello planimetrico, lo ritroviamo in facciata (fig. 10), dove il prospetto sembra oscillare senza mai raggiungere la quiete.


Fig. 9 Pianta di San Carlo alle Quattro Fontane – Roma 


 Fig. 10 Facciata di San Carlo alle quattro Fontane – Roma




Siamo ben a conoscenza dell’attenzione e lo studio che Borromini aveva verso le antichità romane, soprattutto nei confronti delle rovine della via Appia e di quelle di Villa Adriana. Nell’Opus Architectonicum vi è un continuo riferimento alla dimora adrianea, presa come modello di studio dall’Architetto di Bissano. Portoghesi, nel suo libro Borromini nella cultura Europea, inoltre ci suggerisce una interessante analogia tra la Lanterna di Sant’Ivo e la ricostruzione del Montano nel suo trattato Le Antichità, di un tempietto illustrato nella tavola XV e che sarebbe stato rilevato a Tivoli. Sempre nel libro di Portoghesi leggiamo il seguente passo (pag. 378):

Un valore eccezionale riveste poi la lettura documentata, condotta da Borromini sui resti della villa di Adriano a Tivoli. – E Fu tale il timore (scrive Borromini nell’Opus Architectonicum) che io ebbi di appoggiare un voltone lungo palmi 83, e largo palmi 53, ad una muraglia che non aveva contrasto, come quella che corrisponde in piazza, che oltre l’aver fatta la muraglia grossa palmi sette, m’ingegnai nel mezzo di farvi come un sperone fatto nascere dall’ornato della facciata, come dirò a suo luogo, e non contento di questo, volsi seguire in qualche parte le pedate dell’antichi, quali non osavano di piantare le volte sopra le moraglie, ma alzando negli angoli delle camere, o sale, che facevano colonne, o pilastri, sopra quali gettavano le volte a crociera, e tutto il peso sopra quella riposava, servendo le muraglie continue solamente d’appoggio a detti pilastri, come si vede nella villa d’Adriano vicino a Tivoli, in Santa Maria degl’Angeli nelle Terme Diocleziane, ed altrove, ed ultimamente osservai questo in una cava fatta fare dall’Illustrissimo Sig. Marchese del Bufalo vicino all’ospedale di S. Gio. Laterano, dove in un tempio ritrovato sotto terra negl’angoli erano pilastri, che reggevano la volta, mi risolsi dunque nelli quattro angoli interni del detto oratorio piantare quattro pilastri per sbiercio, come si vede nella pianta, che aiutassero a reggere la volta per faticare meno le muraglie esterne, ed essendo otto anni, che fu finito, non si vede pure un minimo pelo.”

È Chiaro quindi, senza dover dimostrare altro, che Borromini fu influenzato non solo da Michelangelo e dal Peruzzi, ma anche dagli studi che condusse sulle antichità romane, in particolar modo in quella di Villa Adriana. È proprio nelle rovine tiburtine che possiamo trovare una forte anticipazione del Barocco romano. Come già descritto nel paragrafo precedente, la ricerca delle curve e di un nuovo modo di concepire l’architettura, in Villa Adriana è ben riscontrabile e anticipa la dinamicità seicentesca di quasi 1500 anni. Una bella analogia ci appare tra l’apoditèrion delle Piccole Terme e l’atrio di S. Maria dei Sette Dolori (1655 - Roma) dove Borromini ne riprende lo schema planimetrico e ne cambia il rapporto tra le pareti convesse e quelle rettilinee. Inoltre non si può non notare la similitudine tra la sala della Piazza d’Oro e la genesi progettuale di San Carlino. Come già descritte in precedenza, le piante, seppur apparentemente diverse, hanno una continuità curvilinea dettata inoltre dal ragionato uso delle colonne, poste in punti geometrici precisi e ben studiati, in modo da ricollegare la sensazione di movimento anche negli spazi vuoti. Va comunque precisato che la pianta di San Carlino non è copia di nulla ed è il frutto del genio di un Architetto che ha dedicato molto tempo allo studio e alla ricerca di determinate forme atte ad avere uno stilo proprio e riconoscibile, ma soprattutto per distinguersi dalla corrente architettonica dell’epoca e dare un segno importante della sua vita nella capitale. Sempre considerando la Piazza d’Oro, inoltre, vi è il porticato a nord-est che dà accesso ad uno spazio a esedra. Come detto nel paragrafo precedente, volendo provocare e giocare un po’ con la pianta del porticato, ci sembrerebbe di rivedere la pianta di San Carlino, ma in realtà questo movimento ondulatorio, quasi sinusoidale è molto simile a quello della facciata che alla pianta stessa, anche se in San Carlo la dinamicità è portata quasi allo stremo a differenza del porticato dove l’oscillazione planimetrica è molto più in quiete. In conclusione, quel che è certo, è che se Adriano è stato un fautore di un gusto architettonico sbocciato poi nel ‘600, Borromini è stato il genio che più di tutti è riuscito a padroneggiare un linguaggio e farlo tratto indistinguibile del proprio stile. Considerando un passo del Vasari che elogia nel suo trattato “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti”, l’Architetto Donato Bramante (1444-1524) con la seguente frase: “Perché se pure i Greci furono inventori della architettura et i Romani imitatori, Bramante non solo imitandogli con invenzion nuova ci insegnò, ma ancora bellezza e difficultà accrebbe grandissima all’arte, la quale per lui imbellita oggi veggiamo.”, anche Borromini “con invenzion nuova” è riuscito ad insegnarci la bellezza attraverso lo studio e la realizzazione di quelle che oggi consideriamo tra le più grandi ed eccezionali opere architettoniche di sempre.



FONTI BIBLIOGRAFICHE:


- Borromini nella cultura europea, Paolo Portoghesi, Laterza 1982

- Roma Barocca, Paolo Portoghesi, Laterza 1982

- Borromini La vita e le opere, Paolo Portoghesi, Skira 2020

- Saper leggere l’architettura, Mario Docci Emanuela Chiavoni, Laterza 2017

- Dizionario di architettura, N. Pevsner J. Fleming H. Honour, Einaudi 1981

- L’architettura del mondo antico, Bozzoni Franchetti Pardo Ortolani Viscogliosi, Laterza 2006

- Guida agli ordini architettonici antichi: Il Dorico, Giorgio Rocco, Liguori 1994

- Guida agli ordini architettonici antichi: Lo Ionico,
Giorgio Rocco, Liguori 2003

- L’architettura del mondo romano,
Morachiello Fontana, Laterza 2009

- Tibur pars prima,
Cairoli F. Giuliani, 1970

- Tibur pars Altera,
Cairoli F. Giuliani, 1966

- Etruscan and Early Roman Architecture, Axel Boethius, The Publican History of Art 1978

- “Viaggio a Tivoli”, Franco Sciarretta, Tiburis Artistica, 2001S

- Dintorni di Roma, Antonio Nibby

- Opus Architectonicum, Francesco Borromini

- Le vite, Giorgio Vasari

- De Architectura, Marco Vitruvio Pollione