Benvenuti nel sito ufficiale dell'A.P.S. ArcheoTibur di Tivoli (RM).NUOVO ANNALES VOL. III ANNO IV DISPONIBILE

Le origini dell'Epifania.

a cura di Dr. Stefano Del Priore.

L'Epifania, la festività che pone termine al lungo periodo vacanziero del Natale, celebra la visita a Betlemme dei tre Re Magi, dignitari di lontani Paesi stranieri giunti, seguendo il corso dei siderei astri, per onorare e deificare il Re dei Re, l'infante Gesù. La moderna tradizione, inoltre, narra che una cenciosa signora molto in là con gli anni, a cavallo di una scopa, rechi dolci per i bambini buoni e carbone per quelli disobbedienti. Cosa celano, in realtà, queste tradizioni?

Le origini remote

La data del 6 gennaio, negli antichi culti pagani, era connotata da riti legati all'accensione di fuochi sacri e di cerimonie volte alla propiziazione dell'abbondanza in ambito agricolo e naturale. Tali estrinsecazioni sono storicamente rintracciabili in Europa tra il termine dell'età del bronzo e il V secolo antecedente l'era cristiana, affondando però le radici, con molta probabilità, in periodi remotissimi e difficilmente determinabili. La sacralizzazione dei cicli dell'agricoltura oramai trascorsi, e il beneaugurarsi un nuovo periodo di fertilità per l'anno a venire, rappresentava un'ideologia ben radicata nella spiritualità dei popoli italici, così come similitudini possono essere identificate nel mithraismo, nella religione celtica e nei culti iperborei. Il 6 gennaio ricorrevano molte celebrazioni proprie di figure divine sia maschili che femminili con una predominanza delle Dee quali Isis sorella e moglie di Osiris il quale festeggiava il suo battesimo nel medesimo giorno, Frigg consorte di Óðinn-Odino, Fylla ancella e custode del divino cofanetto di Frigg, Holla signora del tempo atmosferico nella cultura germanica pre-cristiana e Perchta, divinità similare a Holla, forse una l'ipostasi dell'altra, ma con caratteristiche ben precise e delineate. Holla era una divinità alla quale giungevano i bambini che perdevano la vita prematuramente e possedeva la duplice natura di “Bianca Signora” o di “Oscura Anziana”, sovrintendendo anche alle felici unioni matrimoniali e alle nascite in generale: molte fonti lustrali, in Germania, a lei erano sacre. Perchta era una divinità femminile il cui nome significa “La Luminosa” o “La Splendente”, caratteristica delle zone alpine pre-cristiane tra le cui peculiarità rientra quelle di essere definita “Signora delle Bestie”, guardiana di boschi, foreste e di coloro che vi risiedono: una serie di similitudini assai intense con l'ellenica Ἄρτεμις-Artemide e l'italica Diana; in ambito celtico, era la consorte/metà femminile di Kernunnos, arcaica divinità indo-europea dominante la fecondità, gli animali, la virilità, la caccia e la guerra, l'abbondanza, la natura selvaggia, la morte e l'oltretomba. L'apparenza di Perchta, una delle molteplici ipostasi delle primordiali Dee Madri Signore del Creato, era doppia: ella poteva manifestarsi come una splendida e giovane fanciulla, candida e radiosa, o come un'anziana e decrepita donna, ammantata di logori abiti color tenebra. Secondo le tradizioni, dimorava in fondo a un pozzo guidando un carro con il quale conduceva l'esercito della Caccia Selvaggia, al pari di Wotan-Óðinn, e sapeva insegnare l'arte della tessitura del lino (in questo specifico aspetto, il filo e la tessitura rappresentavano la vita umana, rendendola simile alle scandinave Nornir, alle romane Parcae-Parche e alle greche αἱ Μοῖραι-Moire, divinità fatali che disponevano degli umani destini). Tali figure femminili, evoluzioni delle Grandi Dee del periodo neolitico teorizzate dall'archeologa lituana Marja Gimbutas, venivano celebrate nelle 12 notti comprese tra il 25 dicembre e il 6 di gennaio, data nella quale ancora oggi viene festeggiata l'Epifania cattolica. In quel periodo, nella profondità dei boschi, i cacciatori si potevano imbattere nel suo corteo costituito da animali selvaggi e anime: logico supporre che il suo culto fosse legato alla rigenerazione della natura e al ritorno della luce, poiché è proprio tra Natale e l’Epifania che la durata del giorno riprende a crescere, fenomeno che veniva percepito come un risveglio della forza vitale animante il Creato.


Perchta, oramai divenuta figura folkloristica privata della sua arcaica natura divina, nel Pluemen der Tugent-Hans von Vintler, Runkestein-Bolzano, 1486


Antica Roma

Non molto sappiamo delle credenze proprie degli antichi popoli italici, se non ciò che venne tramandato dagli autori romani che scrissero su di loro. Le prove archeologiche hanno restituito evidenze che, se correttamente interpretate, lasciano intuire una comune spiritualità, seppur demarcata da alcune differenze dovute a intrinsecazioni locali, le cui tracce possono esser rintracciate in Europa pressoché ovunque. I romani fecero loro tali riti, in parte derivanti dal loro retaggio latino, in parte mutuandoli dalle popolazioni che avevano sottomesso e annesso all'interno della loro grande macchina statale. Queste celebrazioni invernali divennero parte integrante del calendario romano e trovarono la loro ratio tra l'intervallo temporale comprendente il solstizio invernale e la celebrazione del Sol Indiges, del Sol Invictus e di altre eliofanie. Tra le 12 notti successive al solstizio invernale l'ultima ricopriva un ruolo cardine, poiché simboleggiava la morte e conseguente rinascita di Mater Tellus, la cui festività era poi sacralizzata il 15 di aprile. Nella religiosità romana era ferma convinzione che in queste 12 notti (non giorni: chiaro segno di come questo periodo fosse sotto la giurisdizione di figure notturne, seleniche e dunque femminili seppur conteggiato con un numero prettamente maschile e solare come il 12, evidente prova dell'arcaico passaggio dal calendario lunare al sistema misto lunisolare, avvenuto sotto il regno di Numa Pompilio) Dee della fertilità fluttuassero sopra i campi, rendendoli fertili, fecondi e pronti per la coltivazione: Abùndia, Dea dell'Abbondanza, Diana nella sua manifestazione di rigogliosità vegetale e Sàtia, Dea della Sazietà, erano la triade maggiormente onorata. Da non dimenticare è l'importanza delle celebrazioni in onore delle divinità Janus e Strenia, quest'ultima primordiale divinità sabina della prosperità poi assorbita dal mondo romano, le quali recavano seco lo scambio di doni e i convivi familiari durante il periodo dei Satunalia e con i festeggiamenti per il nuovo anno (a seguito della riforma di Quinto Fulvio Nobiliore, nel 153 a. C.).

L'Epifania nel mondo Cristiano

L'Epifania è una delle cinque feste di Precetto della religione cristiano-cattolica, da celebrarsi 12 giorni dopo il Natale: tale data ricorre il 6 gennaio per quanto concerne le chiese occidentali e le orientali adottanti il calendario gregoriano, il 19 gennaio per quelle orientali adottanti il calendario giuliano, con la formula liturgica “Ecce, advenit dominator Dominus”. Il termine, di origine pagana, deriva dal greco antico ἐπιφάνεια-Epifaneia stante a significare “apparizione, venuta, manifestazione divina, rivelazione” ed era utilizzato per descrivere l'intervento di una qualsiasi divinità attraverso segni premonitori. Assunse particolare rilievo connotato alla figura di Gesù sin dai tempi di S. Giovanni d'Antiochia (anni 344-407 dell'era cristiana), andando a simbolizzare la manifestazione del Cristo quale figlio di Dio in Terra. Attorno all'anno 150 dell'era cristiana, prestando fede ad alcune testimonianze del teologo greco Clemente Alessandrino, le comunità cristiane Basilidiane stanziate in Egitto solevano celebrare la nascita del Cristo, e la sua consequente manifestazione al mondo mortale, il 15º giorno del mese di Tybidell'antico calendario alessandrino equivalente al nostro 6 gennaio: fu solamente a partire dal III secolo, probabilmente nei primi decenni, che le comunità cristiane in oriente iniziarono ad associare al termine ἐπιφάνεια un significato ben preciso, connotato da tre segni rivelatori: l'adorazione del Cristo infante da parte dei Tre Magi, il battesimo del Cristo adulto nel fiume Nehar haYarden-Giordano e il primo miracolo effettuato dal Messia a Khirbet Qana-Cana. Secondo alcuni documenti fatti risalire a Giovanni di Nikiu, il Pontefice Giulio I promosse attorno all'anno 350 la celebrazione della natività al 25 dicembre (seppur la prima menzione di tale spostamento di data risalga al Cronographus 354, opera di Furio Dionisio Filocalo, nel quale si legge che la prima attestazione del Natale al 25 dicembre sia avvenuta sotto il pontificato di Marco I, nel 336), basandosi apparentemente su censimenti storici avvenuti in Palestina e recati a Roma dallo storico giudeo Yosef ben Matityahu-Titus Flavius Iosephus. Seppur tali documenti vennero considerati come fonti attendibili, degna di nota è la constatazione che i paleocristiani di Gerusalemme non festeggiavano assolutamente la natività il 25 dicembre: secondo l'Itinerarium a Burdigala Jerusalem usque et ab Heraclea per Aulonam et per urbem Romam Mediolanum usque, il più antico documento riconosciuto descrivente un itinerario di pellegrinaggio cristiano e composto da mano anonima attorno al 333-334, la presenza dei vescovi cristiani in Terra Santa era coincidente con la sola notte del 6 gennaio, più 8 giorni di celebrazioni liturgiche successive a tale data e vi è menzionata una festa della resurrezione del Cristo da collocarsi in primavera, dunque coincidente con l'attuale periodo pasquale. La testimonianza di Giovanni di Nikiu sembrò influenzare molto Cirillo d'Alessandria (370-444), quindicesimo Papa della Chiesa Copta e, di conseguenza, da quel momento anche le comunità copte iniziarono a celebrare la natività del Cristo il 25 dicembre. Anche Giovanni Crisostomo, in netta controtendenza con quelle che erano le credenze giudaiche dell'epoca, fu un fermo sostenitore della nascita di Gesù in dicembre poiché, con una quasi certa forzatura nella lettura arbitraria dei Vangeli, interpretando la concezione del Battista in settembre e quella del Cristo sei mesi più tardi, in marzo, dichiarò come la natività non potesse esser collocata altrove se non nell'ultimo mese dell'anno. Nelle Chiese Ortodosse d'Oriente, la ϑεοϕάνεια-Teofania, corrispettivo della nostra Epifania, è celebrata in corrispondenza del 19 gennaio del nostro calendario, esattamente 12 giorni il natale ortodosso, il 6 o il 7 di gennaio (tale basculanza di data dipende dal fatto se l'anno sarà bisestile o meno): la festività della Teofania commemora il Battesimo del Cristo nella acque del Giordano, dove nella Chiesa Cattolica tale accadimento viene posto alla prima domenica successiva all'Epifania. La ragione di tale spostamento, probabilmente, è da ricercarsi in una volontà pragmatica di scindere i flussi dei pellegrini che in quel periodo si dirigevano verso il fiume Giordano e Gerusalemme; altra motivazione assai valida va ricercata nella volontà, da parte della Chiesa cristiana, di appropriarsi definitivamente della data di celebrazione del Sol Invictus, festività che al suo interno racchiudeva onorificenze volte alla sacralizzazione di una poliantea di divinità dagli attributi solari. La “manifestazione” del Messia, avvenendo 12 giorni dopo la sua nascita, assorbiva così de facto il potente simbolismo numerico proprio dei culti pagani nei quali il numero 12, legato a profonde concezioni sacrali, recitava un ruolo cardine (non certamente un caso che anche gli Apostoli del Signore venissero considerati dodici). Così facendo, oltre a soddisfare una ratio puramente pratica con una maggiore razionalizzazione delle festività dedicate al culto cristiano, si connotò l'ascesa del bimbo di Nazareth quale Dio Creatore e Onnipotente, erede dei culti solari del mondo antico ammantato, però, di una centralità spirituale come difficilmente era accaduto in Europa, se non forse nel lontanissimo periodo neolitico con la religione delle Grandi Dee Madri.


Mosaico rappresentante l’Epifania del Signore? Null’affatto: questa splendida opera ha per figura centrale il Divino Dioniso seduto sulle gambe di Hermes, in cima al monte Nysa (il quale è personificato nel mosaico); Teogonia, Nettare e Ambrosia connotano la natura divina del neonato. Tre ninfe preparano il bagno all’infante, con una di esse che rivolge lo sguardo altrove. Tropheus, il suo tutore, si prepara a ricevere in custodia il Dio mentre Anatrophe, la nutrice, lo osserva; Nea Paphos, isola di Cipro, Casa di Aion, “Epifania di Dionysos”, IV secolo dell’era cristiana.


I Re Magi

Secondo la tradizione cristiana, i Magi furono tre saggi versati nell'arte dell'astronomia, sapienti scrutatori dei moti celesti, che seguendo un astro guida giunsero, da un imprecisato e lontano oriente, fino a Betlemme per rendere omaggio al Messia, il “Re dei Giudei”. Le fonti tacciono assai singolarmente sull'episodio, uno dei principali e più importanti della religione cristiana tale da divenire una festa di Precetto; l'unica voce in merito la si deve al Vangelo di Matteo (2,1-12), il quale narra che, regnando Erode Ascalonita il Grande (73 a. C. - 3 a. C o 4 d. C.) sulla Giudea Romana, alcuni Magi giunsero a Gerusalemme domandando al sovrano lumi sulla nascita del Messia. Erode non seppe rispondere ignorando chi fosse questo “Re dei Giudei” ma s'insospettì molto, essendo un uomo astuto, diffidente e crudele, chiedendo dunque ai suoi scribi d'indagare, nei testi sacri, dove fosse indicata la profezia concernente la nascita del Messia (Michea, 5,1); inviò così i Magi verso Beit Leḥem-Betlemme, dove secondo la profezia sarebbe nato il Re dei Re, esortandoli a riferire accuratamente il luogo, fin nei minimi dettagli, così che anche lui potesse adorare l'Eletto. I Magi, guidati dall'astro, giunsero infine presso Betlemme recando in dono a Gesù oro, incenso e mirra, regali dal profondo significato teologico (in un inno del poeta Prudenzio, sul finire del IV secolo, descrive l'oro come simbolo della regalità, l'incenso del sacerdozio e la mirra, unguento usato nella preparazione dei corpi per la sepoltura, l'espiazione dei peccati attraverso la morte: tale descrizione divenne la base per l'interpretazione simbolica dei doni nel Medioevo). I sapienti, allertati tramite una visione onirica di non far ritorno da Erode, mossero verso la loro patria prendendo un differente percorso; Erode, vistosi tradito e ingannato, diede luogo alla strage degli innocenti, con la quale ordinò di uccidere tutti i bambini presenti in Betlemme al di sotto dei due anni. Giuseppe, il padre putativo del Messia, fuggì in Egitto con tutta la famiglia, essendo stato allertato per tempo dell'imminente pericolo che correvano. Chi erano, però, questi “Magi”? Il termine connota una classe ben precisa, essendo la traslitterazione del persiano antico magūsh (accadico magūshu), transitato attraverso il greco μάγος-μάγοι/Magos-Magoi: tali erano definiti i sacerdoti e i sapienti della Mazdayasna, lo Zoroastrismo dell'Impero Persiano, la religione fondata sugli insegnamenti del profeta Zarathuštra, il credo dominante in quasi tutta l'Asia centrale fino al VII secolo dell'era cristiana, quando venne rapidamente soppiantato del neonato islamismo. Nonostante la forte assonanza con il nostro significato di “Maghi”, il significato di “Magi” sarebbe piuttosto da rendere come “saggi” o “savi”, uomini dotti e versati nelle discipline dell'astronomia e sapienti nel leggere, interpretandolo, il volere del Cielo attraverso i segni delle stelle. Un'interessante testimonianza a riguardo di chi fossero in realtà i Magi ci viene fornita dallo storico greco Ἡρόδοτος-Erodoto il quale descrisse i sapienti come sacerdoti appartenenti all'aristocrazia di etnia Media, ritenuti abili nell'uccidere e sottomettere i demoni, asservendoli al proprio volere e riducendoli in schiavitù: tale classe sacerdotale era di esclusivo appannaggio maschile. Un altro punto di notevole interesse, oltre al singolare silenzio delle fonti evangeliche, escluso Matteo, su questi eminenti personaggi consiste nel loro numero: la tradizione li ha tramandati in numero di tre ma nei testi non viene mai specificato quanti effettivamente fossero. La canonizzazione del numero deriva dal grande filosofo e dotto teologo Origene (II-III secolo), il quale stabilì che i Magi fossero tre. Il testo greco del vangelo di Matteo scrive testualmente “μαγοι απο ανατολων“, traducibile con “alcuni Magi dall'Oriente”: il numero canonico di tre è da ricondursi al numero dei doni recati dai Saggi durante la visita a Gesù, seppur a seguito di un'attenta e approfondita analisi sulla natura dei regali, ben si comprende perché fossero in quel numero. L'oro, l'incenso e la mirra rappresentavano la sfera divina, umana e spirituale del sovrano al quale erano donati, rendendo de facto Gesù assimilabile ai grandi monarchi divini dell'Oriente e, dunque, non essendo in alcun modo correlabili al numero delle persone che li recavano in omaggio: diverse tradizioni ritengono che i Magi che visitarono il Messia erano due o dodici. L'ultimo dono, in particolar modo, era il più importante poiché dalla mirra, pianta medicinale, si ottiene una sorta di resina gommosa utilizzata nella medicina e nella cosmesi: il teonimo di Gesù, il “Cristo”, ossia l'unto, abbinato al dono della mirra lo rende un Re Taumaturgo, un guaritore, un Messia di origine divina. I nomi con i quali i Magi vennero tradizionalmente conosciuti nel cristianesimo sono Gaspar, Melchior e Balthasar e godettero di un'enorme popolarità nell'arte figurativa, sin dal periodo paleocristiano: i loro nomi persiani potrebbero esser stati Larvandad,Hormoz e Gushnasaph, secondo la testimonianza delle comunità cristiane stanziate in Siria. Il ruolo che era stato riconosciuto loro, seppur pagani di nascita, era di aver contribuito alla cacciata dei demoni negli inferi, portatori di luce e primi adoratori del Messia, il quale era stato considerato come tale dai tre sacerdoti persiani, rendendoli così i primi ad aver correttamente interpretato il volere del Cielo e dell'Unico Dio. La loro evoluzione da “Saggi” a “Re” è frutto delle successive interpretazioni sull'Antico Testamento, non prive di fantasiose manipolazioni, come l'aver adattato ai sapienti persiani la profezia contenuta in Isaia (60:3) e nei Salmi (72:10 e 68:29), narrante di Re di varie nazioni in visita al Messia (“Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi.”), così come la traduzione “Magi” è una resa artificiosa atta a evitare una connotazione sgradevole per l'assonanza del termine con maghi, connotante truffatori e ciarlatani: sembra, in ogni caso, che la tradizione “regale” dei Magi sia di molto posteriore alle prime interpretazioni, risalendo probabilmente all'età costantiniana, voluta con l'intento di canonizzare e glorificare maggiormente il culto cristiano. I Magi sono citati in moltissimi testi non canonici, per lo più vangeli apocrifi, scritti e commentari sui vangeli, quali: La vita di Adamo ed Eva, il copto Libro della rivelazione di Adamo al figlio Seth, La Caverna dei Tesori (prima attestazione dei Magi definiti di stirpe regale e di etnia caldea), Il Vangelo degli ebrei e Nazareth, l'Evangelo arabo dell'Infanzia, gli etiopici Liber Nativitatis Mariae Virginis e Il Protocollo etiopico di S. Giacomo, l'Opus imperfectum in Matthaeum. Di notevole interesse è il Liber Nomine Seth, del III secolo, dove si narra della predicazione di S. Tommaso in Persia e in India e del suo incontro con i Magi. La grande popolarità dei Magi la si deve soprattutto alle moltissime fonti che li riguardano presenti nei vangeli apocrifi, testi non riconosciuti come ufficiali dalla Chiesa cattolica: i sacerdoti persiani vengono menzionati nel Protovangelo di Giacomo, nel Vangelo dell'infanzia arabo siriano, nel Vangelo dell'infanzia armeno, nel Vangelo dello Pseudo Matteo e nel Vangelo di Nicodemo. Secondo quanto tramandatoci dal viaggiatore e scrittore italiano Marco Polo (1254-1324, Venezia) nel suo “Il Milione”, egli visitò le tombe dei Magi nella città di Saba, a sud di Teheran, nel 1270 circa. Precedentemente, le reliquie dei sapienti sembra fossero nella basilica di Sant'Eustorgio in Milano costruita nel 344, voluta dal vescovo Eustorgio il quale persuadette l'imperatore Costantino a trasferire i resti dei Magi nella basilica, resti trovati da Elena madre dell'Imperatore durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa e successivamente portati presso la basilica di Santa Sofia di Costantinopoli. Nel 1162 Federico Barbarossa distrusse la basilica milanese e s'impossesò delle reliquie dei sacerdoti persiani, le quali furono trasferite due anni dopo presso il duomo della città di Colonia.


Adorazione dei Magi, affresco nelle catacombe di Priscilla, Cappella Greca, II-III secolo dell’era cristiana (220 d.C. circa): si tratta della prima raffigurazione della storia di arte paleocristiana concernente i Tre Re Magi evangelici in visita al Messia.

La Befana

Concludiamo la disamina sulle origini dell'Epifania analizzando la figura raffigurativa del periodo che, come Babbo Natale per la natività, contraddistingue l'iconografia del 6 gennaio: la Befana. Tale termine deriva dall'alterazione lessicale di Epifania, dal greco Epifaneia, giungendo così a Bifania e Befania, da cui “Befana”. E' una figura legata quasi esclusivamente al folklore della penisola italiana, rappresentata come una donna molto anziana, vestita di logori panni, la quale cavalca una scopa volando nelle abitazioni aventi bambini all'interno, ai quali recherà dolciumi e altre regalìe, collocati poi in apposite calze appese sul camino, se son stati buoni o carbone e aglio se hanno tenuto un comportamento disubbidiente. Il termine “Befana”, da intendersi come la rappresentazione di un fantoccio da appendere presso il camino, è già presente nelle inflessioni dialettali della Toscana e del Lazio settentrionale, attorno al 1300, venendo utilizzato per la prima volta da Francesco Berni nel 1535 mentre nel XVIII secolo, precisamente nel 1777, il dotto fiorentino Domenico Maria Manni scrisse il saggio "L'Istorica notizia delle origini e del significato delle Befane - Con Idillio Inedito di Benedetto Buommatei". Appare chiaro sin da subito, a seguito di quanto discusso in queste sede, che la figura della “Befana” altro non sia se non il degradamento di un'arcaica divinità appartenente a culti dove il matriarcato recitava ancora un ruolo di una certa rilevanza: una donna in grado di volare, elargire doni o punizioni, legata al fuoco dalla cui cenere sorgerà la prosperità del nuovo anno, protettrice e pedagoga dei bambini, la quale appariva nell'aspetto di una logora anziana vestita di panni bigi, contrapposta alla sua versione primaverile di fanciulla radiosa e splendente, ammantata di abiti candidi. Le similitudini con le Divinità come Perchta e Holla appaiono degne di nota, probabilmente poi arricchite da folklore legato a tradizioni strettamente locali, con dettagli differenti a seconda del luogo dove la Befana viene celebrata: la sua essenza, dunque, richiamerebbe con forza alcune figure dell'antica religione germanica pre-cristiana, venendo a conoscere una certa popolarità solo nella nostra nazione, il che risulta piuttosto singolare. Già a partire dal IV secolo, la Chiesa cattolica iniziò a condannare molto severamente le reminiscenze di culti pagani, definendole retaggi del Demonio e dunque frutto degli inganni del mondo antico: tali condanne, sovente accompagnate da veri e propri atti di repressione violenta sfocianti nella persecuzione, divennero la base, dal periodo basso medievale, sulla quale s'impiantò l'attuale nucleo favolistico di questa figura, epurata nelle sue molteplice versioni da ogni riferimento o contaminazione riconducibile al paganesimo dei millenni passati. Una leggende medievale risalente al XII secolo vuole che la Befana fosse un'anziana signora che i Magi incontrarono durante il loro pellegrinaggio verso Betlemme e che rifiutò di accompagnarli verso la meta della loro adorazione: pentitasi in seguito del gesto, iniziò a preparare e sfornare dolci con l'intenzione di consegnarli ai tre Saggi ma non trovandoli più decise di distribuire le leccornie ai bambini di tutte le case che visitava durante la sua cerca, sperando che uno di essi potesse essere l'infante Gesù. Nell'attuale cattolicesimo la figura della Befana è stata gradualmente assorbita e accettata, divenendo il simbolo di una pedagogia dicotomica dove i bambini sono istruiti al rispetto e alla bontà attraverso la disciplina di questa vecchietta elargitrice di doni o bonarie punizioni: nonostante le degradazioni subite e le trasformazioni alle quali è stata forzatamente sottoposta, la regale figura di una potente Dea dell'Inverno Boreale, Signora della Natura e benevola protettrice dei bambini, non è mai del tutto scomparsa avendo il culto cristiano potuto solamente coprire di cenere, ed elementi favolistici, la sua accecante radiosità, pari a quella di un candido manto di neve nelle gelide notti di gennaio.

Frontespizio de "L'Istorica notizia delle origini e del significato delle Befane - Con Idillio Inedito di Benedetto Buommatei", a cura di Domenico Maria Manni, Lucca e Roma, 1777; presso Francesco Quoiani, Mercante Libraio alle Convertite.



Fonti bibliografiche:

-Henri-Charles Puech “Storia delle Religioni”, Universale Laterza, 1978:
Slavi, balti, germani e celti”,
Il cristianesimo delle origini”,
Il mondo classico”,
L'Impero romano e l'Oriente”;

- Sir George James Frazer, “Il Ramo d'Oro”,"Studio sulla magia e sulla religione", Newton Compton 2006;

- Georges Dumézil, “Gli Dei dei Germani”, piccola biblioteca Adelphi, 1974;

- Gianna Chiesa Isnardi, “I Miti Nordici”, Longanesi editore, 2008;

- P.Tacchi Venturi, “Storia delle Religioni”, UTET 1954;

- Mircea Eliade, “Trattato di Storia delle Religioni”, Universale Scientifica Boringhieri, 1976;

- Gerardus van der Leeuw, “Fenomenologia della Religione”, Universale Scientifica Boringhieri, 1975;

- Friedhelm Winkelmann, “Il Cristianesimo delle origini”, edizioni Il Mulino, 2004;

- Elaine Pagels, “I Vangeli Gnostici”, Mondadori edizioni, 2005;

- “I Vangeli gnostici”, Adelphi Edizioni, 1984, a cura di Luigi Moraldi;

- Robert Graves, “La Dea Bianca”, Adelphi Edizioni, 1992;

- Alfonso Marini, “Storia della Chiesa Medievale”, Edizioni PIEMME, 1991;

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