Il 1° di maggio è il giorno i cui festeggiamenti, approssimandosi la stagione estiva, segnano il definitivo trionfo della vita sul rigore invernale. Odiernamente simboleggiava la festa dei lavoratori, giorno vacanziero per antonomasia, ma anticamente il suo significato era ben più profondo e legato alle estrinsecazioni del mondo naturale. Cosa sappiamo di tutto ciò?
Le origini remote
Nel mondo celtico settentrionale, in Britannia e Irlanda, il 1° maggio corrispondeva alla sacra festa di Beltaine, la seconda delle quattro grandi feste stagionali e calendariali: l'etimologia di Beltaine corrisponde a "Fuoco Splendente". La festività, di vitale importanza nel mondo celtico, era associata al ritorno ai pascoli, all'inizio dell'estate, alla fertilità e fungeva da beneaugurante saluto al calore solare, necessario affinché messi e pascoli potessero crescere abbondanti e sani: a tale scopo la notte antecedente Beltaine (ricordiamo che nel mondo celtico il “giorno” iniziava con il tramonto del sole e si computavano le notti) si accendevano enormi fuochi rituali, dal profondo valore sacrale, attraverso i quali si benediva il bestiame facendolo passare attraverso due falò, così da allontanare attraverso il potere purificatore del fuoco ogni possibile influenza negativa dovuta alle energie mortifere dell'inverno, e al contempo si attuava un rituale di magia simpatica il cui fine ultimo consisteva nell'invitare, attraendoli al suolo, i raggi del sole che sarebbe sorto nelle ore successive. Stando a quanto riportato nel Sanas Chormaic (il "Glossario di Cormac", testo di natura enciclopedico-etimologica contenente spiegazioni e relative etimologie di più di 1400 parole, in irlandese e latino, compilato in Irlanda nel IX secolo a opera del vescovo-re del Munster, Cormac mac Cuilennàin), l'accensione delle sacre fiamme era compito esclusivo dei Druidi i quali, disposti i fuochi a coppie di due, facevano transitare il bestiame nella zona mediana, così da benedirlo e renderlo fertile per la stagione a venire.
Le origini remote
Nel mondo celtico settentrionale, in Britannia e Irlanda, il 1° maggio corrispondeva alla sacra festa di Beltaine, la seconda delle quattro grandi feste stagionali e calendariali: l'etimologia di Beltaine corrisponde a "Fuoco Splendente". La festività, di vitale importanza nel mondo celtico, era associata al ritorno ai pascoli, all'inizio dell'estate, alla fertilità e fungeva da beneaugurante saluto al calore solare, necessario affinché messi e pascoli potessero crescere abbondanti e sani: a tale scopo la notte antecedente Beltaine (ricordiamo che nel mondo celtico il “giorno” iniziava con il tramonto del sole e si computavano le notti) si accendevano enormi fuochi rituali, dal profondo valore sacrale, attraverso i quali si benediva il bestiame facendolo passare attraverso due falò, così da allontanare attraverso il potere purificatore del fuoco ogni possibile influenza negativa dovuta alle energie mortifere dell'inverno, e al contempo si attuava un rituale di magia simpatica il cui fine ultimo consisteva nell'invitare, attraendoli al suolo, i raggi del sole che sarebbe sorto nelle ore successive. Stando a quanto riportato nel Sanas Chormaic (il "Glossario di Cormac", testo di natura enciclopedico-etimologica contenente spiegazioni e relative etimologie di più di 1400 parole, in irlandese e latino, compilato in Irlanda nel IX secolo a opera del vescovo-re del Munster, Cormac mac Cuilennàin), l'accensione delle sacre fiamme era compito esclusivo dei Druidi i quali, disposti i fuochi a coppie di due, facevano transitare il bestiame nella zona mediana, così da benedirlo e renderlo fertile per la stagione a venire.
Durante Beltaine le donne, le quali rappresentavano nel rituale il principio femminile della fertilità, agghindavano i propri capelli con rametti fioriti, soprattutto di agrifoglio. L'origine di tale, antichissima, festività è molto probabilmente da collegarsi all'ancestrale Dio Belanu/Belenus, il cui teonimo è traducibile con "Il Brillante, Il Luminoso" (dall'indoeuropeo "bhe", "luce"). Egli era una divinità protoceltica del calore e della luce solare, una delle più importanti figure divine venerate nel panorama religioso dell'uomo e la cui antichità risale direttamente a epoche remotissime: basti pensare che Bel, nel pantheon sumero, era per l'appunto il Dio della Luce, venerato a partire dal VI millennio antecedente l'era cristiana.
L'etimologia del vocabolo "bhe" si cristallizzò nel significato di "luce" partendo da un'etimologia ben più complessa, da interpretarsi come "manifestarsi all'altro mondo" oppure "irradiare dal mondo divino", il che ci lascia presupporre piuttosto chiaramente quale tipologia di divinità dovessero essere coloro i quali recavano nel nome quest'associazione etimologica: messaggeri, portatori di luce, di calore e vita, guida per le anime nell'oltretomba, patroni delle illuminazione psichiche nell'accezione mentale e spirituale del termine. Il Dio Belenus, la cui divina compagna rispondeva al nome di Belisma, rinasceva in primavera nella festa a lui dedicata per poi morire ritualmente durante Yule, la festività celebrante il solstizio d'inverno che cadeva grossomodo alla fine del nostro mese di dicembre. Gli animali a lui maggiormente associati erano i cavalli poiché, nel mondo celtico (e non solo, basti pensare al carro solare del Dio greco Helios) tali bestie erano percepite come ipostasi diretta del Dio Sole).
L'etimologia del vocabolo "bhe" si cristallizzò nel significato di "luce" partendo da un'etimologia ben più complessa, da interpretarsi come "manifestarsi all'altro mondo" oppure "irradiare dal mondo divino", il che ci lascia presupporre piuttosto chiaramente quale tipologia di divinità dovessero essere coloro i quali recavano nel nome quest'associazione etimologica: messaggeri, portatori di luce, di calore e vita, guida per le anime nell'oltretomba, patroni delle illuminazione psichiche nell'accezione mentale e spirituale del termine. Il Dio Belenus, la cui divina compagna rispondeva al nome di Belisma, rinasceva in primavera nella festa a lui dedicata per poi morire ritualmente durante Yule, la festività celebrante il solstizio d'inverno che cadeva grossomodo alla fine del nostro mese di dicembre. Gli animali a lui maggiormente associati erano i cavalli poiché, nel mondo celtico (e non solo, basti pensare al carro solare del Dio greco Helios) tali bestie erano percepite come ipostasi diretta del Dio Sole).
Il mondo romano
Nel mondo romano la festività associata a tale data non ricadeva in un singolo giorno bensì occupava più giorni, poiché dal 28 aprile al 1° maggio (o al 3 maggio, secondo altre fonti) erano celebrate le Floralia in onore della Dea Flora. Il suo culto è noto in un'epoca e in circostanze di fondazione che rendono altamente probabile un'influenza ellenica nella ritualità a lei dedicata; narra Omero che Hera, la Regina degli Dei, ingelosita dalla nascita "capitale" di Athena dalla testa di Zeus, chiese alla Dea Flora un fiore il cui semplice contatto bastò a ingravidarla: fu proprio grazie a tale fiore che Hera concepì Ares senza dover ricorrere all'atto sessuale con il suo sposo. Flora, al di là dell'influenza di matrice greca, è una Dea squisitamente romana nelle sue caratteristiche più intime. Sue tracce sono riconoscibili anche in terra sabina e sannitica (dove appare con il nome indigeno di "Fluusai Kerriai" equivalente a "Flora di Cerere"), mentre a Roma la figura preposta al di lei culto era uno dei flamines minores, il che equivale a un'attestazione garante l'antichità della devozione per questa Dea, confermata dalla presenza di Flora nell'elenco delle divinità cui sacrificarono i Fratres Arvales, i Sacerdoti Arvali.
Nel mondo romano la festività associata a tale data non ricadeva in un singolo giorno bensì occupava più giorni, poiché dal 28 aprile al 1° maggio (o al 3 maggio, secondo altre fonti) erano celebrate le Floralia in onore della Dea Flora. Il suo culto è noto in un'epoca e in circostanze di fondazione che rendono altamente probabile un'influenza ellenica nella ritualità a lei dedicata; narra Omero che Hera, la Regina degli Dei, ingelosita dalla nascita "capitale" di Athena dalla testa di Zeus, chiese alla Dea Flora un fiore il cui semplice contatto bastò a ingravidarla: fu proprio grazie a tale fiore che Hera concepì Ares senza dover ricorrere all'atto sessuale con il suo sposo. Flora, al di là dell'influenza di matrice greca, è una Dea squisitamente romana nelle sue caratteristiche più intime. Sue tracce sono riconoscibili anche in terra sabina e sannitica (dove appare con il nome indigeno di "Fluusai Kerriai" equivalente a "Flora di Cerere"), mentre a Roma la figura preposta al di lei culto era uno dei flamines minores, il che equivale a un'attestazione garante l'antichità della devozione per questa Dea, confermata dalla presenza di Flora nell'elenco delle divinità cui sacrificarono i Fratres Arvales, i Sacerdoti Arvali.
La prima attestazione certa dei Ludi Florales risale agli anni 241 o al 238 antecedenti l'era cristiana, in cui gli aediles di origine plebea Lucio e Marco Publicio dedicarono un santuario nel Circus Floralis alla Dea, a seguito di una consultazione dei vaticini custoditi nei Libri Sibillini, per ringraziarla d'aver scongiurato una terribile carestia che aveva colpito la città; una nuova attestazione risale all'anno 173 a.C., sembra per la medesima ragione di cui sopra. Nell'anno 17 dell'era cristiana l'Imperatore Tiberio consacrò un nuovo tempio a lei dedicato, sulle rovine della precedente struttura arcaica. Ella era inoltre legata strettamente alle più antiche corse di carri cittadine nel Circo a lei dedicato ed era la divinità patrona dei "uirines", la fazione dei "verdi", il che spiega la ragione della dedica di una struttura cultuale ubicata in un'area circense. Il suo tempio principale sorgeva nei pressi dell'attuale Piazza Barberini e nelle celebrazioni a lei santificate, durante le quali grandi bevute, lussuria e sfrenatezza la facevano da padroni, si eseguivano i ludi scaenici, le rappresentazioni teatrali nelle quali sovente le attrici deliziavano l'infervorato pubblico con la nudatio mimarum (la tradizione vuole che tale pratica fosse assai poco gradita all'austero Marcus Porcius Catus Censor, come ricordatoci dal poeta Marziale nel prologo del Liber I dei suoi Epigrammi); in ultimo, i giochi veri e propri nel Circo dove si eseguivano cacce rituali a capre, conigli bestie erbivore. Al termine di questa particolare forma di venatio, venivano sparse semenze come gesto propiziatorio di magia simpatica volto a favorire una rigogliosa rinascita del mondo vegetale. Nei giorni festivi dei Ludi Florales gli uomini usavano agghindare il proprio capo con corone fiorite e le donne solevano esibire vesti multicolori dalle tinte sgargianti, usanza comune e condivisa con la ben più arcaica festività di Beltaine esaminata poco sopra. Il nome della Dea, differentemente declinato, corrisponde al nome del fiore e la sua funzione divina consiste nel proteggere al momento della fioritura non tanto le piante quanto i cereali e altre forme vegetali ritenute "utili", così come gli alberi. Viene ritenuto inoltre che il suo nome, così come per Ops Consiva, fosse "IL" nomen segreto della città di Roma, nome che doveva restare nascosto e noto solamente a pochi affinché la sicurezza mistica dello stato fosse preservata poiché conoscere il nome segreto, il "vero nome" di qualunque entità, equivaleva a poterne disporre a proprio piacimento.
Flora-Primavera, metà del I secolo d.C., III stile pompeiano, affresco proveniente da Villa Arianna, Stabiae, odierna Castellamare di Stabia-Museo Archeologico Nazionale di Napoli |
Nel IV secolo il cristiano Lattanzio, al fine di screditare la religione romana ritenendola simbolo di corruzione e malvagità, narrò che Flora altri non fosse che una prostituta (evidentemente Lattanzio compì un errore sovrapponendo la figura di Flora a quella di Acca Larentia), divenuta ricchissima per aver "ben amministrato il suo corpo" e che avesse lasciato tale eredità pro populo il quale estremamente grato, con il patrimonio accumulato, iniziò a celebrare annualmente le Floralia. Tale tradizione, seppur palesemente denigratoria, così come la profonda licenza che vigeva durante i Floralia, documenta chiaramente lo stretto legame metafisico presente in Roma tra le fecondità e il piacere dei sensi, tra la fioritura della natura e la libidine del genere umano, elemento comune a moltissime altre civiltà di matrice indoeuropea, con ritualità orgiastiche e prive di freni dal carattere agricolo-pastorale volte a stimolare, attraverso un rituale sacro, le energie creatrici della Mondo. Data la sua presenza nel computo dell'antichissimo collegio sacerdotale dei Fratres Arvales, la diffusione del suo culto in ampie zone del territorio italico, la sua sfera d'influenza su fecondità, fertilità ed estrinsecazione primaverile della natura, possiamo facilmente riconoscere in lei l'eco di una Grande Dea Madre della Terra legata alla fioritura e al rinnovamento dei cicli vitali.
Tempi Moderni
In tempi più recenti possiamo attestare la celebrazione, ancora in uso in alcune zone europee e presso talune comunità stanziate nel Nord America, del Maypole o Albero delle Calendimaggio. Si tratta di un alto albero ergentesi al centro di una radura, o in altri casi di un palo, il quale viene riccamente agghindato con festoni, fiori e attorno al quale si eseguono giubilanti danze seguendo il Solem Cursus, ovverosia mimando il tragitto solare allo scopo di attuare, tramite un rituale di magia simpatica, un parallelo terrestre del movimento sidereo dell'astro tale da catturarne le benefiche energie necessarie al ritorno della stagione primaverile ed estiva (i movimenti rotatori collettivi, nella ritualità, vengono utilizzati sin da tempi immemori con funzioni magiche, volti a ottenere effetti benefici o malefici a seconda della ratio nell'utilizzo). Trattasi, in alcuni casi, di installazioni permanenti e utilizzate solo nel periodo indicato, generalmente compreso tra la Pentecoste, il 1° di maggio e la Festa di Mezzestate, mentre altrove viene eretto appositamente nei giorni relativi ai sopracitati festeggiamenti per poi esser rimosso.
Danze rituali attorno al Maypole seguendo il Solem Cursus-Goteborg, Svezia |
Tale tradizione, la cui origine deriva probabilmente da antichissimi rituali risalenti all'età del Bronzo/Ferro e appartenenti alla spiritualità delle popolazione celtogermamiche del Nord Europa veneranti un albero sacro inteso come Axis Mundi, è comprovata dal periodo altomedievale sino ai nostri giorni in moltissime zone rurali dell'Europa, seppur oramai esautorata dell'originale valenza arcaica, e conobbe la maggior popolarità nei secoli XVIII e XIX. Il significato del Maypole è tutt'oggi argomento di discussione presso gli studiosi di antropologia e di religioni sebbene l'analisi della spiritualità dei popoli germanici dell'antichità verso alberi ritenuti ultraterreni o pilastri portanti del Creato, quali la quercia sacra al Dio Thor, il frassino cosmico Yggdrasil o il sassone Irminsul, ha portato a ritenere questa tradizione l'eco di ancestrali devozioni nei confronti di ciò che fu percepito come suprema emanazione del Divino, ritualità che avevano lo scopo di propiziare il ritorno dell'Immortale Sole dalle gelide lande Iperboree ove l'astro dimorava durante i rigidi inverni caratterizzanti il Nord Europa più settentrionale.
"L'Albero Cosmico Yggdrasill con vari animali che vivono con lui e su di lui", dal manoscritto islandese Edda Oblongata del 1680-Istituto Árni Magnússon, Islanda |
Fonti Bibliografiche
- Sir George James Frazer, "Il Ramo d'Oro, studio sulla magia e la religione", Newton Compton 2006;
- P. Tacchi Venturi, "Storia delle Religioni", UTET 1954
- Henri Charles Puech, "Storia delle Religioni", Universale Laterza, 1978;
"Slavi, Balti, Germani e Celti"
"Il Mondo Classico"
-Gerardus van der Leeuw, "Fenomenologia della Religione", Universale Scientifica Boringhieri 1975
-Mircea Eliade, "Trattato di Storia delle Religioni", Universale Scientifica Boringhieri 1976;
-Georges Dumézil, "La Religione Romana Arcaica", Bur-Rizzoli 2001
-Miranda G. Green, "Dizionario di mitologia celtica", Saggi Rusconi Libri 1997;
-Marco Valerio Marziale, "Epigrammi-Prologo Liber I";
-Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio, "Divinae Institutiones", I-22;
Questo articolo è protetto dalla Legge sul diritto d'autore. Proprietari del Copyright sono l'A.P.S. ArcheoTibur e l'autore. E' vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
"Slavi, Balti, Germani e Celti"
"Il Mondo Classico"
-Gerardus van der Leeuw, "Fenomenologia della Religione", Universale Scientifica Boringhieri 1975
-Mircea Eliade, "Trattato di Storia delle Religioni", Universale Scientifica Boringhieri 1976;
-Georges Dumézil, "La Religione Romana Arcaica", Bur-Rizzoli 2001
-Miranda G. Green, "Dizionario di mitologia celtica", Saggi Rusconi Libri 1997;
-Marco Valerio Marziale, "Epigrammi-Prologo Liber I";
-Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio, "Divinae Institutiones", I-22;
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