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Le Macchine Idrauliche nell'Antica Roma

 A cura di Danilo Ceirani, Consigliere del Direttivo di ArcheoTibur


Il rapporto che i romani avevano con l’acqua è noto e indiscusso e proprio l’approvvigionamento del prezioso elemento costituì uno dei principali punti di forza della civiltà romana. Immaginate la difficoltà di convogliare nelle città l’acqua e poi proiettatevi sulla Roma del periodo d’oro, che corrispose più o meno ai primi due secoli dell’era cristiana, con una città  che era la più grande del mondo conosciuto, con un milione di abitanti che avevano bisogno di acqua. Chi governava arrivò a portare in città un miliardo di litri al giorno per mezzo di 11 acquedotti principali che insieme alle relative diramazioni misuravano oltre 500 km di scavi, ponti ed arcuazioni, con la necessità di predisporre decine di piscine per la purificazione a mezzo decantazione, di serbatoi e cisterne per la raccolta, centinaia di castelli e migliaia di km di tubazioni in terracotta o piombo per la distribuzione, per arrivare infine nelle ville, nelle domus, nelle insule ed ancora nelle fontane di ogni tipo, nei ninfei, nei bagni pubblici, nei giardini pubblici e privati, negli orti, nelle terme, nei bacini artificiali per le naumachie, un mondo in cui l’acqua era l’elemento principale. Aggiungete che i romani non conoscevano la forza motrice generata da fonti energetiche quali l’elettricità ma solo l’effetto della gravità dovuto all’evidenza oggettiva o la forza generata dalle braccia o dagli animali. Definire quindi Roma Regina Aquarum è lecito quando fu proprio l’acqua prima del gladio ad essere il grande pilastro del suo potere. Spostare quindi grandi masse di acque era difficile e dispendioso e necessitava di mezzi che ben presto i romani studiarono, perfezionarono, progettarono e costruirono. La classificazione moderna divide le macchine idrauliche in motrici ed operatrici. Le macchine motrici ricevono energia dal liquido (l’acqua ) e la trasmettono ad altri organi in movimento, la ruota di un mulino per esempio nei confronti della mola per il grano. Le macchine operatrici invece ricevono energia da organi esterni tipo un motore e la trasmettono al liquido (l’acqua) come una pompa per esempio. I romani all’inizio sollevavano l’acqua in quiete come da un lago, dal fondo di una miniera o di una nave e le macchine erano necessariamente azionate da animali o uomini. Facendo un passo indietro nella storia è ovvio che l’uomo fin dalla sua esistenza ha avuto a che fare con l’acqua e che si sia ingegnato per gestirla. Lo strumento più antico che conosciamo insieme al bilanciere è lo shaduf di cui abbiamo testimonianza in alcuni oggetti risalenti al 2500 a.C. trovati in Mesopotamia e pitture murali in Egitto, nella tomba detta TT217(*1) di Ipuy a Deir el-Medina, presso la Necropoli di Tebe (Figura 1). Questo strumento si può trovare ancora oggi in uso presso le popolazioni dell’area  africana e medio-orientale (Figura 2).

     



Figura 1 – Scena di un giardiniere intento a utilizzare uno Shaduf . Tomba di Ipuy a Deir el-Medina, sponda occidentale di Luxor, Necropoli di Tebe, XIX Dinastia (1291–1185 a.C.).





Figura 2 - Shaduf in epoca  moderna.





Il mezzo era costituito da bilancino con un contrappeso in pietra o un contenitore di argilla, sassi o terra che potevano azionare dei movimenti a pendolo sul piano verticale, una sorta di  su e giù per intenderci e un movimento rotatorio sul piano orizzontale che equivale ad un dx - sx. I vantaggi di questo strumento sono evidenti in termini di minimi sforzi per una massima resa nel sollevare e spostare i carichi d’acqua restando in una postazione asciutta. Risolto il problema della captazione come accennavamo prima, per il trasporto il bilanciere era l’altro strumento semplice e pratico, anch’esso è ancora oggi utilizzato in una vasta area del pianeta (Figura 3).

  

Figura 3 - Il Bilanciere ancora oggi in uso.       


            



Con il passare del tempo le tecniche si affinarono e di conseguenza le invenzioni prosperarono. A noi posteri è giunta un’opera meravigliosa che fu scritta da Marco Vitruvio Pollione probabilmente sul finire del I sec a.C. quando Augusto progettò la ricostruzione di Roma. Nel suo De Architectura(*2), Vitruvio descrive minuziosamente sui progetti, le tecniche di costruzione, i mezzi impiegati, i materiali e tutto quanto concerne il sapere dell’epoca in materia di costruzione. Scopriamo allora come una delle macchine idrauliche ingegnata fosse il timpano(*3) così dettagliato da Vitruvio (Figura 4):


‘’ E per prima cosa parlerò del timpano. Questa macchina non trasporta l’acqua in alto ma ne preleva velocemente una grande quantità………….. nella cavità del timpano vengono fissate 8 tavole che dividono il timpano in 8 parti uguali………..la macchina una volta impeciata secondo l’usanza navale viene posta in rotazione lungo l’asse……..e restituisce quanto incamerato dai bacini……….l’acqua cade in un contenitore di legno collegato ad un canale. Viene così  prelevata una grande quantità di acqua per irrigare gli orti o per governare le saline ’’ 



Ci troviamo, quindi, dinnanzi ad una macchina operatrice rotante molto efficace.    




Figura 4 - Il timpano descritto da Vitruvio, dal “De Architectura”, edizione del 1521.



Abbiamo detto però, sotto stretta ammissione dello stesso Vitruvio,  che il timpano non trasportava l’acqua verso l’alto, quindi come poteva essere risolto il problema? La prima macchina anche se limitata nasce da un’intuizione di uno dei più grandi scienziati dell’antichità, Archimede. Nel III sec a.C. il grande matematico dopo aver fatto i suoi calcoli prese un tubo lo avvolse ad elica attorno ad una trave e costruì una coclea (in latino cochlea, chiocciola – Figura 5)  il problema fu risolto in parte, l’acqua poteva essere trasportata da una quota all’altra senza difficoltà ma non per grandi altezze. Il suo impiego era comunque molteplice, i romani la utilizzavano per estrarre le infiltrazioni d’acqua specialmente nelle miniere o nelle sentine delle navi, per bonificare terreni o prosciugare bacini o ancora per alimentare gli acquedotti.



Figura 5 – Rappresentazione della Coclea o vite di Archimede.



Vitruvio(*4) inizia così la sua descrizione: ‘’ C’è poi una macchina che il utilizza il principio della vite, essa trasporta una gran quantità d’acqua ma non tanto in alto quanto la ruota…’’. La cosa interessante di questa macchina è la sua versatilità, in quanto pur essendo usata quasi sempre in condizione di macchina operatrice in alcuni casi può essere cambiata nella sua funzione come macchina motrice. Una bellissima testimonianza dell’impiego della coclea anche in ambito domestico è rappresentata in un affresco di Pompei nella Casa dell’Efebo (Figura 6) in cui uno schiavo è intento a raccogliere acqua per mezzo di una coclea.



Figura 6 - Tipo di coclea raffigurata a Pompei, nella cosiddetta Casa dell’Efebo, vicolo dell’Efebo, traversa di Via dell’Abbondanza.



Il problema della quota fu risolto dai romani con la costruzione della ruota perfezionando un sistema già conosciuto come fu per la vite di Archimede. Per quanto concerne le testimonianze anche archeologiche abbiamo un vasto riscontro di scoperte ed abbiamo pertanto potuto approfondire gli studi. Sempre Vitruvio(*5) ci da questa indicazione riguardo la ruota idraulica:

’ Se si deve sollevare l’acqua più in alto, si ricorre ad un principio analogo a quello del timpano, la ruota intorno all’asse sarà di una grandezza tale da raggiungere l’altezza prestabilita. Sulla circonferenza di massimo diametro si fisseranno dei piccoli contenitori quadrati resi impermeabili con pece e cera. Quando la ruota sarà messa in rotazione dai piedi dell’operatore, i contenitori, sollevati pieni d’acqua, raggiunta la sommità e invertendo di nuovo il moto verso il basso riverseranno nel canale quanto da loro sollevato ‘’. 





Figura 7 - Ruota con contenitori laterali 






Figura 8 - Ruota con contenitori  incorporati.



L’impiego delle ruote fu utilizzato ovunque fosse necessario trasportare acqua a quote relativamente elevate. La ruota idraulica subì diverse modifiche con il passare dei secoli e i romani la perfezionarono. Tutto ciò è dimostrato dai reperti archeologici che molto differiscono dalle descrizioni di Vitruvio della prima ora. Si sono pertanto classificate due tipologie di ruote, quelle con i contenitori laterali, più vecchie e con evidenti problemi di trasporto, con quelle più funzionali con contenitori incorporati (Figure 7 e 8), di seguito una tabella esplicativa nell’arco di 6 secoli in base ai ritrovamenti.


                                 


Tipologia della ruota

Riferimento e\o località del ritrovamento

Periodo

Con contenitori laterali

Vitruvio De Architectura

Seconda metà del I sec a.C.


Terme di Mitra ad Ostia Antica (Roma)

I sec d.C.

Con contenitori incorporati

Terme dell’Invidioso ad Ostia Antica (Roma)

Prima metà del II sec. d.C.


Ruota di Dolauchoti (Britannia)

II sec. d.C.


Ruota di Verespatak (Dacia)

II sec. d.C.


Ruote di Rio Tinto e S. Domingos (Iberia – Figura 9)

II - IV sec. d.C.

                                    

Queste ruote avevano anche delle differenze sostanziali tra loro. Le macchine con contenitori incorporati sono state rinvenute più o meno in tutte le province dell’impero ove era intensa l’attività mineraria, senza tralasciare i campi da irrigare, le terme e gli acquedotti. In base al luogo di ritrovamento possiamo stabilire due macro gruppi di ruote con contenitori incorporati: il modello occidentale ed il modello orientale (Figure 10 e 11). Il modello occidentale presenta un mozzo centrale costituito da due dischi centrali circolari  realizzati ciascuno con tre strati di tavole sovrapposte.



Figura 9 – Ruota romana ritrovata nell’antica miniera romana di Rio Del Tinto, Andalusia, provincia di Huelva, Spagna.




Figura 10 - Ruota del tipo occidentale.






Il modello orientale invece presenta un mozzo centrale monopezzo su cui sono intagliate centralmente le cavità per l’alloggiamento dei raggi, questi sono singoli e a forma di pala.



Figura 11 - Ruota del tipo orientale.



Tutti i reperti archeologici oggi esibiti nei musei a Huelva, al British Museum o al Conservatoire National des artes et metieres di Parigi, oltre ai testi antichi, lasciano presagire tre tipi di diversa movimentazione esercitati sulle ruote:


Azione diretta dell’operatore sulla superficie esterna della ruota. E’ quel sistema utilizzato per sollevare acqua stagnante laddove fosse necessario. Ne abbiamo un esempio significativo su un rilievo della tomba degli Haterii (Figura 12) a Roma risalente al II sec. d.C. rinvenuta sulla via Labicana a metà del’800, appartenuta a Quintus Aterius Thitycus, Redemptor (ovverosia, appaltatore di opere pubbliche) sotto l’Imperatore Domiziano (Roma, 24 ottobre del 51 – Roma, 18 settembre del 96).



Figura 12 - Raffigurazione della ruota azionata dall’uomo rappresentata sulla tomba degli Haterii  sulla via Labicana, odierna Casilina – II secolo d.C.




Azione di uno o più animali trasmessa alla ruota mediante una coppia di ruote dentate. Il sistema poteva essere adottato quando lo spazio a disposizione non aveva limitazioni e permetteva a l’uomo di risparmiare fatica e tempo. Abbiamo però testimonianza che l’Imperò osteggiava la costruzione di queste macchine in quanto esiste uno scritto in cui Vespasiano vietò la costruzione di una grande macchina idraulica elevatrice perché lasciava senza lavoro gente già indigente(*6). Azione dell’acqua direttamente su pale radiali applicate sul fronte della ruota: IL sistema è ovvio può essere impiegato solo in presenza di acqua in movimento. Sempre Vitruvio(*7) ce ne riassume il funzionamento:



”Con gli stessi principi di cui si è parlato in precedenza, si fabbricano ruote dentate anche lungo i fiumi. Sulle loro fronti si applicano delle pinne che, spinte dall’impeto del fiume, avanzando, costringono la ruota a girare e così i modioli attingono l’acqua e la trasportano in alto senza l’azione dei piedi degli addetti. Con la sola spinta del fiume, queste riescono a sollevare quanto è necessario’’. 




Il corretto funzionamento di questo sistema viene assicurato da una complessa opera di ingegneria idraulica il quale deve mantenere invariato il livello dell’acqua sotto la ruota da movimentare, ottenendo una spinta costante sulle pale. La progettazione delle ruote idrauliche in base alle conoscenze scientifiche dell’epoca risultava complessa e può essere sintetizzata con i seguenti dati. Il numero dei contenitori incorporati, il funzionamento a sfiorare dei raggi, il compartimento orizzontale al momento dell’emersione completa della bocca e il calcolo  del posizionamento del vertice della bocca per la raccolta. Di conseguenza andavano determinati il numero dei compartimenti, il calcolo del volume da sollevare per ogni singolo dipartimento, la posizione, la forma e le dimensioni della bocca dal lato carico atte a garantire la massima altezza di prelievo e quindi definire il diametro interno della ruota e della forma della bocca dal lato scarico atto a garantire la massima altezza di scarico. Infatti dobbiamo pensare che ogni progetto doveva necessariamente partire dalla conoscenza dell’altezza totale di sollevamento. I Romani non avevano il concetto di potenza o di portata oraria e neanche conoscevano il sistema di misura decimale, non erano pertanto in grado di ricavare l’altezza da un’altra fonte come per esempio dal rapporto potenza\portata. Questo tipo di studi insieme a quanto riportato dai testi antichi e dai reperti archeologici ritrovati ci mostrano nel suo insieme senza alcun dubbio un’efficienza crescente nel tempo. Sappiamo anche che le ruote arrivavamo in cantiere per l’assemblamento suddivise nelle loro parti costituenti, le parti in ferro, in bronzo e in legno dai vari singoli laboratori di fabbri e falegnami che poi i mastri carpentieri montavano. Facendo una sintesi generale delle macchine idrauliche utilizzate dai Romani nel corso dei secoli possiamo ricavare la seguente cronologia.


- SHADUF E BILANCIERE

Se si concorda con Forbes(*8) e si fa risalire al 2500 a.C. il sigillo Sargonide conservato al Louvre, lo shaduf si presenta come la macchina idraulica con il più antico reperto archeologico. Se invece si riporta tale reperto al 2000 a.C. come asserisce Hodges(*9) allora possiamo asserire che shaduf e bilanciere appaiono quasi contemporaneamente restando per ben diciotto secoli le uniche macchine utilizzate dall’uomo. E’ il periodo in cui, stabilita la propria dimora lungo i fiumi o sulle rive dei laghi, l’uomo limita il fabbisogno d’acqua all’uso personale e\o alla coltivazione di un piccolo orto. Nel III sec. a.C. a seguito del notevole impulso dato all’agricoltura da  Tolomeo III Evergete, nascono in Egitto le macchine idrauliche rotanti.



- IL TIMPANO

Esiste sicuramente nel III sec a.C. perché in tale periodo Filone di Bisanzio(*10) (floruit III secolo a.C.) presenta la sua macchina rotante che ‘’mossa dall’acqua, ruota e fischia ‘’ definendola per tutto simile alle ruote usate per l’irrigazione s dandone una descrizione del tutto simile a quella che Vitruvio 300 anni dopo darà del timpano.


- LA COCLEA

Anch’essa esiste già dal III sec a.C. come ci dicono Agatarchide(*11) e Moschion, secondo i quali la macchina sarebbe stata inventata da Archimede durante la sua visita in Egitto, o come dice Posidonio che però attribuisce allo scienziato solo la scoperta e non l’invenzione. Ritenendo valide le testimonianze di Agatarchide e Moschion la coclea nasce tra il 246 a.C. e il 241 a.C. quando lo scienziato siracusano si recò alla corte del faraone Tolomeo III Evergete.   


- LA RUOTA IDRAULICA

Più incerta appare la nascita della ruota idraulica, la citazione più antica è sempre quella di Filone di Bisanzio e sappiamo che sicuramente esiste nel I sec. a.C. da Vitruvio. Soltanto in un secondo momento, una volta perfezionata, la ruota evidenzia tuttala sua superiorità rispetto alle altre macchine, una moneta di Teodosio dimostra che la ruota era in funzione anche nel V sec. d.C.


FONTI BIBLIOGRAFICHE:


- Marco Vitruvio Pollione, De Architectura;

- Agatarchide di Cnido, Cose d’Europa: 

- “Technology in the ancient world’’, Allen Line the Pinguin Press Vigo Street, London, WI, 1970;

- ”Studies in ancient technology’’ volume II, Leiden Brill, 1985;

- Filone di Bisanzio, “Trattato di meccanica-Μηχανικὴ Σύνταξις”; 

- Casado, C.F. ‘’Ingegneria hidraulica romana’’ capitulo VI: Maquinas – Ediciones Turner, Madrid 1983;

- Danilo Ceirani, Regina Aquarum. Roma Antica e il Governo dell’Acqua., Il Levante edizioni, 2016. 


NOTE:

1- Codice alfanumerico utilizzato per indicare una delle sepolture di rango nobiliare ubicate presso la cosiddetta Necropoli Tebana sulla sponda occidentale del fiume Nilo, dinnanzi all’odierna città di Luxor, in Egitto.

2 - De Architectura, Libro X.

3- De Architectura, Libro X, capitolo IV.

4- De Architectura, Libro X, capitolo VI.

5- De Architectura, Libro X, capitolo IV.

6- Casado, C.F. ‘’Ingegneria hidraulica romana’’ capitulo VI: Maquinas – Ediciones Turner, Madrid 1983.

7- De Architectura, Libro X, capitolo V.

8- ‘’Studies in ancient technology’’ volume II, Leiden Brill, 1985.

9- Technology in the ancient world’’, Allen Line the Pinguin Press Vigo Street, London, WI, 1970.

10-Scrittore e scienziato greco antico, autore di opere di meccanica , ingegneria militare e civile. Scrisse il “Trattato di meccanica-Μηχανικὴ Σύνταξις”, perlopiù andato perduto: le parti superstiti sembrano indirizzate a un non ben specificato Ariston, destinatario dei volumi che composero l’opera. Nel qui presente testo ci si riferisce al libro Pneumatica”, capitolo 61.

11-Agatarchide di Cnido (Cnido, circa 220 a.C. - Alessandria d’Egitto, post 145 a.C.), retore, storico e geografo greco antico, autore delle Cose d’Asia in 101 libri e delle Cose d’Europa in 49 libri. Le sue opere, giunte a noi in condizione molto lacunose e frammentarie, furono scritte in attico, fluente ed elegante, ad imitazione dello stile di Tucidide.