Benvenuti nel sito ufficiale dell'A.P.S. ArcheoTibur di Tivoli (RM).NUOVO ANNALES VOL. III ANNO IV DISPONIBILE

Le cosidette Terme di Diana

 

A cura del dott. Stefano Del Priore


Nelle precedenti pubblicazioni (Annales Volumi 0 e II1) abbiamo già evidenziato quale stretto rapporto, tanto cultuale quanto meramente funzionale, la città di Tibur ebbe con le acque, tanto naturali quanto canalizzate e poi utilizzate per molteplici funzioni: in tutto ciò, ovviamente, non poterono mancare le terme, autentico tratto distintivo della civiltà romana. Tibur, con la sua sovrabbondanza di acque sia dolci che solfuree, non rappresentò di certo un’eccezione: di seguito, analizzeremo in tal senso le due testimonianze archeologiche più probanti giunte sino a noi, soffermandoci anche sulla valenza religiosa e cultuale dei ritrovamenti ivi pervenutici.


CENNI STORICI, SCOPERTE E CARATTERISTICHE ARCHITETTONICHE


A partire dai secoli XVIII e i XIX vennero effettuati copiosi ritrovamenti archeologici in quella che è la zona odiernamente occupata dalla Chiesa di Sant’Andrea, la cui natura portò spontaneamente a classificare l’area come quella un tempo interessata dalla presenza delle terme pubbliche: la prima scoperta avvenì nel 1763, consistente nel cippo2 di P. AELIUS COERANUS, il quale ricoprì la carica di Consul Suffectus agli inizi del III secolo, assieme a un braccio, un torso e una gamba, pertinenti a un’unica statua marmorea, mentre nove anni dopo fu rinvenuto un secondo cippo, che il Lanciani3 collocò a suo tempo nel Palazzo Municipale ma, oggigiorno, non identificato: il prof. Cairoli Giuliani, nonostante le ricerche, non riuscì a localizzarlo, supponendo che, in realtà, primo e secondo cippo fossero coincidenti. Il 17 maggio del 17784, invece, durante delle operazioni di scavo effettuate in un locale adibito a cantina posto di fronte la Chiesa di Sant’Andrea, venne alla luce un altro cippo marmoreo sul cui lato superiore erano chiaramente distinguibili le imprpnte dei piedi di una statua mentre l’epigrafe, incisa su di una superficie alquanto erosa, recita:



FURIUS MACCIUS / GRACCHUS V(IAE) C(AMPANIAE) / CORRECTOR FLA/MINIAE ET PICE/NI ORNATUI/ THERMARUM / DEDICAVIT.




Mentre sul lato destro è riportata l'iscrizione:



DEDICATA XI KALEND(AS) MAIAS / GALLO ET FLACCO CO(N)S(ULIBUS)5.



La dedica iniziale avvenne dunque undici giorni precedentemente alle Calende di Maggio (le Calende erano il primo giorno di ogni mese nel computo romano, il quale calcolava i giorni prima della data in questione, inserendo nel computo anche il giorno di partenza e arrivo, contrariamente ai moderni, i quali iniziano dopo la data in oggetto), ergo il 21 aprile (giorno simbolico, cadendo la celebrazione del DIES NATALIS di Roma) del 174 dell'era Cristiana, essendo in carica i consoli Gallo e Flacco; successivamente venne incisa una nuova iscrizione sul fronte, attorno al primo venticinquennio della seconda metà del secolo IV, facilmente collocabile in tale periodo grazie alla presenza di quel Graccus che ricoprì la carica di Praefectus Urbi nel biennio 376-377. Lo scavo del 13 maggio 1778 si rivelò moderatamente fruttuoso e ricco, poiché assieme all'epigrafe di cui sopra vennero alla luce anche una testa femminile identificabile con Venere o Pallade, imponenti colonne sormontate da capitelli in stile corinzio di pregevole fattura e moltissimi frammenti marmorei variopinti: il tutto, unito anche alla testimonianze epigrafica, fornisce una chiara misura dell'importanza che le terme, e questa zona della città di conseguenza, ebbero in antichità. L'anno successivo, precisamente l'11 dicembre 1779, vennero effettuate nuove operazioni di scavo presso la Chiesa di Sant'Andrea “sito vicino alle Terme Tiburtine”, a noi note grazie allo scambio di carteggi tra tra G. Corradi (definito “scavatore tiburtino”) e G. B. Visconti, dalle quali6 emersero tracciati di strade composte di imponenti selci ben connessi tra loro e muri di sostegno; il 19 giugno 1823 invece vennero scoperti frammenti di mosaico dal tal Alessandro Modesti, nella sua “grotta” ubicata in prossimità delle “Terme Tiburtine”. Il 12 dicembre di due anni dopo, il Marchese Camillo Massimo scavò7 senza successo nell'area appartenente a Felice Petrucci; nel 1828 venne alla luce un piedistallo di marmo greco, riutilizzato come zoccolo, recante l'iscrizione:



PACCEIO L. F. / Q(UAESTORI) P(RO) / OSTIENSES NAVICULARIEI8.



Tale, ulteriore, testimonianza è collocabile grossomodo in età Augustea, al pari della già analizzata Mensa Ponderaria e Augusteum9, mentre la sua originaria ubicazione presso il foro cittadino, ipotizzata dal Mancini, è oggettivamente priva di qualunque riscontro. Negli anni successivi, dal 1846, vennero effettuati ulteriori saggi, con fortune alterne: a tal riguardo, riteniamo utile riportare per intero la relazione dell'allora Ispettore Pontificio per le Antichità Tiburtine, Giacomo Maggi:


[...] alla profonfità di circa 4 metri si scopre qualche ambiente. La località si riconosce altre volta scavata, e tolta affatto la lastricazione del pavimento, che sembre esser stato di quadri di terra cotta. Oggetti rinvenuti: 1) Frammento di vaso rosso antico di circa 20 cm grosso circa cm. 3 e altro più piccolo, il cui diamentro totale poteva essere di circa 2 metri, 2) Rinvenuta testa femminile di Venere, o Pallade, in marmo pario, lavoro di eccellente scoltura con qualche mancanza10; 3) rinvenuto frammento d'iscrizione incisa in un fregio di travertino con ornati11; 4) un rocchio di colonna in Lapis Tiburtinus alto circa 1 metro dal diamentro di cm 33; 5) alcuni pezzi informi di travertino e il basamento di un pilastro; 6) un pezzo di condotto di piombo piegato a gomito dal peso di circa libbre 80; 7) 7 monete di niuna considerazione: 8) piccoli frammenti di marmi a colori diversi; 9) n. 5 frammenti d'iscrizione12; 10) un altro pezzo di condotto di piombo con altri oggetti di non considerazione dei quali si darà discarico nella imminente chiusura dello scavamento.”


Assieme all'eloquente resoconto, vennero allegati anche i calchi dei cippi di L. MINUCIUS NATALIS13, probabilmente già presente nella vicina Chiesa di San Vincenzo14 e quello di T. CLODIUS PUPIENUS15 il quale, seppur non essendo stato riportato nell'elenco poc'anzi discorso, venne quasi certamente scavato in quel preciso fragente; singolare la denuncia fatta dai proprietari delle abitazioni e dei fabbricati circostanti la piazza16, i quali lamentarono il danneggiamento di una antichissima struttura di volta, ben forte e solidissima, la quale fungeva da sostegno per la case che su di essa poggiavano: ciò avvenne a seguito della rimozione del selciato e comprova che, in passato, la piazza non era scevra da edifici. Gli scavi (o, per meglio dire, le attività predatorie) non si arrestarono e nel marzo del 1852 si ha notizia di ulteriori reperti: la relazione del Cartoni, l'Ispettore Pontificio che sostituì il sopracitato Maggi, informa che nel ricostruire una delle abitazioni danneggiate dalle precedenti attività (Casa Lolli), si notò che nelle fondamenta erano presenti due capitelli corinzi in pessimo stato di conservazione e una coppia di cippi recanti iscrizioni, l'uno lungo m. 1,22x0,67 cm e l'altro di simile lunghezza e largo 0,48 cm, ambedue dedicati ad Hercules Certenciinus17: il primo datato al 13 gennaio del 224 dell'era Cristiana18, il secondo di M. TINEIUS OVINIUS CASTUS PULCHER19, il cui Terminus Ante Quem non può esser oltre la fine del III secolo d.C. Nel settembre del medesimo anno venne praticato un saggio nei pressi dell'angolo del Prospetto della Chiesa di S. Andrea, con il rinvenimento di un basamento dalla forma rettangolare avente iscrizione frontale, all'epoca seminterrato e solo parzialmente visibile: questo particolare ritrovamento è per noi di estrema importanza ed è già stato oggetto di disamina nel passato20, trattandosi del cippo datato al 24 luglio del 184 d.C. (Figura 1), data in cui M. LURIUS LUCRETIANUS offrì a sue spese dei Munera tra venti paia di gladiatori e una Venatio, ovverosia una lotta tra uomini e bestie, nell'area dell'Anfiteatro di Bleso; oggigiorno è conservato sulle scale del Palazzo Comunale di San Bernardino. I ritrovamenti furono davvero molteplici e l'area in questione restituì una quantità di materiali considerevolmente elevata: i numerosi cippi, per lo più con dediche a Patroni Municipali, la profondità alla quale vennero individuati e la presenza in fondazione lascia intuire abbastanza agilmente di essere in presenza di un monumento pubblico di considerevole importanza, una sorta di centro attrattore per la vita cittadina e il palese riferimento del titoli di FURIUS MACCIUS GRACCHUS ad una statua ubicata ornatui Thermarum fuga qualunque dubbio circa la natura e la destinazione d'uso del complesso, del quale purtroppo ignoriamo tanto la pianta quanto l'effettiva estensione. La scoperta del 1846 dei vari ambienti pavimentati con “quadri di terraccotta” lascia supporre che ci si trovasse in presenza dei piani inferiori delle suspensurae21, sul quale dovettero essere allocate le colonnine fungenti da pilastri sorreggenti per il pavimento vero e proprio; altri saggi operati nel Vicolo del Labirinto hanno posto in luce uno specus, mentre mura in Opus Reticolatum sono apparse, e immediatamente ricoperte, durante le opere di rifacimento della pavimentazione della Chiesa di Sant'Andrea, mentre altre strutture soggiacciono al di sotto della sacrestia, della case insistenti su Vicolo del Labirinto, sotto Casa Trusiani ubicata in Vicolo Torlonia e in Via dei Sosii, i quali vengono tutti generalmente classificati come facenti parte del complesso termale.




Figura 1 - Cippo di M. Lurius Lucretianus, Palazzo Comunale di San Bernardino, Tivoli.





Per quanto concerne le iscrizioni prese in analisi, escludendo quelle di età repubblicana, molto probabilmente da considerarsi non pertinente all'ambito, il quadro temporale è piuttosto ampio e abbraccia un periodo compreso dalla seconda metà del I al IV secolo d.C., con le terme ancora perfettamente funzionanti sul finire di quest'ultimo: le varie evidenze in Vicolo Torlonia e Del Labirinto, classificabili in periodi che vanno dal I secolo dell'era Cristiana sino a successivi restauri di età Adrianea e tardo – imperiale, possono aver fatto parte di complessi più antichi sui quali, in periodo imperiale, vennero a impiantarsi le terme cittadine. Volendo operare una stima approssimativa circa l'estensione dei bagni pubbblici, possiamo immaginarle come comprendenti l'area della Chiesa di Sant'Andrea, l'omonima piazza, la sacrestia, il giardino del Palazzo Lolli e parte delle abitazioni poste ai lati e dirimpetto la chiesa. A ogni modo, sappiamo che di complessi termali con funzioni analoghe ne esistessero altri, a Tivoli (il che non deve certo soprendere, considerata la sovrabbondanza di acque della città di Tibur): un codicillo testamentario22 piuttosto interessante concedette alla cittadinanza l'utilizzo di bagni privati per un periodo pari a 10 mesi l'anno. A riguardo del sopracitato Palazzo Lolli, si rende necessario un breve approfondimento circa i locali seminterrati un tempo proprietà della medesima famiglia e oggi sede del ristorante “Alle Terme di Diana”, in Via dei Sosii: dopo circa venti anni di lavori di pulizia, sgombero e svuotamento dai detriti, sono emersi una serie di ambienti (Figure 2, 3 e 4) estremamente interessanti (già parzialmente analizzati dal Giuliani nei decenni passati) disposti su vari livelli, tra i quali si annoverano sale, intercapedini, corridoi e criptoportici, oggi tutti facenti parte del ristorante già menzionato. La pavimentazione si trova a circa m. 1,50 al di sotto dell'odierno piano di calpestio stradale e l'intero complesso si articola principalmente in due spaziosi vani in Opus Reticolatum di calcare locale23: l'ambiente orientato a NO misura 5,80 x9,40 m., coperto da una volta a botte a sesto fortemente ribassato, con un altezza massima di 2,70 m.; il pavimento è ancora l'originale in Opus Signinum24, mentre l'ambiente contiguo, separato dal primo attraverso una parte spessa circa 1 metro, è di m. 6,48x9,40, diviso in due corridoi da un filare di pilastri a spina. Le dimensioni dei due pilastri superstiti, che un tempo dovettero essere tre, variano da m. 0,70x0,75 a 0,60x0,75; i corridoi erano coperti con una coppia di volte a botte di andamento parallelo a tutto sesto, tale da modellarsi così in due piccoli criptoportici25: la porzione superiore della volta fu soggetta a crollo in età imprecisata e sostituita in età medievale. Ambedue gli ambienti erano posti in comunicazione, attraverso due aperture, con l'antico asse viario, composto da “grossi poligoni di lava basaltina, alcuni anni or sono discoperta nella discesa del Ciocio26”, il quale si snodava al di sotto l'odierna Via dei Sosii e che dal Trevio serviva a porre in comunicazione direttamente con la Via Valeria senza dover transitare per l'Acropoli. Gli antichi resti, oggetto di un pregevole studio da parte di D. Raiano, sono posti al di sotto del vicino palazzo Lolli-Bellini, ove si dispiegava un ampio portico affiancata ad altri ambienti, i quali sono oggi utilizzati come sale del ristorante. Appare alquanto evidente, al di fuori di ogni ragionevole dubbio, che gli ambienti poc'anzi descritti appartennero al complesso termale, mentre l'attribuzione di quest'ultimo alla Dea Diana, grazie alla presunta presenza di un tempio a lei dedicato e un tempo insistente sulla moderna area della medievale Chiesa di Sant'Andrea Apostolo, appare un'ipotesi abbastanza forzata, soprattutto in virtù del suo esser stata ricavata da una sequela di interpretazioni, a nostro giudizio, errate. L'origine della congettura deve essere ricercata nello storico Fausto Del Re, il quale avendo rinvenuto a Tivoli una buona quantità di epigrafi dedicatorie a Diana27 e rammentando il suo appellativo di Trivia, pensò di porre quest'ultimo in relazione al Trevium (Trevio) posto nelle circumvicinanze dell'edificio cultale cristiano28: come spiegato dal prof. Sciarretta, il termine “Trevio” trae la sua origine dal vocabolo latino Trevium (da “ter” + “via”), ovverosia dal punto di convergenza di tre vie, e non dunque relazionabile al Triplice aspetto Selenico di Diana. Bisogna assolutamente sottolineare che, per l'imponente fabbisogno idrico che tali strutture richiedevano, la loro loro alimentazione dovette avvenire attraverso uno, o più, acquedotti esclusivamente tiburtini e dunque slegati dai quattro “romani”29 transitanti per la Valle dell'Aniene e nei pressi di Tibur, oppure con delle condotte prelevanti acqua da quest'ultimi, seppur questa seconda ipotesi appare improbabile per via del grande quantitativo richiesto per il funzionamento delle strutture termali. Dalla carta archeologica redatta dal prof. Cairoli Giuliani nel 1970, non si può fare a meno di notare l'impressionante numero di strade convergenti nell'area dell'attuale Chiesa di Sant'Andrea, chiaro segno di come la zona fu, in età classica, un importante centro aggregante della vita cittadina: oltre le terme, possiamo immaginare anche la presenza di uno, o più, edifici pubblici quali templi, una nuova Curia o Senato (a lungo cercati in propinquità di San Paolo e dell'attuale Palazzo del Seminario, assieme al presupposto luogo di culto di Iuno Curitis30).








Figure 2, 3 e 4 - Ambienti ipogei nell'odierno ristorante “Terme di Diana”, Tivoli – Dettagli dei piloni, della volta e dell'Opus Reticolatum.



NOTE:


1“Gli Acquedotti, i Giganti dell’Acqua” S. Del Priore e F. Pecchi, in Annales Volume 0, pp. 203-215 e “La Chiesa di San Vincenzo”, F. Pecchi, in Annales Volume II, pp. 93-103.

2CIL XIV, 3586 (= Inscr, Ital. 99).

3Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 13047.

4Antichità Tiburtine, 12 libri, Mascardi Editore, Roma, 1611.

5CIL XIV, 3594 (= Inscr. Ital. 151); come riportato dal prof. Cairoli Giuliani (Forma Italiae-Tibur Pars Prima), il cippo fu sicuramente oggetto di riuso nei secoli successivi.

6Codice Topografico Tiburtino, cfr. con Documenti inediti sugli scavi di Pio VI in Tivoli, R. Lanciani, 1922.

7Sembra che il Camerlengato rimproverò aspramente il nobile, in quanto lo scavo non godeva delle necessarie autorizzazioni, seppur un paio di mesi prima di tali operazioni un permesso in tal senso era stato richiesto da tale Giovanni Scipioni.

8CIL XIV 3603 (= Inscr. Ital. 119).

9“Culti & Dei nell'Antica Tibur – Pars Sexta”, S. Del Priore in in Annales di ArcheoTtbur Volume 0, pp 51-57, ArcheoTibur – QuickEbook Edizioni 2019.

1013 marzo 1847; attualmente la testa in questione risulta murata presso le scale del Palazzo Comunale di San Bernardino.

11 CIL I² , 1489 ( = I², 1116; XIV 3622, Inscr. Ital. 25). L'iscrizione è di notevolissimo interesse storico e archeologico, recante una serie di nomi di Equites Tiburtini i quali finanziarono, a loro spese, la realizzazione di un sacello o di un edificio cultuale per tutto il popolo tiburtino.

12Tra cui evidenziamo CIL XIV, 3673 (= Inscr. Ital. 217) ed i frammenti:

1) IAN ...SA ME. I / PATRIUM …. ….. ADFE / L. D,

2) ET

3) NO

4) DIVI

13CIL XIV 3555 (= Inscr. Ital. 56).

14 “La Chiesa di San Vincenzo”, F. Pecchi in Annales Volume II, pp 93-104; QuickEbook Edizioni 2021.

15CIL XIV 3593 (= Inscr. Ital. 106).

16Tivoli nel Decennio, Sante Viola, pag. 263.

17Una delle molteplici forme devozionali di Ercole attestate nella città di Tibur, così come analizzato in “Culti & Dei nell'Antica Tibur”, S. Del Priore in Annales di ArcheoTibur Volume 0 alle pp. 13-18 e ORIGINES, pp., 295-344 QuickEbook Edizioni.

18CIL XIV 3553 (= Inscr. Ital. 57).

19CIL XIV 3614 (= Inscr. Ital. 131).

20L'Anfiteatro di Bleso, S. Del Priore, in Annales di ArcheoTibur Volume I, pp. 81-88.

21Piccoli pilastri a base quadrata, la cui funzione era di sostegno per i pavimenti rialzati di edifici pubblici o ville; erano formati da laterizi assemblati gli uni sugli altri, tali da formare delle pilae (colonnine) la cui altezza era solitamente di 50 cm; Marco Vitruvio Pollione, nel suo celebre De Architectura datato al I secolo a.C., li associò di frequente agli Ipocausta del Calidarii Termali (ambienti nei quali avveniva la combustione utile a riscaldare le acque), definendoli suspensura caldariorum. La loro invenzione viene generalmente attribuita all'ingegnere e imprenditore edile romano Gaius Sergius Orata (Lucrino, 140 a.C. - 91 a.C. circa). Le pile di laterizi, come struttura portante delle suspensure, cessarono d'essere utilizzate attorno al II secolo d.C. circa.

22Iustinianus, Digesta XXXII, 35, 3: colui che parla è un Patronus Municipii non identificabile:

Tiburtibus municipibus meis amantissimis, quod scitis balineum Iulianum iunctum domui meae, ita ut publice sumptu heredum meorum et diligentia decem mensibus totius anni praebeatur gratis". quaesitum est, an et sumptus refectionibus necessarios heredes praestare debeant. respondit secundum ea quae proponerentur videri testatorem super calefactionis et praebitionis onus de his quoque sensisse, qui ad cottidianam tutelam pertineant, quibus balineae aut instruuntur aut denique inter solitas cessationum vices parari purgarique, ut habiles ad lavandum fierent, sint solitae.

23Ovverosia, estratto dalle concrezioni travertinose formanti il terreno naturale della città di Tivoli.

24Detto anche Cocciopesto o malta idraulica.

25Molto simili, tanto per realizzazione quanto per struttura, con i criptoportici siti in Via del Tempio d'Ercole, sempre in Tivoli.

26G. Cascioli, Bibliografia di Tivoli, pagina 8.

27 Il che non deve certamente suscitar stupore, considerato il carattere boschivo della Dea, il suo ruolo egemone di Dea Confederale nell'Antica Lega Latina di cui Tibur era parte fondamentale e le fitte selve che ancora ammantavano Tivoli sino al termine del XIX secolo.

28Il che posto sono forse avanzi di detto tempio que' muri antichi, che si veggono sotto l'Ospizio, e la chiesa dei PP. Camaldolesi”;

Delle ville e dei più notabili monumenti antichi della città di Tivoli”, pag. 28, Stefano Cabral – Fausto Del Re, 1779.

29Anio Vetus, Aqua Marcia, Anio Novus, Aqua Claudia; cfr con “Gli Acquedotti, i Giganti dell'Acqua”, in Annales di ArcheoTibur Volume 0, S. Del Priore – F. Pecchi, pgg. 93-103 , QuickEbook Edizioni, Tivoli 2019.

30Cfr. con ORIGINES - Giunone. Regina di Dei, Madre e Guerriera, pgg. 412-462; Stefano Del Priore – ArcheoTibur, QuickEbook Edizioni, Tivoli, 2020.


FONTI BIBLIOGRAFICHE




CLASSICHE E MEDIEVALI

- Naturalis Historia, Plinio il Vecchio.

- Epistularum, Plinio il Giovane.

- Eneide, Publio Virgilio Marone.

- De Architectura, Marco Vitruvio Pollione.

- Digesta, Flavio Pietro Sabbazio Giustiniano.

- Geographika, Strabone.

- Silvae, Publio Papinio Stazio.

- Punica, Tiberio Cazio Asconio Silio Italico.

- Epistualae, Gaio Sollio Sidonio Apollinare.

- Epigrammi, Marco Valerio Marziale.

- Vita dei Cesari – Vita di Augusto, Gaio Svetonio Tranquillo.

- Periegesi della Grecia, Pausania il Periegeta.

- De Herba Vettonica Liber, Antonio Musa.

- Geschichte der Chirurgie, I, Berlino 1898. Gurlt, Archigene d'Apamea.

- Genetia, Celio Aureliano.

- Commentarii in Vergilii Aeneidos libros, Servio Mario Onorato.

- Digesto, Enea Domizio Ulpiano.

- Originum sive etymologiarum libri XX, Isidoro di Siviglia.

- De Re Medica, Paolo d'Egina.

- Βιβλία ἰατρικὰ ἑκκαίδεκα /Biblìa iatrikà ekkàideka - Sedici libri di medicina, Aezio Amideno.

- Possessio Sufuratarum, in Aquae Patavinae - Il Termalismo Antico nel comprensorio Euganeo e in Italia; Atti del I Convegno Nazionale, a cura di M. Basani, M. Bressan, F. Ghedini - Padova, 2010.

- Tabula Itineraria Peutingeriana - Primum Aeri Incisa et Inedita. A Franc. Christoph. De Scheyb. Lipsiae MDCCCXXIV, curavit Mario Serra, ristampa anastatica, Edizioni Magna Grecia, 2019.




MODERNE E CONTEMPORANEE


- Annales di ArcheoTibur, Volumi 0, I e II – ArcheoTibur & Quickebook Edizioni, Tivoli, 2019-2021.

- ORIGINES, ArcheoTibur & Stefano Del Priore, Quickebook Edizioni, Tivoli 2020.

- Corpus Inscriptionum Latinarum, volume XIV.

- Codice Topografico Tiburtino, cfr. con Documenti inediti sugli scavi di Pio VI in Tivoli, R. Lanciani, 1922.

- Forma Italiae – Tibur Pars Prima; Cairoli Fulvio Giuliani, De Luca Editore, Roma, 1966.

- Forma Italiae – Tibur Pars Quarta; Zaccaria Mari, Olschki Editore, Firenze, 1993.

- Guida Archeologica di Roma, Filippo Coarelli, Mondadori Editore, 1994.

- Viaggio a Tivoli, Franco Sciarretta, Tiburis Artistica Edizioni, Tivoli, 2001.

- Tivoli nel Decennio, Sante Viola.

- Bibliografia di Tivoli, G. Cascioli.

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- Sulle Acque Albule presso TivoliAnalisi Chimica, Roma, B. Viale & V. Latini, 1877. QuickEbook Edizioni, Tivoli, 2015.

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- Voyage d'un Français en Italie fait dans les années 1765 et 1766, Joseph-Jérôme de Lalande.

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- De Aquis Albulis, Andrea Bacci, Roma, 1568.

- Scavi della Storia di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità, Rodolfo Lanciani.

- Antichità Tiburtine capitolo V, A. Del Re, Roma 1611.

- Viaggio a Tivoli: antichissima cittá latino - sabina, fatto nel 1825, Filippo Alessandro Sebastiani.

- “Guida del museo lateranense profano e cristiano”, O. Marucchi, Roma, 1922.

- Il Santuario Ritrovato. Nuovi Scavi e Ricerche al Bagno Grande di San Casciano dei Bagni, Emanuele Mariotti e Jacopo Tabolli, “Sillabe” Edizioni, 2021.