Benvenuti nel sito ufficiale dell'A.P.S. ArcheoTibur di Tivoli (RM).NUOVO ANNALES VOL. III ANNO IV DISPONIBILE

L'Ars Gladiatoria - I° parte

A cura del dott. Stefano Del Priore.

"Mosaico del Gladiatore", Roma, circa 320 d.C., Galleria Borghese.


I Gladiatori, figure d'insondabile fascino che per millenni hanno ispirato la fantasia di scrittori, artisti, storici e archeologi. Le gesta di alcuni di loro animano ancora l'immaginario comune quali eroi che, sfidando morte e sofferenze nell'arena, si guadagnarono la libertà; altri ancora, come il leggendario trace Spartacus, arrivarono persino a dar luogo alla terza e ultima Guerra Servile(*1), tra il 73 e il 71 a.C., radunando un possente esercito di ribelli, schiavi, reietti e osando sfidare la grande potenza della Repubblica Romana. I Gladiatori, e gli anfiteatri luoghi delle loro gesta, sono inscindibilmente legati all'immaginario comune di Roma, un palcoscenico che troppo spesso è stato frutto d'interpretazioni errate volte ad esaltare la crudeltà e la spietatezza del popolo romano intento a godere del suo passatempo prediletto, i Ludi (“giochi”) Gladiatorii.

I più antichi combattimenti gladiatori avvenivano nei Fora, le piazze cittadine cuore dei principali avvenimenti pubblici e vi si poteva assistere prendendo posto su costruzioni temporanee in legno, chiamate Maeniana, una sorta di balconate lignee antesignane delle tribune posizionate sopra le botteghe: i munera ( dal termine munus, ovverosia “offerti in dono”) in onore di Giunio Bruto Pera, i primi celebrati a Roma, si svolsero nel Foro Boario, dunque l'area destinata agli scambi commerciali nei pressi del fluviale Portus Tiberinus, voluti dai suoi figli Marcus e Decimus durante il consolato di Appio Claudio Cieco. Inizialmente i munera gladiatori ebbero prevalentemente un significato magico-religioso, indirizzato alla soddisfazione dell'anima del defunto al quale erano offerti, come superbamente testimoniato dai primi giochi organizzati in Roma di cui abbiamo poc'anzi fatto menzione: tra la tarda repubblica e dal primo periodo imperiale in poi questa specifica funzione venne meno e iniziarono i giochi gladiatori per come ancora oggi li intendiamo, con la funzione di spettacolo ludico offerto da un ricco patrono al pubblico. Occorre, però, fare un poco di chiarezza su quanto poc'anzi premesso e affermare che nonostante la tradizione gladiatoria romana risalga all'anno 264 precedente all'era cristiana, tradizione di probabile origine campana risalente al IV secolo a.C e mutuata poi dagli Etruschi che dovettero trasmetterla ai romani, i primi anfiteatri non comparvero se non tra la fine del II e il principio del I secolo a.C. in Campania, per l'appunto.
Il più antico anfiteatro sorse forse a Capua, seguito da quello di Pozzuoli, passando poi per Cuma, Paestum, Nola e Pompei, quest'ultimo de facto il più antico di cui si abbiano tracce archeologiche tangibili. La costruzione pompeiana, databile circa al 70 a.C., venne chiamata all'epoca Spectacula giacché il termine “Amphiteatrum” non era ancora stato coniato: Spectacula è il primo nome che venne utilizzato per classificare questa tipologia di strutture, derivandolo dalla funzione dell'edificio ovverosia un luogo dal quale si “guardava” uno spettacolo. La forma ellittica dell'anfiteatro romano rispose, fondamentalmente, all'esigenza di offrire la miglior visuale possibile essendo un luogo dove ci si recava per “osservare” qualcosa, in qualsiasi punto ci si trovasse: con i suoi lati curvi tale espediente risolse in gran parte la necessità sopracitata; la distanza limite calcolata dagli architetti romani era di circa 60 metri, ossia quanto un occhio umano può tollerare per avere una visione sufficientemente nitida. Fu durante l'epoca dell'Imperatore Ottaviano Augusto che la parola Amphiteatrum comparve per la prima volta, nel De Architectura di Vitruvio datato circa all'anno 27 antecedente l'era cristiana. La parola Amphiteatrum possiede radici greche ma la sua origine è indubbiamente romana, non essendo attestata se non nel I secolo a.C.: è composta da Amphì, tutt'attorno”, e Théatron, luogo in cui si guarda [uno spettacolo]”.

L'anfiteatro sarebbe dunque “l'edificio che corre tutto intorno all'arena” e divenne sinonimo di struttura ove poter assistere a giochi, lotte, rievocazioni di miti e famose battaglie, condanne capitali e supplizi. Il prestigio che derivava dall'organizzare giochi gladiatori, spesso utilizzati come potente strumento politico volto ad agevolare l'ascesa al potere, fu anche la causa scatenante di situazioni particolarmente spiacevoli e spinose: Tacito, nei suoi Annales, narra di come durante il principato di Tiberio, notoriamente poco amante dei ludi, ci furono pochi controlli in merito e si spianò la strada agli speculatori. Nell'anno 27 dell'era cristiana, a Fidene, accadde una vera e propria tragedia poichè in occasione di munera organizzati da un libertinus di nome Attilius l'anfiteatro ligneo, costruito evidentemente con materiali e manovalanza di livello scadente e sovraccarico rispetto alla sua capienza massima, crollò prima verso l'interno e poi rovinò verso l'esterno, causando tra morti (20mila) e feriti circa 50mila vittime. A seguito di ciò il Senato pose rimedio legislando che da quel momento in avanti nessuno potesse finanziare uno spettacolo di gladiatori se non possedesse una rendita di almeno quattrocentomila sesterzi; inoltre, fu stabilito che non si costruissero anfiteatri se non su un suolo di provata solidità. Attilius, ovviamente, fu esiliato.


Ruderi dell'anfiteatro di Bleso, Tivoli, II secolo dell'era cristiana.

Forme di combattimenti tra uomini e bestie

Le Venationes, i combattimenti tra gladiatori e belve feroci atte a rappresentare simulazioni di caccia, erano certamente una componente importante nei munera che venivano offerti al pubblico: a tal riguardo abbiamo, nella nostra città, un'importante testimonianza epigrafica attualmente custodita nell'androne di Palazzo San Bernardino, la sede comunale, databile al 24 luglio del 184 d. C. (9 giorni prima delle calende di agosto), dove si testimonia che M. Lurius Lucretianus pagò il finaziamento di una Venatio e di incontri di 20 coppie di gladiatori (*2) Prima di divenire, però, una componente inscindibilmente legata ai ludi gladitorii nel senso proprio del termine, le lotte tra uomini e bestie attraversarono un lungo percorso: gli elefanti, a esempio, denominati inizialmente buoi lucani e incontrati la prima volta nel 280 a.C durante le battaglie con Pirro, Sovrano dell'Epiro, furono oggetto di prime cacce nei circhi e venationes dal 252 in poi; i circhi, solitamente, ospitavano le corse dei carri di cui i romani erano letteralmente innamorati ed erano strutture dalla forma allungata, lati paralleli, estremità ricurve delimitanti una pista con al centro la spina, l'asse divisorio longitudinale intorno al quale si svolgeva la corsa. All'estremità della spina due pilastri, le Metæ, segnano il punto di svolta dei carri, con le quattro squadre principali denominate rossa, bianca, verde e azzurra. Nell'anno 167 antecedente l'era cristiana il console Lucio Emilio Paolo Macedonico istituì l'esecuzione capitale ad bestias per punire i disertori stranieri tra le fila dell'esercito romano in occasione della battaglia di Pidna, in Macedonia (*3); nell'anno 55 presso il Teatro di Pompeo, il primo a esser costruito in muratura nella storia della città, i romani poterono ammirare una lince, un rinoceronte, una renna e un gorilla: Gneo Pompeo Magno fu duramente ingiuriato e insultato, anziché acclamato, per la crudeltà mostrata verso gli sfortunati animali. Nel 46, invece, in concomitanza del Quadruplice Trionfo di Cesare, si poté osservare una giraffa, chiamata Camaleopardis (il Cammello Leopardato, poiché essendo una specie del tutto nuova non si capì come classificarla esattamente) o Ovisfera, la “Pecora Selvaggia”: sgraziata, poco aggressiva e dalle strane fattezze non fu mai amata dal popolo romano. Alle Venationes era riservata l'esibizione mattutina, sia con combattimenti e simulazioni di battute di caccia che vedevano le fiere opposte ai Bestiarii sia con esibizioni con animali ammaestrati cimentantisi in giochi circensi; per catturare le belve senza ferirle era utilizzata la pedica dentata, una sorta di tagliola priva di denti atta a immobilizzare l'animale senza lederlo.

Mosaico raffigurante combattimenti tra Bestiarii e fiere, Damnatio ad Bestias e lotte tra bestie l'una contro l'altra,
 I secolo dell'era cristiana, Tripoli, Libia, dalla villa di Dar Buc Ammera.

Le condanne capitali e il rapporto con la gladiatura

Le condanne capitali possono essere intese come antesignane di ciò che poi divennero i giochi gladiatori negli anfiteatri: come analizzato in precedenza, le strutture precedenti alle arene erano denominate Spectacula e ospitavano una molteplicità di eventi e rappresentazioni. Le esecuzioni erano riservate a criminali che si erano macchiati di reati estremamente gravi, eticamente ripugnanti, definiti “infami”, e non punibili se non con la morte e si svolgevano durante l'ora di pranzo: incendi dolosi, omicidi, disconiscimento del Mos Maiorum, sacrilegi. I cristiani furono spesso soggetti a tale punizione poiché, nella mentalità romana, erano rei di tradimento e orribile profanazione, rifiutandosi de facto di partecipare alla vita pubblica religiosa e disconoscendo la natura divina dell'Imperatore; la pubblicità dell'esecuzione, la quale avveniva sotto gli occhi di migliaia di persone, aveva lo scopo di umiliare il condannato e fungere da deterrente per tutti coloro i quali calcassero il suo medesimo sentiero. Un sistema utilizzato per le esecuzioni era quello della tunica molesta, un tipo di indumento imbevuto di sostanze infiammabili indossato dal condannato e al quale si appiccavano le fiamme, lasciando il malcapitato a “danzare” sino alla totale combustione. Una tipologia di condanna piuttosto in voga era la Damnatio ad Bestias, nella quale i criminali erano introdotti nell'arena e costretti a cimentarsi in una lotta impari con belve feroci oppure a inscenare drammatici racconti mitologici nei quali i protagonisti degli stessi perdevano la vita a seguito di scontri con creature bestiali. Non di rado erano costretti a combattere privi di addestramento e senza speranza di vittoria poiché avrebbero continuato a battersi sino a quando non sarebbero stati uccisi: tale tipologia era denominata munera sine missione, equivalente a “giochi senza resa”. A tal riguardo, la celebre espressione “Ave Caesar, Morituri te Salutant”, intesa oramai al giorno d'oggi quasi al pari di una frase rituale presente in ogni ludus gladiatorio, è attestata solamente una volta nell'anno 52 dell'era cristiana in occasione della Naumachia volta a celebrare la costruzione del canale atto a bonificare e prosciugare le acque del lago Fucino: i criminali, condannati a morte, la pronunciarono prima d'iniziare la battaglia navale dinnanzi all'Imperatore Claudio.

I Gladiatori

Passiamo ad analizzare la figura vera e propria dei gladiatori, chi erano e quali furono le ragioni che portarono degli uomini a combattere dinnanzi a migliaia di persone in visibilio. Il termine Gladiatore trae la sua origine dal Gladius, la celeberrima spada romana, e gladiatori erano coloro i quali che a seguito di schiavitù, prigionia di guerra, condanne per crimini più o meno gravi o talvolta persino uomini liberi oberati da debiti o attratti da ricchezze e gloria, perdevano la loro libertà divenendo a tutti gli effetti degli strumenti umani atti a intrattenere il pubblico all'interno di quelle strutture denominate anfiteatri. C'è da sottolineare come, nonostante la popolarità di cui godessero, i gladiatori erano ritenuti al pari di reietti e chi decideva d'intraprendere tale cammino era considerato un infamis a livello legislativo; se avesse ottenuto successo, però, sarebbe stato coperto di onori, gloria, fama, invitato a banchetti altolocati, oggetto del desiderio delle più ricche matrone romane e pagato più di un generale dell'esercito.
Con l'Auctoramentum si designava quella categoria di uomini giuridicamente liberi che decidevano di mettere sé stessi ai servigi di un Lanista, il titolare di una palestra gladiatoria: da quel momento, seppur mantenendo una sorta di qual indipendenza, godevano di ciò che possiamo definire “libertà attenuata”; nel linguaggio giuridico erano considerati “auctoratus meus”, riferibile dunque a proprietà vere e proprie, e la loro sottrazione al titolare era classificabile come furto. Il Lanista era un impresario dedicante la sua professione ai Ludi Gladiatorii, proprietario di una Schola Gladiatorum e di numerosi gladiatori formanti la sua Familia i quali venivano acquistati, spendendo cifre più o meno dispendiose, da schiavisti e professionisti del settore. La prima scuola gladiatoria sembra sia sorta nell'anno 105 antecedente l'era cristiana a Capua, condotta dal Lanista Caio Aurelio Scauro, i cui gladiatori sembra addestrassero per conto dello Stato i soldati impiegati nelle milizie regolari. Gli schiavi acquistati venivano condotti all'interno delle palestre dove, sotto i rigidi insegnamenti del Doctor (solitamente un celebre ex gladiatore oramai ritiratosi dalle scene dell'arena), trascorrevano le loro giornate in intensi ed estenuanti allenamenti, nella speranza di poter un giorno guadagnarsi nuovamente la liberà a seguito di eroiche azioni negli anfiteatri ottenendo la rudis, la spada di legno simboleggiante lo status di uomo libero.
A seguito di un periodo di ambientamento più o meno lungo, il Lanista assieme al Doctor e al Medicus valutavano le potenzialità del Tiro (il novizio), le sue caratteristiche intrinseche, la sua abilità sul campo e lo destinavano alla classe a lui più congeniale, curandone la forma fisica, la massa muscolare e seguendone l'alimentazione: a tal proposito, la Sagina (dieta) dei gladiatori sembra fosse prevalentemente composta di legumi, cipolle, aglio, cereali, frutta, frutta secca, semi di finocchio, poca carne, latticini, miele, vino e olio, focacce d'orzo speziate con miele, infusi di fieno greco o di frutta fermentata, ritenuti bevande corroboranti ed euforizzanti. Un gladiatore oramai libero, definito rudiario, poteva optare se persistere nella sua carriera per fini economici ma ciò avvenne raramente poiché il più delle volte sceglievano il mestiere di istruttori nelle palestre gladiatorie oppure di guardie del corpo mercenarie. Taluni, i migliori, conobbero una fama tale da far apparire i loro nomi sui graffiti cittadini e divennero l'oggetto del desiderio del pubblico femminile il quale li appellava con vezzeggiativi come suspirium puellarum. Una classe particolare, denominata Cubicularii, erano utilizzati per lo più in eventi privati dove allietavano i commensali con combattimenti corpo a corpo o come guardie del corpo. Acquistare, addestrare e nutrire un gladiatore era una spesa notevole e quindi si può ben dedurre come i bagni di sangue rappresentanti da film e descritti nei romanzi siano per l'appunto un'esagerazione volta a drammatizzare la figura dei combattenti dell'area: il pubblico amava i suoi beniamini e, se non in rare occasioni segnate da comportamenti particolarmente vigliacchi, non desiderava la loro morte poiché, giudicandoli benevolmente, avrebbero potuto ammirarne nuovamente le gesta. A tal riguardo occorre sottolineare di come, sembra fino all'epoca domizianea, il giudizio finale sulla sorte di un gladiatore spettasse all'Editor (organizzatore) dei ludi: lo sconfitto poteva chiedere la missio (la grazia) alzando la mano sinistra, solitamente sorreggente lo scudo ergo quella deputata alla difesa (tranne che nel caso degli Scaevae, gladiatori mancini amati dal pubblico per il loro stile imprevedibile) e, nel qual caso fosse stata accettata, egli sarebbe divenuto un missus, un graziato. 
Di rimando, il Lanista (la cui origine del termine sembra derivare dal peggiorativo di Lanius, ovverosia “macellaio”) che avesse visto crescere in fama e importanza i suoi atleti avrebbe contestualmente migliorato la propria posizione sociale e aumentato il prestigio correlato a essa: facile dunque comprendere come, per tutti gli i soggetti coinvolti nella grande azienda dei Ludi, fosse conveniente lasciare in vita i gladiatori migliori. Ogni lottatore era tenuto a prestare un solenne giuramento denominato sacramentum gladiatorum il quale recitava: ”Uri, vinciri, verberari, ferroque necari”, traducibile con “Sopporterò di esser bruciato, legato, morso e ucciso per [onorare] questo giuramento”; alcuni di loro, al di là delle terribili parole insite nel loro voto, non combattevano se non due o tre volte l'anno e ottennero un prestigio e ricchezze tali da poter esser equiparati ai migliori aurighi del tempo. Fu in epoca augustea che i munera assunsero i caratteri tipici che li resero ciò a che noi è pervenuto dal passato: in periodo repubblicano furono giochi bellici volti a onorare lo spirito di parenti defunti, con i combattenti chiamati Bustuari poiché pugnavano attorno alla pira del morto. Già a partire dal II secolo antecedente l'era cristiana iniziarono a connotarsi come spettacoli ludici; durante il principato di Ottaviano divennero una pratica agonistica di elevato livello con l'Imperatore che ricoprì il ruolo di “inauguratore” di tali giochi; negli anni del primo impero, cominciarono a differenziarsi ed evolversi i combattenti e il loro equipaggiamento. Inizialmente bardati ed armati sul modello militare dei soldati, nel corso del tempo svilupparono uno stile proprio soprattutto nell'elmo: anticamente aperto e privo di visiera, chiuso, altamente protettivo e riccamente decorato in età giulio-claudia. La gladiatura, meccanismo poi perfezionato dai successivi imperatori, divenne un superbo strumento di propaganda politica dell'opulenza imperiale e il termine munera divenne sinonimo di “dono offerto al popolo”, oramai del tutto avulso dal significato legato ai giochi funebri che ebbe nel passato. Le palestre gladiatorie più famose e rinomate sorsero a Roma, Ravenna, Capua e Pompei.

Le Gladiatrici

Quello delle combattenti donna è un tema piuttosto misconosciuto e ancora oggi soggetto a interpretazioni erronee: iniziamo subito con l'affermare che esistettero e dovettero essere anche uno spettacolo non raro né così fuori dalla norma, se ci basiamo sull'iscrizione rinvenuta a Ostia Antica menzionante un certo Hostilianus, probabilmente un editor, il quale si gloriava d'esser stato il primo a portare le gladiatrici in città. Nell'anno 19 dell'era cristiana durante il principato di Tiberio venne emanato un senatus consultum di Larinum conosciuto come Tabula Larinas (*4) poiché ritrovata incisa, seppur incompleta, su di una tavoletta bronzea, vietante a parenti e consanguinei di senatori ed equites battersi all'interno di un'arena pena il conseguimento della stato giuridico di infamis. Tale senatus consultum rimandava a sua volta a un decreto messo in atto 8 anni prima, nell'11, de facto proibente alle giovani al di sotto dei 20 anni di esibirsi nell'anfiteatro: ciò ci lascia chiaramente comprendere come la professione della gladiatura fosse considerata disdicevole per determinati ceti sociali, che se si era percepita la necessità di vietare la gladiatura per le giovani al di sotto dei 20 anni erano esistiti dei precedenti e che comunque non lo si proibiva dai 20 in poi. Grazie alla testimonianza di Svetonio nelle Vite dei Cesari, di Marziale e di Stazio sappiamo che l'Imperatore Domiziano offrì ludi notturni alla luce delle torce con combattimenti sia tra uomini sia tra donne, aggiungendo a volta dei nani che pugnavano contro le gladiatrici, secondo Cassio Dione; Petronio, nel suo Satyricon, narra invece di una donna essedarius combattente su di un carro di stile celtico forse ispirantesi alle gesta della potente regina guerriera Boudicca. Le gladiatrici dovettero combattere a torso nudo al pari di amazzoni e non indossanti alcuna protezione per il capo, qualunque fosse la classe alla quale appartenessero. Durante il principato di Nerone, in uno dei munera offerti dall'Imperatore al popolo, apparvero sull'arena sia donne che uomini di rango senatoriale, nella veste di gladiatori e bestiari mentre nell'anno 66, in occasione dei ludi organizzati dall'editor Patrobio a Puteoli in onore di Tiridate I di Armenia, vennero fatti esibire persino donne e bambini provenienti dall'Etiopia: sembra che delle gladiatrici presero parte ai combattimenti inaugurali dell'Anfiteatro Flavio. Non tutti gli Imperatori, però, amarono questo genere di gladiatura: Settimio Severo, ad esempio, tentò di bandire i combattimenti con le gladiatrici attorno al principio del III secolo dell'era cristiana ma inefficacemente, come testimoniato da un'epigrafe rinvenuta a Ostia Antica e successiva al bando severiano. L'indizio più probante concernente la loro esistenza, seppur ancora scatenante accesi dibattiti tra i professionisti del settore, è il famoso rilievo marmoreo di Alicarnasso attualmente custodito presso il British Museum di Londra: su di esso sono rappresentate, con elevata probabilità, due gladiatrici intente a darsi battaglia. Sono raffigurate a torso nudo con i seni esposti, come le mitiche Amazzoni, indossanti le tipiche protezioni da gladiatura come gli Cnemides (schinieri), la Manica (corazza imbottita di vari materiali e cuoio) e il Subligaculum (perizoma) fissato dal Balteus (la cintura di tipo militare); imbracciano Scutum rettangolare e brandiscono un Gladius. I loro nomi di battaglia vengono enunciati come Achillia e Amazon e, poiché combatterono ambedue con onore e bravura, ottennero la missio.

Il cosiddetto bassorilievo delle gladiatrici, Alicarnasso, I-II secolo d.C., British Museum.

Approfondimenti

(*1) La rivolta capeggiata dal gladiatore ribelle Spartacus il Trace (109-71 a.C.), che scoppiò nel Ludus Gladiatorius a Capua condotto dal Lanista Quintus Lentulus Batiatus portò alla deflagrazione della Terza Guerra Servile, sedata solo dopo lunghe, costose e spesso infruttuose campagne condotte dai romani contro l'esercito di schiavi, contante decine di migliaia di unità.


(*2) Per ulteriori approfondimenti al riguardo è possibile consultare l'articolo “L'Anfiteatro di Bleso” pubblicato dalla nostra associazione e reperibile sul sito internet “www.archeotibur.org” alla sezione “Articoli- Storia e Patrimonio Artistisco e Archeologico dell'area Tiburtina”


(*3) A tal riguardo, va menzionata la Lex Petronia de Servis che legislava su come uno schiavo non potesse esser condannato a morte dal proprio padrone se prima non vi fosse stato un regolare processo con sentenza di un giudice. Precedentemente al principato di Tiberio non fu così.


(*4) Testo della Tabula Larinas: “Ordinare che alcuno presenti sulla scena il proprio figlio, la figlia, il nipote, la nipote, il pronipote, la pronipote di un senatore, né uomo [il cui padre o nonno] paterno o materno, o il cui fratello, né alcuna donna di cui il marito o padre o nonno paterno o materno o il fratello abbiano avuto mai il diritto di assistere agli spettacoli dai posti assegnati ai cavalieri, alcuno li presenti sulla scena tanto meno li faccia combattere dietro auctoramentum.”

Fonti bibliografiche:

-“Atti&Memorie della Società Tiburtina”, M. C. Leotta, 1993-1997-1998-1999;

-”Atti&Memorie della Società Tiburtina”, Riccardo Frontoni, 1997, pp.121-135 e tavv. XXV e XXXIX

-”Satyricon”, Petronius, 117;

-Epistulae morales ad Lucilium”, Lucio Anneo Seneca

-Corpus Inscriptionum Latinarum I, 590 82593 45, 46, 81 594 80

-"Morte nell'Arena. Storia e leggenda dei gladiatori", Federica Guidi, Mondadori editore, 2009

-"Naturalis Historia", Plinio il Vecchio

-"La Vita Quotidiana a Roma", Jerome Carcopino, Universale Laterza, 1971

-"V. Maximi Factorum et Dictorum Memorabilium", Valerio Massimo, II, 3, 2

-"Historiae", Publio Cornelio Tacito, II, 88, 2-3

-"Saturae", Decimo Giunio Giovenale, III 35.37, XI, 20

-”Romaikà”, Cassio Dione

-”De Vita caesarum”, Gaio Svetonio Tranquillo

-Epigrammaton Libri XII”, Marco Valerio Marziale

-”Silvae”, Publio Papinio Stazio

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