La
notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 giugno, è
nell'immaginario folkloristico moderno la notte delle streghe, di
osceni riti propiziatori, dei sabba, dei fuochi magici e
dell'adorazione degli idoli demonici: niente di tutto ciò
corrisponde a verità. Al contrario tale celebrazione, posta poco
dopo il solstizio estivo del 21 giugno, rivestiva nel passato
un ruolo fondamentale per determinare le sorti dell'anno a venire,
fungendo da catalizzatore volto ad inalveare le energie necessarie
affinché tanto il Sole quanto la Terra potessero “caricarsi”
positivamente tali da tornare a nuova vita dopo i rigori dell'inverno
garantendo fertilità, gioia, ricchezza e abbondanza.
Le origini remote
Sarebbe
quantomeno proibitivo individuare esattamente quando l'umanità ha
iniziato a celebrare festività in onore delle grandi estrinsecazioni
del mondo naturale: probabilmente tali ritualità posseggono
un'origine non determinabile e difficilmente contestualizzabile
riferendosi, de
facto,
all'adorazione di macrofenomeni naturali caratterizzanti la vita
umana sin dai tempi più immemori in quanto pittogrammi e petroglifi
dalla chiara valenza eliaca sono rintracciabili ovunque nel mondo.
Seppur ancora forte oggetto di discussione il Cromlech
di
Stonehenge, il cui complesso sacrale fu costruito in un periodo
compreso tra il 3100
e il 1600
antecedenti
l'era cristiana, sembra effettivamente esser orientato con il sorgere
del sole durante i solstizi d'estate e d'inverno, chiaro segno di
come tale, mastodontico, circolo di megaliti dovesse esser stato
posto in essere affinché rivestisse un ruolo assai importante
durante la celebrazione di ritualità estive volte a canalizzare
l'energia dell'astro solare.
Negli anni 60 Gerald
Hawkins,
docente di astronomia presso l'università di Boston, studiò
Stonehenge servendosi di un computer nel quale inserì le posizioni
del sole, della luna e delle stelle come dovettero essere nel 1600
antecedente l'era cristiana e notò particolari allineamenti tra
determinati monoliti e significativi accadimenti dei calendari
lunisolari: riuscì, contestualmente, a dimostrare che l'intero
complesso litico avrebbe potuto esser utilizzato al pari di un enorme
computer di pietra per prevedere eclissi solari e lunari. Più
recentemente si è ipotizzato che le grandi pietre possano esser
state una sorta di grande “mirino” attraverso il quale, già nel
Neolitico
britannico era
possibile individuare chiaramente altri punti sorgenti sulle
circostanti alture e, attraverso una serie di misurazioni, effettuare
una complessa serie di calcoli astronomici. E' dimostrato che
all'alba del 21
dicembre,
dunque del solstizio d'inverno(*1),
un raggio di sole attraversa chiaramente i due dolmen
posti nella parte più interna del complesso, disposti a ferro di
cavallo; all'alba del 21
giugno,
dunque durante il solstizio
d'estate,
la luce solare va ad impattare sulla cosiddetta Heel
Stone,
la “Pietra del Calcagno” nel passato nota come Friar's
Heel,
“Il Calcagno del Frate”, posta al di fuori del circolo
megalitico, lungo la strada di accesso che si snoda sulla Salisbury
Road.
L'insieme di questi fenomeni celesti, incanalati presso la
particolare disposizione dei dolmen
e
menhir,
possiede principi ciclici e scientifici che non rendono
assolutamente possibile il fattore della casualità nella loro
origine quanto, piuttosto, il frutto di accurate e precise
misurazioni atte a rendere l'intero complesso un gigantesco
osservatorio astronomico ante
litteram.
In
principio
la struttura di Stonehenge era costituita da un mero recinto
circolare munito di terrapieno e fossato, il cui ingresso era
fiancheggiato da due menhir.
Nella seconda
fase
furono realizzate ben cinquantasei buche disposte lungo il perimetro,
la cui funzione sfugge tutt'ora a un'interpretazione certa nonostante
le molte ipotesi formulate. Durante la terza
fase
vennero erette due file di pietre posizionate a ferro di cavallo e,
ragionevolmente, venne tracciata e delineata una strada di accesso.
Nella quarta
e ultima fase
fu edificata la possente struttura costituita da cinque dolmen
disposti
a ferro di cavallo come le due serie di megaliti di cui sopra e
posizionati all'interno delle file di pietre. Varie spedizioni
archeologiche hanno dimostrato che, attorno al cerchio dei dolmen,
era presente una corona litica costituita da circa sessanta menhir
oggi
del tutto scomparsa poiché, soprattutto nel periodo medievale,
l'intera struttura venne utilizzata come cava di materiali per la
costruzione di edifici civili e religiosi.
Al di là di ogni
considerazione storico-archeologica e delle possibili interpretazioni
a riguardo della funzione del complesso, resta la grande meraviglia e
il profondo stupore per la complessità del sito e l'organizzazione
necessaria affinché venisse eretto: i menhir
più
minuti pesavano circa quattro tonnellate mentre i montanti dei dolmen
raggiungevano
il ragguardevole peso di quarantacinque, con gli architravi che si
aggiravano attorno alle venticinque. Un altro famoso tempio di pietra
ove poter osservare il solstizio d'estate sorge a Callanish
sull'isola di Lewis,
nelle Na
h-Eileanan Siar,
le isole
Ebridi
esterne:
qui, quattro file di menhir
conducono in un cerchio avente quattro direzioni, formante una croce
celtica, e le pietre costituiscono un vero e proprio osservatorio
astronomico allineato con le albe e i tramonti del solstizio, così
come per gli equinozi; dettaglio interessante è che Callanish
è
posta così nord che il cielo non si oscura mai durante una notte di
mezza estate. Il medesimo discorso è valevole per il misterioso
cerchio di pietre chiamato l'Anello
di Brodgar,
nelle Orcadi,
conosciuto per secoli dalla popolazione locale come il “Tempio
del Sole”
poiché allineato all'alba di mezza estate.
A tal proposito, Diodoro
Siculo
scrisse nella sua Bibliotheca
Historica,
citando lo storico del IV
secolo
a.C.
Ecateo di Abdera,
di come vi fosse, in una terra oltre i Celti
(ossia,
oltre la Gallia)
un'isola non più piccola della Sicilia,
posta
nel Mare
del Nord,
e chiamata Hyperborea,
dal nome del vento dell'estremo settentrione che da lei nasceva.
Riportò di come gli abitanti del luogo adorassero principalmente
Apollo
e
del tempio a lui dedicato, descrivendolo come una magnifica zona
sacra ricca di offerte votive e avente un edificio cultuale sferico.
Per molto tempo si credette fosse un riferimento al circolo
megalitico di Stonehenge
e che Hyperborea
fosse la Gran Bretagna: molti passi della descrizione di Siculo,
però, non combaciano con il paesaggio circostante. Ad esempio, lo
storico romano di lingua greca scrisse che Sole e Luna sfioravano la
Terra a un'altezza molto bassa; sole e luna, però, alla latitudine
in cui si trova Stonehenge appaiono sempre piuttosto in alto
all'orizzonte e solo 500 miglia più a nord danno origine al fenomeno
descritto: grossomodo la distanza che separa il più famoso circolo
megalitico al mondo con le Isole
Orcadi.
Plausibile, dunque, che Diodoro
Siculo
si riferisse a qualche tempio megalitico posto nell'estremo Nord
della Britannia,
adibito da tempo immemore al culto del Sole nelle sue estrinsecazioni
stagionali. Nella nostra Val
Camonica,
le popolazioni locali dell'età del Ferro incidevano petroglifi nelle
rocce di questa sacra valle rappresentati il sole, sin dal neolitico.
Al giorno d'oggi, ogni anno, durante il solstizio invernale ed estivo
attorno Stonehenge
si radunano folle di decine di migliaia di persone, desiderose di
celebrare e osservare i grandi fenomeni naturali legati
all'alternarsi delle stagioni donando nuovamente, forse, al grande
monumento megalitico una delle sue funzioni originarie così come
venne inteso nel lontano neolitico britannico, migliaia di anni or
sono.
Sorgere
del sole durante il solstizio d'estate, raggi solare che filtrano
attraverso i dolmen trilitici, Piana di Salisbury, UK.
|
Antico Egitto
In
Egitto durante la stagione di Shemu
(“Raccolto”), nel mese Ipetḥemet
corrispondente grossomodo al nostro periodo intercorrente tra il 25
giugno al
24
luglio,
si
celebrava ḥeb
en shen,
la “Festa
della Bella Unione”,
denominata anche “Festa
del Sacro Matrimonio”;
era officiata a Edfu
nel
tempio di Horus
e
occupava tutto il terzo mese di Shemu,
per l'appunto Ipetḥemet.
Presentava notevoli somiglianze con la “Bella
Festa della Valle”(*2),
cadente nel mese di Chontchat
(26
aprile-25 maggio),
ma la sua serie di celebrazioni era nettamente più complessa e
articolata formando, sostanzialmente, due festività ben distinte: la
Festa
della Bella Unione
e la Festa
di Behdet.
Possiamo, dunque, discernere due momenti significativi e ben
delineati tra loro: il viaggio della Dea Hathor
da Dendera
a Edfu
diffondendo la fertilità che le era propria nelle regioni da lei
attraversate, la ιερογαμία-ierogamia
(“sposalizio sacro”, per l'appunto) tra Hathor
e Horus
a Edfu
e la nascita a Dendera
del
loro figlio Hor-sma-tawy,
equivalente a “L'Horus
che unisce le Due Terre”,
celebrazione e sacralizzazione degli Antenati appellati con il nome
di “Figli
di Râ” venuti
con lui a Edfu
dalla
“Alta
Collina”.
Seguiva
quindi la cerimonia del “Condurre
le vacche sopra il tumulo”
consistente in un occultamento della tomba affinché i profanatori
non potessero individuarla ma, al tempo stesso, ipostasi delle
fertilità esemplificata dalla penetrazione del seme nella terra tale
che potesse dare i suoi frutti; la fase culminante era il trionfo di
Horus,
la sconfitta di Seth
e
l'annientamento dei nemici.
La Festa
della Bella Unione occupava
un solo giorno mentre quella di Bedhet
i tre successivi ma, essendo la durata totale di circa 14 giorni, non
sappiamo cosa accadesse nei restanti non computati. Altrettanto
importante era il rapporto biunivoco della festività con le fasi
lunari: il viaggio di Hathor
iniziava nelle due settimane antecedenti la Luna
Nuova,
dunque nella sua fase calante, e la Sacra Imbarcazione recante
l'effige della Dea giungeva a Edfu
nel
primo giorno della Luna
Nuova;
durante la notte avveniva la
Ierogamia con
Horus
mentre nei giorni successivi di Luna
crescente
si svolgevano le ritualità relative alla Festa
di Bedhet,
occupanti circa due settimane. Al termine di tutto ciò Hathor
ripartiva per Dendera,
nel giorno della Luna
Piena,
gravida del figlio di Horus:
possiamo ben comprendere di come questo complesso sistema di riti
collegati ai calendari lunisolari e coinvolgente divinità
estremamente potenti, la cui sfera di dominio spaziava dalle ipostasi
eliache a quelle della fertilità, avesse lo scopo ben preciso di
propiziare la fecondità del terreno (il limo, la nera e fertile
terra, rappresentava Horus
stesso) e di convogliare le energie solari e benevole del calore,
affinché la Vita potesse sempre risultare trionfante sulle energie
del Caos e della Distruzione.
Horus
e Hathor, bassorilievo dal tempio di Kom Ombo, Assuan,
Egitto, II secolo antecedente l'era cristiana.
|
I
culti solari nel Nord Europa e nel mondo romano-celtico
Presso
i Celti il periodo del solstizio d'estate rivestiva una profonda
importanza, equiparabile alle quattro grandi feste calendariali di
Samhain,
Imbolc,
Beltaine
e Lughnasad.
Il nome della celebrazione del solstizio estivo, in gaelico, è reso
come Litha
o
Alban
Hefin,
significante "La
luce della riva":
tale denominazione esprimeva il grande rispetto e riverenza per i
luoghi che sono posti "in mezzo" ai mondi, concetto assai
caro nella religione e nella cosmogonia celtica. Il mare, ad esempio,
era inteso come uno di questi luoghi di transito, dove si
incontravano i tre regni di Terra, Mare e Cielo, e in esso risiedeva
un grande potere: in Alban
Hefin la
luce del Dio Sole emanava il suo massimo vigore ma, al tempo stesso,
recava con sé anche la consapevolezza che, di qui fino a Yule/Alban
Arthan,
la “Luce
dell'Inverno”
nel solstizio invernale, la forza dell'astro sarebbe diminuita
accompagnando la natura verso la sua fase discendente. Tale
fenomenologia precessionale, di matrice ciclica, simboleggiava il
ciclo di vita, morte e rinascita, materializzandosi nella Ruota
dell'Anno
nella sua completezza. In Litha/Alban
Hefin
la spirale dell'anno si espandeva fino al suo punto più ampio e, in
questi particolari giorni, le ore diurne sono massimamente lunghe,
come non mai durante i 365 giorni.
Dopo il 21
o
il 22
giugno
il potere calorifero del sole inizia scemare e, conseguenzialmente,
le giornate beneficiano sempre più di meno luce, accorciandosi.
Durante il solstizio estivo l'astro solare lambiva il punto più a
nord lungo l'orizzonte e iniziava ad intraprendere il lungo viaggio
che lo avrebbe portato verso sud per poi culminare in Yule
o
Alban
Arthan,
tra la metà e l'ultima decade di dicembre. Il tempo del solstizio
d'estate fu un evento di enorme importanza per i popoli del Neolitico
britannico,
i quali eressero in gran numero magnifiche strutture megalitiche
allineate con il principio dell'alba in questo giorno specifico: come
già analizzato in precedenza, nel sud-ovest dell'Inghilterra, il
sito di Stonehenge
è stato teatro di attività rituali nell'età del bronzo, nell'età
del ferro sin ai tempi moderni, per un periodo superiore ai cinque
millenni. In un periodo calendariale così importante nell'ottica del
rinnovamento cosmico e del profondere energia al Sole, affinché
potesse tornare a dispensare vita e abbondanza, i sacrifici erano una
pratica diffusa e niente affatto inusuale. Testimonianze molto
importanti in tal senso ci giungono direttamente da Strabone
nel
Γεωγραφικά-Geōgraphiká
e
dal De
Bello Gallico
di Giulio
Cesare,
in cui si narra di come fosse pratica comune costruire mastodontici
fantocci di vimini dalle sembianze umane, riempirli di uomini e
animali sacrificali per poi darli alle fiamme. Uno dei glossatori o
commentatori del IX
secolo delle Pharsalia
di
Lucano collegò
questa cerimonia con il Dio del Cielo e del Tuono Taranis,
presumibilmente perché in questo rito era riflessa la potenza della
folgore generatrice di fiamme; tale usanza non sembra esser stata
inventata o drammatizzata poiché, oltre a esser citata in più fonti
antiche, è sopravvissuta nelle tradizioni e nel folklore europeo,
seppur con alterazioni o modifiche: nell'Europa già largamente
cristianizzata, in primavera con la Pasqua in propinquità, venivano
arsi nei campi dei fantocci antropomorfi fatti di paglia chiamati
“Uomini
di Giuda”.
L'immagine
antropomorfa da ardere è andata via via perdendo la primitiva
fisionomia, essendo divenuta al giorno d'oggi un semplice cumulo di
legna sistemato con particolare cura; alcune tracce dell'antica
pratica celtica potrebbero esser scorte, seppur mantenendo tutta la
cautela necessaria al caso, nei falò della “Notte
di San Giovanni”,
accesi in molte località nella notte tra il 23
e il 24
giugno,
dunque a ridosso del solstizio d'estate. La festa di San Giovanni,
con elevatissima probabilità, altro non sarebbe se non la
trasformazione di un antico, ancestrale, culto solare (a tal
riguardo, è importante menzionare la festività romana del 24
giugno
denominata solstitium)
e conseguentemente ben radicato nella tradizione cultuale
pre-cristiana: è di estrema importanza rammentare la profonda
interconnessione che la dimensione agraria aveva con il culto del
sole, tanto a livello estrinsecativo quanto simbolico. Nel mondo
romano, nel giorno denominato dies
lampadarum,
il “Giorno delle Fiaccole”, venivano sommamente celebrate Fortuna
e Cerere,
divinità aventi attributi solari, agrari, di vita e fertilità; non
è dunque casuale che il santo cristiano sia sovente rappresentato
sul modello iconografico di una divinità rurale. Un esempio
piuttosto interessante del culto solare in ambito agricolo è ben
espresso nel tradizionale gioco delle “ruzzole” praticato
nell'Appennino modenese ed attestato, con minime varianti, anche in
altre aree.
Questa tradizione celtica, sicuramente affondante le sue
origini in un passato ancora più antico, trovò la sua massima
espressione nel lancio di grandi ruote di legno infuocate e sovente
inghirlandate, rappresentando l'inizio del ciclo discendente del sole
avente il suo principio nella data rituale del solstizio estivo e
dovette rispondere alla precisa volontà di inalvearsi nel nuovo anno
astronomico, attraverso un rituale di magia simpatica, dando il via a
un favorevole corso del sole identificato nella ruota; tali oggetti
di cui abbiamo numerose testimonianze a livello europeo, avvolti
nella paglia e incendiati, sono spesso vincolati al falò rituale,
essendo ambedue rappresentazioni simboliche del ciclo solare. San
Vincenzo,
vissuto nel IV
secolo, ebbe modo di assistere al sopracitato rituale in Aquitania:
una ruota infuocata venne fatta rotolare giù da una collina fino al
fiume e in seguito ricomposta e custodita nel tempio del Dio del
Cielo Tonante. Occorre precisare che i Celti percepivano le forme del
divino in ogni aspetto del creato e, naturalmente, uno dei fenomeni
naturali più venerati era il sole, visto come uno dei principali
datori di vita, promotore di fertilità e guarigione. Le
testimonianze archeologiche di culti solari si materializzano nella
presenza della ruota, intesa come simbolo solare(*3):
nell'Europa dell'età del Bronzo, soprattutto in Scandinavia, il
culto del sole rivestiva un ruolo di assoluta predominanza rispetto a
tutti gli altri. L'arte rupestre ritrae costantemente, nei suoi
petroglifi, immagini solari e uno dei più significativi ritrovamenti
archeologi avvenuti nell'Europa del nord è il celeberrimo Carro
di Trundholm,
un modellino bronzeo di carro trainato da un cavallo e trasportante
un disco solare dorato, databile attorno al XV-XIV
secolo
antecedente l'era cristiana (ciò offre un diretto parallelismo con
il carro solare dell'ellenico Dio Ἥλιος-Hḗlios,
seppur con significative differenze*5).
Particolare
di una lamina del “Calderone
di Gundestrup”,
il cosiddetto “Dio
con la Ruota”,
II secolo a.C., National Muselmeet, Copenaghen.
|
Solvognen
o
Carro di Trundholm, bronzo e cera persa e lamina d'oro, XV-XIV secolo
a.C., National Muselmeet, Copenaghen.
|
In
epoca romano-celtica i devoti erano soliti gettare miniature di ruote
solari nell'acqua (abbiamo già esaminato il rituale della “ruota
infuocata” che terminava la sua corsa propiziatoria nelle acque di
un fiume, secondo la testimonianza di San
Vincenzo)
e le depositavano nei santuari a mò di offerta, come testimoniabile
presso i siti di Alesia
e
Lavoye,
ambedue in Gallia;
erano anche indossate al pari di talismani ed erano parimenti
utilizzate come corredo funerario per i defunti, come a Dürrnberg,
in Austria. I Celti erano soliti battere monete recanti l'effige di
cavalli, ipostasi teriomorfa del sole sin dall'età del Bronzo,
mentre in epoca romano-celtica i culti solari erano, per effetto del
sincretismo,
confluiti nel Dio del Cielo romano, il possente
Iuppiter-Giove,
sovente ritratto esibente il motivo della ruota solare mentre, meno
frequentemente, veniva raffigurato come un cavaliere imbracciante una
ruota al pari di uno scudo e intento a calpestare le forze oscure
rappresentate da un mostro anguipede.
In aggiunta al ruolo di guerriero il Dio del Sole celtico era anche
un taumaturgo, dotato di poteri sanatori e guaritivi, una forza
vivificante e ψυχοπομπός-psicopompo,
guida e compagno per le anime dei defunti. L'associazione tra il sole
e la morte è superbamente testimoniata dalla sepoltura di amuleti
solari assieme ai defunti, come nel cimitero di Basilea
in
Svizzera e dall'incisione di glifi solari sulle pietre tombali in
Alsazia,
in Francia. Nell'isola britannica degni di menzione sono la sommità
dello scettro di cerimoniale di Willingham
Fen,
nel Cambridgeshire, raffigurante Iuppiter-Taranis
dotato
di ruota, folgore e probabilmente appartenente ai sacerdoti del culto
solare romano-britannico e la grande ruota lignea posizionata su di
un lungo manico, scoperta nel sito romano-celtico di Wavedon
Gate,
nel Buckinghamshire, anch'essa di per certo facente parte delle
insegne cerimoniali connesse a un qualche tempio solare; parimenti, a
Doulaucothi,
nel Dyfed, e Backwoth,
nel Tyne&Wear, vennero rinvenute delle ruote in oro e argento.
Nel
corso del solstizio estivo, in Gallia,
sulle alture e nei campi si accendevano grandi fuochi dedicati al Dio
Belenus,
si piantavano alberi decorati con fiori e nastri e venivano offerte
delle uova: la presenza di queste ultime riveste di un particolare
interesse la celebrazione poiché, come già analizzato altrove(*5),
pone in forte risalto il loro significato simbolico dato che in molte
cerimonie e in altrettante civiltà profondamente dissimili tra loro
le uova rappresentavano la vita e la rinascita, rendendole dunque
particolarmente adatte come dono in una celebrazione che segnava e
scandiva il periodo più fecondo dell'anno.
Nell'antichità, così
come accade odiernamente, fuoco e sole erano intimamente connessi tra
loro a livello religioso poiché il fuoco era percepito come
un'ipostasi terrestre dell'astro nel cielo e, dunque, la sua valenza
come elemento era sentita come del tutto soprannaturale: era capace
di riscaldare e illuminare l'oscurità della notte, benché vi fosse
anche la piena consapevolezza delle sue prerogative distruttive;
elemento purificatore, apotropaico e mondatore, dono del Sole o del
Cielo all'umanità (in tal senso, l'ellenico mito del fuoco di
Προμηθεύς-Prometeo
è
quantomai esemplificatore). L'adorazione del fuoco è un aspetto
tipico delle regioni fredde dell'Europa, caratterizzate da inverni
lunghi, bui e cielo prevalentemente coperto: abbiamo già avuto modo
di apprendere la determinante presenza di grandi fuochi nelle feste
celtiche di Samhain
e Beltaine,
percepite come momenti particolarmente critici dell'anno dove era
necessario accogliere e incoraggiare il sole affinché riscaldasse e
rendesse fertile la terra. I
falò rituali di mezza estate, invece, riproducevano l'attività del
sole durante il solstizio quando l'astro raggiungeva il suo apogeo
calorifero,
poco prima dell'afelio
e, inoltre, asservivano a molteplici scopi quali celebrare la potenza
del sole riproducendone forza, luce e calore sulla terra e le ricche
ceneri venivano successivamente sparse sui campi così da
fertilizzare le sementi e favorirne la germinazione.
Non deve perciò stupire se la nascita delle due più importanti
figure maschili del cristianesimo, Giovanni
Battista e
il Cristo,
è stata aprioristicamente collocata nelle notti del 24
di
giugno
e del 24
di dicembre
rendendo così, de
facto,
il santo cristiano e Gesù
due
ipostasi degli antichi culti solari e agrari, l'uno rappresentante il
sole nel suo afelio,
poco dopo il solstizio estivo, l'altro nel suo perielio,
in propinquità di quello invernale: secondo l'agiografia, le ossa
del Battista
furono arse dall'Imperatore Flavius
Claudius Iulianus
detto “l'Apostata”, a metà del IV
secolo dell'era cristiana.
Facile immaginare, perciò, come molti atteggiamenti tipici della
feste del solstizio estivo furono demonizzati e perciò destinati a
esser esorcizzati attraverso la rigida morale della chiesa cristiana:
nonostante la crudele repressione messa in atto dal clero, tali
pratiche non furono mai cancellate tantomeno si spense il vigore con
le quali venivano celebrate, soprattutto nelle zone più rurali e
lontane dai grandi centri abitati, mantenendo una loro vivida
vitalità e conservando alcune caratteristiche intrinseche della
ritualità arcaica quali i fuochi sacri, i giochi, le sfilate, le
danze, la partecipazione dell'intera comunità culminante con un falò
finale, forse reminiscenza di primeve pratiche orgiastiche; anche
sulla base di tale, superstiziosa, credenza si andò affermando la
convinzione che nella notte
di san Giovanni fosse
dedicata alle celebrazioni blasfeme, demoniche, sessualmente oscene e
dissacranti del Sabba
delle streghe.
Un'altra pratica legata a san Giovanni era quella di danzare attorno
alle grandi pietre, considerate latrici di poteri magici
(l'associazione
megaliti-culti solari è stata oggetto di discussione nella parte
iniziale di questo articolo):
quest'esperienza si collega direttamente al fuoco, al sole e al suo
“movimento” poiché il verso di queste danze circolari non era
assolutamente casuale in quanto la direzione dei partecipanti doveva
mimare in terra quello che era il corso dell'astro nel cielo,
affinché il potere benefico e guaritivo potesse benedire e
fertilizzare il creato(*6).
Trascorrendo la notte nelle piazze e nelle campagne, presso fonti e
fiumi, non solo si cantava e danzava per l'intera durata delle ore
buie ma si facevano presagi, si prediceva la sorte a chiunque
sopraggiungesse e si raccoglievano erbe e foglie che venivano
battezzate nelle acque per poi esser religiosamente conservate in
casa, appese alle pareti, per l'intera durata dell'anno. In Europa
era usanza accostare al falò i malati, per le ragioni di cui sopra,
i quali ne avrebbero tratto influssi favorevoli e la cenere così
ottenuta era considerata latrice di poteri taumaturgici e protettivi:
l'eco di questa ancestrale tradizione può esser scorta
nell'abitudine popolare di saltare nelle ceneri ancora calde, al fine
di proteggersi da malattie, negatività e sortilegi. In
definitiva, in quasi tutte le località in cui sopravvive
odiernamente la festività del 24
giugno
l'elemento dominante è indubbiamente il fuoco sacro, attorno al
quale si balla e si canta, in clima di allegria e spensieratezza
seppur, tristemente, assolutamente privi della conoscenza necessaria
per godere appieno di una tra le maggiori festività sacre ai nostri
antenati, un tributo al sole e a tutte le sue estrinsecazioni
sanatorie e positive che in passato erano percepite come una vera e
propria benedizione celeste.
Iuppiter-Taranis
dotato di folgore e ruota, Le Châtelet-sur-Meuse nell'Haute-Marne in
Francia, bronzo, 14 cm circa, Musée d'Archéologie nationale,
Saint-Germain-en-Laye (dép. Yvelines, Francia).
|
Approfondimenti
(*1)
Per
ulteriori approfondimenti sul tema è possibile consultare gli
articoli “Le Origini del Natale”
e “Le Origini dell'Epifania”,
editi dalla nostra associazione, presso il sito internet
“www.archeotibur.org”
alla sezione “Le Origini delle Festività”.
(*2)
ḥeb
nefer en inet o
la Bella Festa della Valle
Si
tratta, sostanzialmente, di una festività estremamente antica le
cui radici affondano perlomeno al Medio
Regno,
riscontrandone menzioni dall'XI
Dinastia durante
il periodo di Nebhepetre
Mentuhotep;
si celebrava nel II
mese
di Shemu,
Chontchat,
nel periodo del raccolto. Originariamente deve esser stata una
celebrazione in onore degli Antenati
nella quale i legami tra vivi e morti venivano rinsaldati, mettendo
in essere la concezione egizia per la quale era necessario il ciclico
rinnovamento di tutto l’esistente, dalla Creazione agli Dei stessi.
Principio cardine del rituale era l’offerta a Osiris
e
ai defunti, parimenti al nostro 2
novembre,
di fiori embricati in ghirlande e corone simboleggianti il rinnovarsi
della vita, con accompagnamento di melodie e danze: le sacre barche
partivano dal tempio di Karnak
e
attraversavano il sacro Nilo
per
poi recarsi ai templi funerari dei Faraoni, stagliati sulla riva
occidentale, considerati membri della famiglia divina in quanto prole
stessa degli Dei; i semplici civili, invece, si riunivano presso le
tombe dei loro avi festeggiando con canti e bevute, in grande
allegria.
(*3)
A
partire circa dal 1500 a.C.,
la della ruota solare a raggi divenne un motivo decorativo religiosa
diffuso enormemente nell'area dell'Europa non mediterranea. Sia
nell'Età del Ferro sia in epoca romano-celtica, la ruota venne
adottata specificatamente come simbolo del Sole e fu largamente
associata come attributo delle divinità solari. Nella sua forma essa
offriva una profonda somiglianza con esso e incarnava l'idea del
movimento, rispecchiando fedelmente il cammino dell'astro nel cielo.
Nell'Età del Ferro celtica continentale, modellini di ruote in
bronzo erano seppellite assieme ai morti, probabilmente con lo scopo
di fungere da guida “illuminando” il cammino del defunto
nell'aldilà (si veda l'articolo “Le origini del 1°
maggio”, nello specifico la
trattazione concernente il ruolo di psicopompo del Dio proto-celtico
della luce e del Sole Belenus);
un magistrale esempio di ciò proviene dalla città fortificata di
Dürrnberg,
nei pressi di Hallein,
in Austria. I devoti erano soliti offrire riproduzioni in miniatura
di ruote raggiate, deponendole in fiumi come la Senna
e
l'Oise al
fine di propiziare le potenze soprannaturali ed evocare nel
microcosmo umano la dualità divina del fuoco e dell'acqua: i
molteplici santuari celtici dove sono stati rinvenuti modellini di
ruote, come quello di Alesia
in
Borgogna,
ospitavano con elevata probabilità del culti solari e sanatori. Le
virtù benefiche delle ruote solari erano così altamente stimate che
i guerrieri le portavano come monili protettivi in battaglia, così
come testimoniato dalla figurina di un guerriero indossante sul petto
un ciondolo a ruota, trovata a Fox
Amphoux nella
Gallia meridionale, e dall'arco di Orange,
dove elmetti celtici recano incisi talismani modellati a forma di
ruota; persino nel celebre Calderone
di Gundestrup
risalente II
secolo antecedente
l'era cristiana, nella tarda Età del Ferro danese, in una delle
placche che lo ricoprono è ritratto un Dio munito di ruota. La
natura eliaca del motivo celtico della ruota è documenta soprattutto
a partire dell'epoca romano-celtica: in Gallia, in Renania e in
Britannia i ritrovamenti testimoniano chiaramente che un Dio solare
indigeno, il cui simbolo era proprio la ruota raggiata, venne in
seguito identificato con il Dio romano del Cielo e del Tuono, Giove.
Frequenti immagini di questa divinità sincretica mostrano un Dio
apparentemente simile al Dio Padre dei Latini, dotato di fulmine e
ruota: una figurina in bronzo proveniente da Le
Châtelet,
nell'Haute-Marne in Francia, ritrae un Dio con la barba, nudo, con
ruota, fulmine e lampi spiraliformi mentre una statuina rinvenuta a
Landouzy-la-Ville,
nell'Aisne, mostra un Dio con ruota avente una dedica a Giove; anche
in Britannia
e
in Renania
si
sono spesso trovati simboli solari ruotiformi scolpiti su altari
dedicati allo Iuppiter
latino.
In età romano-celtica i modellini di ruota continuarono a esser
dedicati al Dio del Sole come provato da un deposito trovato a
Felmingham
Hall,
nel Norfolk, contenente numerosi bronzi di carattere religioso,
inclusa una testa Dio del Cielo e una ruota avente dodici raggi. In
conclusione, copricapo rituali decorati con motivi di ruote furono
ritrovati nel tempio di Wanborough,
nel Surrey, e appartennero con un certo qual grado di certezza a
sacerdoti officianti un culto solare.
(*4)
Il
carro
di Trundholm,
uno dei più importanti reperti archeologici mai rinvenuti
nell'Europa del Nord per via della sua profonda valenza
simbolico-religiosa in ambito solare, presenta delle analogie con la
figura dell'ellenico Ἥλιος-Hḗlios
(carro dotato di ruote raggiate trasportante il sole nel suo viaggio
quotidiano lungo l'asse terrestre, seppur in Grecia la divinità in
questione era maschile, in Scandinavia femminile), sebbene con una
sostanziale differenza: il carro di Trundholm possiede la doratura,
costituita da una sottilissima lamina, solo su di un lato poiché le
genti del Nord credevano che il Sole venisse trasportato nel suo
viaggio diurno da Est
a
Ovest
mostrando dunque il suo lato luminoso al nostro pianeta, mentre di
notte avrebbe intrapreso il percorso inverso, esibendo il suo lato
scuro. E' ritenuto che il carro rappresenti la Dea Sòl,
divinità solare del mondo norreno, moglie di Glenr
e
figlia del gigante Mundilfœri.
(*5)
“Le
Origini della Pasqua”, presso il sito internet
“www.archeotibur.org”
alla sezione “Le Origini delle Festività”.
(*6)
Al
contrario effettuando una danza circolare nel senso contrario a
quello del sole si otteneva l'effetto diametralmente opposto,
ovverosia di maledire: l'etimologia della parola inglese “curse”,
equivalente a “maledizione”, altro non sarebbe che la contrazione
del latino cursus
contra solem quindi
rappresentante un effetto di magia nera evocata “ruotando” il
tragitto del sole; tale rivelazione non deve certo stupire né
rappresenterebbe un unicum
poiché
basta pensare all'uso che fecero Hitler e il Terzo Reich della
svastica, antichissimo simbolo solare, invertendone il verso e
rendendola un simbolo negativo e notturno.
Fonti
Bibliografiche:
-Gaio
Giulio Cesare, “De
bello Gallico”;
-Strabone,
“Geōgraphiká”;
-Henri-Charles
Puech,
Universale
Laterza, 1978;
“Storia
delle Religioni- Slavi, balti, germani e celti”,
“Il
cristianesimo delle origini”
-P.Tacchi
Venturi, “Storia
delle Religioni”
, UTET 1954;
-Georges
Dumézil, “La
Religione Romana Arcaica”,
BUR Rizzoli saggi, 2001;
-Miranda
G. Green, “Dizionario
di Mitologia Celtica”,
Rusconi Libri, 1997;
-Gerardus
van der Leeuw, “Fenomenologia
della Religione”,
Universale Scientifica Boringhieri, 1975;
-Mircea
Eliade,
“Trattato
di Storia delle Religioni”,
Universale Scientifica Boringhieri, 1976;
-Sir
George James Frazer, “Il
Ramo d'Oro”-Studio
sul
la magia e sulla religione,
Newton Compton 2006;
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