I "Cioci" sono statue alte poco più 3 metri, in granito, rinvenute intorno all'anno 1450 nella Villa Adriana, forse nella zona oggigiorno identificabile come l'Antinoeion, e attualmente visibili all'interno della Sala a Croce Greca nei Musei Vaticani. Si tratta di due rappresentazioni scultoree a tutto tondo, in granito rosso orientale o sienite di Assuan, in stile egiziano faraonico, in posizione stante con un lieve movimento delle gambe e braccia distese lungo il corpo, sorreggenti dei capitelli in forma di fiore di loto. Indossano entrambi il nemes, copricapo egizio fregiato dall'uraeus ovverosia il serpente simbolo del potere regale dei faraoni, e lo shendyt, gonnellino tipico del millenario Regno d'Egitto. Furono probabilmente realizzate per volere diretto dell'Imperatore Publio Elio Adriano Cesare Augusto, in carica dal 117 al 138 d.C., per abbellire gli sfarzosi complessi monumentali della sua celeberrima residenza ubicata a ridosso della città di Tibur. Le suddette immagini sembrerebbero essere con ogni probabilità null'altro che rappresentazioni di Antinoo, l'amante greco-bitino (nonchè consigliere personale) dell'Imperatore Adriano, nelle vesti divinizzate del Dio Osiris, figura di spicco nel Pantheon egizio assieme a Isis e Horus. Si è ipotizzato che esse facessero parte di un articolata e variegata area religiosa, di culto egizio ma di forma romana, che avrebbe avuto la funzione di celebrare la divinità dell'efebo Antinoo, misteriosamente affogato nelle acque del Nilo attorno al 22 ottobre, giorno dedicato alle celebrazioni di Osiris nella sua veste di Dio che muore e risorge, nei pressi dell'oracolo di Bes sito nella regione anticamente chiamata Tebaide. Sui basamenti erano riportate, secondo la fonte di Giovanni Maria Zappi in "Annali e Memorie di Tivoli", le seguenti iscrizioni:
"Antiqua quaedam vestigia et monumenta tusculana in urbem Tiburtinam advecta eo tempore quo tusculani romanorum imperio subiacent"
e
"Statuae egyptiacae quae tiburtina cohortes tusculanis substraxerunt et in su[am] urbem transportarunt, hodie Tibure visuntur in platea quae vulgo Ulmi dicitur";
sempre prestando fede allo Zappi, tali statue altro non furono che un bottino di guerra di cui la città di Tibur s'impossessò una volta sconfitta e depredata Tusculum, trasportandole nella Superba tramite l'ausilio di carri: interessante la nota con la quale il dotto studioso narra di come il grande Michelangelo Buonarroti, in visita a Tivoli per documentarsi e ritrarre le meraviglie della residenza adrianea, ebbe modo di ammirare e meravigliarsi della maestosa bellezza dei due Telamoni osiriaci, ritenendoli tra le più splendide testimonianze di arte antica e valutandoli ben tremila scudi l'uno. La medesima menzione fu riportata dagli storici Cabral e Del Re, nella loro opera "Delle Ville e dé più notabili monumenti antichi della città, e del territorio di Tivoli", aggiungendo però che il Winchelmann, nel suo "Trattato preliminare nell'arte del disegno", al capitolo secondo, ravvisò i classici canoni estetici di perfezione tipici dell'arte ellenica, secondo lo schema del καλὸς καὶ ἀγαθός-Kalòs kai Agathòs, ipotizzando che ritraessero proprio l'efebo Antinoo e la loro provenienza dalla Villa Adriana.
I Telamoni in granito rosso nella Sala a Croce Greca dei Musei Vaticani, Roma. |
I Telamoni in granito rosso nella Sala a Croce Greca dei Musei Vaticani, Roma. |
Essi sono propriamente detti Τελαμών-Telamoni, nella mitologia greca nome del Re di Salamina, figlio di Endeide ed Eaco progenie di Zeus, poiché nei tempi passati si soleva identificarle una o più statue di grandi dimensioni utilizzate per sorreggere strutture architettoniche: esempio noto sono i celeberrimi Telamoni dell'Olympeion di Ἀκράγας, l'odierna Agrigento. Possono esser considerati il corrispettivo maschile delle Cariatidi, poiché la radice -tel ha il significato, per l'appunto, di "sopportare".
Ricostruzione dell'Olympeion e Telamone originale; Akragas/Agrigento, Sicilia |
Dopo il loro ritrovamento sembra che i due telamoni furono collocati inizialmente al principio di Via dei Sosii, da cui la presunta etimologia di "Cioci", per poi esser spostati ai lati dell'ingresso del Palazzo Vescovile tiburtino: essi per circa due secoli divennero il vanto cittadino tale che furono inseriti nei famosi percorsi del Grand Tour, meta di artisti, storici e poeti come J. W. Goethe. Nel 1779 furono trasferiti e donati per volontà di sua Eminenza Giulio Mattei Natali, allora vescovo della città, e del consiglio comunale di Tivoli a Papa Pio VI (1717-1799), al secolo Giannangelo Braschi: in cambio egli elargì ai tiburtini 1000 scudi utili al rifacimento dei pubblici acquedotti cittadini. Carlo Pietrangeli ne "I Musei Vaticani-Cinque Secoli di storia", del 1985, riporta a pagina 68 riporta l'articolo pubblicato originariamente sul "Diario di Roma - 1779/12/25", per quanto concerne il trasferimento dei telamoni da Tivoli ai Musei Vaticani; vennero poi restaurati nell'Anno del Signore 1782 dal grande scultore pontificio Gaspare Sibilla. Una descrizione delle vicende legate alla consegna delle due statue al Vaticano è riportata nel testo "Gazzetta universale: o sieno notizie istorice, politiche, di scienze, arti agricoltura, ec", volume 7- MDCCLXXX", in cui si da notizia che il 25 dicembre 1779:
"Portatosi d'ordine di S.S in Tivoli il Sig. Abate Visconti Commissario delle Antichità di Roma,
ha fatto trasportare al Vaticano due statue egizie di granito rosso orientale di egregia scultura
chiamati volgarmente i "cioci" offerte dal Vescovo Natali e dal comune di quella città alla S.S.
In tale occasione ha mandato il Santo Padre alla comunità tiburtina un dono di feudi mille a
condizione che debba impiegarsi per il rifacimento dei pubblici acquedotti. (...) Essendo poi il
Santo Padre calato nel giardino all'arrivo di dette statue egiziane, è rimasto sommamente
contento. Questi due simulacri colossali formeranno l'ornamento più nobile della Gran Porta del
Salone rotondo del Museo (...)"
Interno della sala a Croce Greca, Musei Vaticani, Roma. |
Analisi tecnica delle statue
Le tipologie di modello egizio identificabili con Antinoo non sono moltissime ma in numero comunque
sufficiente tale da permettere un’analisi discretamente accurata sull’iconografia che lo ritrae. La
rappresentazione di Antinoo fu intimamente rapportata ai modi di ricezione del canone divino nei diversi
paesi in cui il suo culto si affermò e venne poi assimilato ai modelli preesistenti: un classico caso di
sincretismo romano, fenomeno quantomai comune e già largamente testimoniato sin dall'età più antica
dell'Urbe Eterna; tale modus operandi portava all’adozione di elementi e attributi propri di altre divinità
amalgamandoli nel ricco corpus religioso della città dei Cesari. Nell’iconografia greco-romana il fanciullo
della Bitinia venne sempre rappresentato con una spiccata, vitale, dinamicità anche se caratterizzata
soventemente da un'espressività malinconica, quasi al limite del dolente, e tali caratteristiche incarnano alla
perfezione il concetto di realismo greco, sublimato da una rappresentazione materiale opulenta di dettagli.
Tale è il modello ideale dell’efebo, privo di attributi divini, e ciò avviene solamente quando Antinoo è
direttamente identificato con divinità del Pantheon ellenico quali Διόνυσος-Dioniso o Ἑρμῆς-Hermes: in
queste opere vengono aggiunti caratteri ultraterreni ma non risulta alterata la fisionomia del giovane, tale che
i suoi tratti peculiari siano sempre ben riconoscibili e fungenti da carattere distintivo. Antinoo solitamente
presenta una folta chioma di capelli ricci o mossi incornicianti un volto giovanile, un corpo da ragazzo di
norma svestito e ben strutturato, tipico della nudità eroica; a Roma e in Ellade, dunque, si assistette a un
fenomeno di diffusione del culto equivalente a una propaganda idealizzata dell’eroe valoroso o dell’efebo.
Viceversa nell’Egitto romano le rappresentazioni di Antinoo furono di carattere diametralmente opposto: egli
è vigoroso e atletico, un giovane con volto virile e braccia forti connotato però da caratteri faraonici, tipici
della regalità dinastica. La statuaria proveniente dalla Villa Adriana dimostra una profonda assimilazione
sincretica tra i tratti distintivi di Antinoo e quelli faraonici: nel volto i lineamenti sono squisitamente romani,
nella posa e nell’abito i canoni utilizzati sono profondamente egiziani.
Le statue della Villa Adriana, molto probabilmente, furono realizzate da maestranze che ben conoscevano
l’immagine classica di Antinoo, poiché la resa della fisionomia del volto negli esemplari egittizzanti e in
quelli classici presenta una spiccata ed immediatamente riconoscibile somiglianza. I due Telamoni di
Antinoo, popolarmente detti "Cioci", sono statue marcatamente egizie, fregiate da vesti faraoniche; di questo
gruppo fanno parte alcuni esempi in marmo nero, rosso e bianco: gli ultimi due sono i colori appartenenti
all’Alto e Basso Egitto. Antinoo è abbigliato con il nemes, il gonnellino shendyt e gli esemplari di colore
rosso sono ulteriormente arricchiti dall’uraeus, posto sul capo: questo elemento completa le vesti dinastiche
delle statue; l’abbigliamento faraonico può esser inteso anche come uno degli attributi del dio Osiris, spesso
rappresentato in tali sembianze.
Di questo complesso di statue solo la resa del volto è d'impostazione romana dove, invece, la posa rigida, il
pilastro dorsale, la simmetria e tutto l’insieme della composizione rievocano indubbiamente un ambito
egizio.
Statua egittizzante di Antinoo rappresentato come Osiris; marmo, circa 130 d.C.; rinvenuta nel 1739 a Tivoli, nella Villa Adriana presso il Pecile; Museo Gregoriano Egizio, Sala III. |
Particolare del rilievo di Ariccia mostrante la celebrazione di riti religiosi egizi, con danzatori in movimento e telamone laterale di sostegno; Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme. |
"Antinoo affogò nel Nilo": caduto in acqua o gettatosi volontariamente come sacrificio affinché la vita
dell'Imperatore potesse prolungarsi(*1), vittima di una casualità o di un complotto, assassinato con un
omicidio rituale implicante oscure pratiche magiche, il favorito di Adriano sparì nelle acque limacciose del
Nilo. Osiris, il Dio ipostasi della vegetazione che, fatto in pezzi ed annegato da suo fratello Seth, tornò alla
vita assurgendo a Supremo Giudice dell'Oltretomba egizio si trasmutò infine in Antinoo, il ragazzo
proveniente dalla Bitinia che, per fatalità o precisa volontà, incarnò il fato del Dio raggiungendo fama
immortale e gloria ultraterrena.
Note
(*1) Nel tal caso, dunque, si sarebbe trattato di un sacrificio vicario compiuto spontaneamente, in quanto
sembra che un astrologo avesse predetto la morte di Adriano entro il termine dell'anno.
Fonti Bibliografiche
-"Gazzetta universale: o sieno notizie istorice, politiche, di scienze, arti agricoltura, ec", volume 7- MDCCLXXX";
-Carlo Pietrangeli, "I Musei Vaticani", 1985, pag 68;
-Raffaele Mambella, Antinoo. L'ultimo mito dell'antichità nella storia e nell'arte, Ed. Nuovi Autori, Milano, 1995;
-Raffaele Mambella, Antinoo. "Un dio malinconico" nella storia e nell'arte, Ed. Colombo, Roma 2009
-Elio Sparziano, Historia Augusta, Vita Hadriani, XIV
-Franco Sciarretta, Viaggio a Tivoli, Tiburis Artistica Ed., 2001
-J. W. Goethe, Italienische Reise o Viaggio in Italia, Mondadori ed., 1993
-Diego de Revillas-Giovanni Petroschi, Diocesis et Agri Tiburtini Topographia, nunc primum trigonometrice
delineata, 1739
-Giovanni Maria Zappi, Annali e Memorie di Tivoli. Cronaca del secolo XVI
-Stefano Cabral e Fausto Del Re, Delle Ville e dé più notabili monumenti antichi della città, e del territorio di Tivoli, 1779
-Ottavia Domenici, "Aegyptiaca Tiburtina-Antichità Egizie ed Egitizzanti nel territorio di Tivoli"-Atti del Convegno del 29/06/19, presso il FAI-Parco Villa Gregoriana
-Stefano Cabral e Fausto Del Re, Delle Ville e dé più notabili monumenti antichi della città, e del territorio di Tivoli, 1779
-Ottavia Domenici, "Aegyptiaca Tiburtina-Antichità Egizie ed Egitizzanti nel territorio di Tivoli"-Atti del Convegno del 29/06/19, presso il FAI-Parco Villa Gregoriana
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