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Il Tempio Tiburtino del Montano: realtà o fantasia?

 A cura dell’Ing. Christian Doddi

È molto comune imbattersi in citazioni su fonti antiche di monumenti e/o siti di cui non si conosce l’esatta localizzazione come per esempio per la tomba di Alessandro Magno, Eldorado ecc… A volte può capitare che a seguito di scavi o di ritrovamenti casuali quelle fonti vengano confermate come nell’esempio della città di Troia o come nel caso di Tivoli, la dimora di Valerio Massimo.

In queste pagine vogliamo affrontare un caso esemplare, relativo proprio al territorio di Tivoli, di un monumento del quale esiste una chiara citazione documentaristica ma che è del tutto priva di indicazioni geografiche o toponomastiche: il tempio tiburtino del Montano.

Nel testo dell’architetto e incisore Giovan Battista Montano (1534-1621), pubblicato in più battute dal 1624 al 1638 (a Roma, da Bartolomeo De Rossi, Giovan Battista Soria e Calisto Ferrante) vi è una tavola dedicata a un tempio antico dalle forme dinamiche e spiccatamente barocche (fig.1).

Figura 1 - Tavola del cosiddetto Tempio Tiburtino del Montano


La tavola è accompagnata da una descrizione del Montano che recita: “Questo tempio fu trovato a Tivoli, ricchissimo di ornamenti de quali ve se ne mostra la Cornice e l’ornamento del fregio della parte di fuori contrassegnati co le lettere A et B et è di Ordine Corinthio.”
Secondo l’architetto, quindi, a Tivoli fu ritrovato un tempio a cella circolare con matrice esagonale concavo convessa della peristasi1 (fig. 2).



Figura 2 - Ipotesi ricostruttiva 3D del cosidetto Tempio Tiburtino del Montano
 - Ing. Christian Doddi - ArcheoTibur 2021, Tutti i Diritti Riservati©


Attualmente non si è a conoscenza di un monumento che lo rispecchi anche a grandi linee, ma l’accuratezza dei dettagli A e B (fig.1), lasciati dal Montano, rende difficile credere che sia tutto frutto di colta ed erudita fantasia. Per provare a dare una risposta è d’obbligo confrontare il presunto tempio tiburtino con le esistenze di cui siamo a conoscenza.

Appellandoci all’architetto Francesco Borromini (1599-1667) e ai suoi studi per la progettazione delle lanterne2 di San Carlino (fig. 3) e Sant’Ivo alla Sapienza (fig. 4), si riscontra l’utilizzo del motivo concavo-convesso della trabeazione3, del tutto coerente con la struttura poliabsidata4 del tempio del Montano.


Figura 3 - Lanterna di San Carlo alle 4 Fontane.




Figura 4 - Lanterna di Sant'Ivo alla Sapienza

È di particolare interesse notare come in tutti i documenti coevi la lanterna di Sant’Ivo è citata come tempietto, a riprova degli studi condotti da Borromini sul tempio di Venere a Baalbek (figg. 5-6) e la tavola del Montano. Però è d’uopo specificare che non vi sono documenti superstiti che accertino la conoscenza diretta in Occidente del tempio di Baalbek nel XVII secolo, ma non va scartata comunque la possibilità che qualche disegno andato perduto sia passato per le mani di Borromini. Per quanto riguarda invece il tempio tiburtino, la credibilità del riferimento che l’architetto fa nei suoi progetti è confermata dalla riproduzione di un fregio5 scultoreo.


Figura 5 - Tempio di Venere, Baalbek, Libano.



Figura 6 - Tempio di Venere, Baalbek, Libano.


Passando quindi dalle opere di Borromini e ai suoi chiari riferimenti al particolare monumento riportato sulla tavola del Montano, siamo giunti a Baalbek, in Libano, dove vi è questo ibrido tra una tholos6 e un periptero7 con motivi analoghi al nostro oggetto di studio.

In epoca ellenistica i culti principali della città di Heliopolis (Baalbek), ovvero quelli di Ba’al, Atergatis e Adonis, furono assimilati dai Greci ed associati a quelli di Helios-Zeus, Afrodite e Dioniso. Considerato che Ba’al è un epiteto che sta a significare “Il Signore”, “l’Alto” ecc… e che era una divinità che veniva vista come la manifestazione dei fenomeni atmosferici (in particolar modo la folgore e il vento) è facile capire perché il suo culto iperuranico fenicio cananeo, fu associato ad Helios-Zeus. Stesso discorso vale per la “Dea della Siria” o “Dea Sirena” Atergatis, accomunata ad Afrodite e per Adonis visto come Dioniso. Successivamente, con l’espansionismo romano, le tre divinità furono ribattezzate in Giove Eliopolitano, Venere e Bacco in epoca post-augustea. L’area sacra a loro dedicata presentava già delle preesistenze che con il passare dei secoli furono modernizzate ed ampliate. Nel III sec. d.C. fu eretto un tempio di identificazione incerta, che tradizione vuole sia dedicato a Venere. Le particolarità architettoniche del monumento rendono l’edificio un unicum, ma realisticamente sembra improbabile che in antichità l’esperienza di Baalbek sia stato il solo modello ad avere una matrice geometrica di questo genere. La considerazione appena espressa, mista all’accuratezza dei dettagli che ci ha lasciato il Montano, ci portano a pensare che il tempio di Tivoli possa essere esistito realmente anche se per ora non è stato ancora identificato. Analizzando i due monumenti e mettendoli a confronto si può giungere ad un’ulteriore considerazione.

Il tempio di Venere a Baalbek (fig. 7) è un tetrastilo8 con la particolarità di avere un salto del ritmo dell’intercolumnio9 centrale di 2,5. Inoltre è anche una sorta di tholos a metà, con una semiperistasi di quattro colonne ogni 45°. Il monumento poggia su di un alto podio scavato da cinque terzi di cerchio, a cui corrisponde una trabeazione concavo-convessa con lo stesso andamento geometrico. Ornamenti e colonne a fusto liscio richiamano fortemente il corinzio asiatico accentuato dalle scelte architettoniche dell’architrave a tre fasce sovrastate da una ricchissima sottocornice a dentelli, e dall’uso della base attica poggiante su plinto. Tra le varie proposte, quella riguardante l’ipotesi del frontone con un arco ribassato al di sotto del timpano, è la più interessante e considerato lo stravagante stile architettonico che contraddistingue questo monumento, la più inerente, anche perché essendo datato al III sec. d.C., l’utilizzo della Serliana era già in voga, soprattutto nelle colonie orientali romane. Anche per quanto riguarda la copertura non si hanno elementi certi, ma la si può immaginare in due soluzioni: cupola ribassata mista a falde o a falde con parte conica.

Figura 7 - Caratteristiche architettoniche del Tempio di Venere a Baalbek, Libano.

Il tempio di Tivoli, invece, si presenta come una tholos, ma con una peristasi alterna di 24 colonne e 6 pilastri, impostata su di una matrice a stella esagonale concavo-convessa. Analizzando il disegno del Montano salta subito all’occhio la sproporzione dei pilastri rispetto alle colonne, ma in un’ipotetica ricostruzione, questa si può ovviare utilizzando una soluzione rinascimentale, ovvero l’inserimento di quattro lesene proporzionate alla maniera del Vignola10.

A differenza del tempio di Baalbek, quello di Tivoli (fig. 8) non poggia su alto podio (uso tipico dell’architettura romana) bensì su un doppio crepidoma11 (uso tipico dell’architettura greca). Entrambe le crepidini sono composte da tre gradoni ciascuna. Sulla prima vi è la peristasi e sulla seconda la cella cilindrica della tholos. Il crepidoma di base si presenta come una composizione che oggi definiremmo tipica del Barocco Romano, ovvero a stella esagonale con delle dinamiche convessità dei lati, a cui corrisponde una travatura dalle stesse forme in stile ionico asiatico. Da non confondere però con gli ordini architettonici canonici della Grecia, dato che il corinzio romano, riprende quasi tutti gli elementi tipici dell’architettura ionica. Difatti il Montano ci indentifica il tempio come “Corinthio” e se si analizzano le colonne a fusto liscio, con forte èntasis12 e base attica poggiante su plinto, possiamo definire il monumento appartenente allo stile imperiale romano (come per esempio quello del Pantheon).


Figura 8 - Ipotesi ricostruttiva 3D assonometrica del cosiddetto Tempio Tiburtino del Montano
 - Ing. Christian Doddi - ArcheoTibur 2021, Tutti i Diritti Riservati©


Altra affinità con il capolavoro di Agrippa prima e Adriano poi, è la cupola cassettonata, elemento fortemente utilizzato nel III sec. d.C. Lo studio dello stile propostoci dal Montano può darci anche un’idea generale dell’epoca a cui apparterrebbe, che suggerisco essere compresa tra il II e il III sec. d.C.

Come si può vedere dal confronto dei due templi, ci sono elementi particolari che distinguono entrambi i monumenti. In particolar modo nel tempio riportato dal Montano spicca l’insolito utilizzo del crepidoma al posto dell’alto podio. Esperienze simili le ritroviamo, nel mondo romano, nel tempio di Ercole Olivario (fig. 10) al Foro Boario (Roma) e in quello di Afrodite Cnidia (fig. 9) a Villa Adriana.





Figura 9 - Ipotesi ricostruttiva 3D della cosiddetta Tholos Dorica di Aphrodite Cnidia, Villa Adriana, Tivoli
 - Ing. Christian Doddi - ArcheoTibur 2020, Tutti i Diritti Riservati©


Figura 10 - Tempio di Ercole Olivario al Foro Boario, Roma



Considerato che nel tempio d’Ercole il committente tiburtino Ottavio Erennio volle riproporre coscientemente un edificio di culto alla greca, con tanto di crepidine e colonne importate direttamente dall’Attica, e che nel caso di quello adrianeo la scelta era dettata dal gusto fortemente ellenico dell’Imperatore e dal modo personale di Adriano di rivedere l’architettura, è strano ritrovarsi difronte ad una soluzione lontana dai canoni vitruviani. È ovvio che non possiamo escludere a prescindere l’esistenza di un monumento di questo genere nell’area tiburtina, ma si può ipotizzare come il Montano sia stato ingannato o influenzato da resti particolari della Villa Adriana. È abbastanza noto come all’interno della dimora imperiale tiburtina vi sia un uso a larga scala delle curve nella composizione dei singoli edifici della Villa. In particolar modo nel teatro Marittimo (Fig. 11) e nel Belvedere (Fig. 12), la composizione si basa su di un uso elegante delle curve e sfrutta il contrasto tra il concavo e convesso. Per quanto riguarda differenti da quello che ci propone il Montano, non abbiamo modo di verificare quanto effettivamente fosse visibile della Villa nel ‘500 e soprattutto come appariva.

 


Figura 11 -  Pianta del cosiddetto Teatro Marittimo, Villa Adriana, Tivoli

È quindi probabile che nell’imbattersi in tracce e resti del Belvedere e/o del Teatro Marittimo, l’architetto possa aver ipotizzato quello che poi rappresenta nella sua tavola. È comunque doveroso raffrontare l’ordine dei tre edifici della Villa (incluso quindi anche il tempio di Afrodite Cnidia) per screditare, almeno in parte, questa ipotesi. Nel Teatro Marittimo l’ordine ionico è composto da colonne a fusto scanalato e non liscio e inoltre i fregi (tutt’ora ben visibili) non riportano motivi decorativi con felini, bensì motivi marittimi da cui l’edificio prende il nome. Stesso discorso vale per il Belvedere e il tempio di Afrodite, dove tra l’altro si riscontra un ordine dorico quasi del tutto canonico alla greca.



Figura 12 - Pianta del cosiddetto Belvedere, Villa Adriana, Tivoli


Tali errori di valutazione e conoscenza non sarebbero stati fatti da una persona colta come il Montano, quindi mi sento di escludere l’idea che l’architetto abbia “trasformato” e reinventato il tempio, partendo dallo studio e dalla riproposizione dei monumenti sopra citati. Un’idea plausibile è che sia venuto in possesso di disegno di studio di Villa Adriana e che dagli schizzi di altre persone abbia ricreato il tempio nella sua raccolta. Va sottolineato come nel ‘500 e nel ‘600 vi era la moda incisoria delle vedute panoramiche delle città (fig. 13), ma la maggior parte delle volte tali incisioni erano errate, soprattutto nel caso di Tivoli, dove gli artisti disegnavano skyline in maniera del tutto inventata perché non essendo loro testimoni diretti, venivano a conoscenza dei panorami solo attraverso racconti e/o schizzi di altre persone. 



Figura 13 Tivoli, J. Hondius, rappresentazione verosimile del panorama tiburtino. 1627

Stando a questo, trovo decisamente interessante e verosimile l’idea che il Montano abbi ricevuto disegni e descrizioni da terzi e che il tempio che ci ha tramandato in realtà sia un mix tra conoscenza approfondita dell’architettura romana, errori di valutazione dovuti a terzi e gusto, ma soprattutto moda, architettonica del suo tempo.

Bibliografia

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- Borromini nella cultura europea, Paolo Portoghesi, Laterza 1982

- Roma Barocca, Paolo Portoghesi, Laterza 1982

- Borromini La vita e le opere, Paolo Portoghesi, Skira 2020

- Storia di San Carlino alle Quattro Fontane, Marisa Tabarrini Paolo Portoghesi, Newton Compton, 2001

- Dizionario di architettura, N. Pevsner J. Fleming H. Honour, Einaudi 1981

- L’architettura del mondo antico, Bozzoni Franchetti Pardo Ortolani Viscogliosi, Laterza 2006

- Guida agli ordini architettonici antichi: Il Dorico, Giorgio Rocco, Liguori 1994

- Villa Adriana, il sogno di un Imperatore, Eugenia Salza Prina Ricotti, L'Erma di Bretschneider 2001

- Il padiglione di Afrodite Cnidia a Villa Adriana: progetto e significato, Giorgio Ortolani, Università degli Studi di Roma La Sapienza, 1998

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- L’architettura del mondo romano, Morachiello Fontana, Laterza 2009

- Tibur pars prima, Cairoli F. Giuliani, 1970

- Tibur pars Altera, Cairoli F. Giuliani, 1966

- Etruscan and Early Roman Architecture, Axel Boethius, The Publican History of Art 1978

- “Viaggio a Tivoli”, Franco Sciarretta, Tiburis Artistica, 2001S

- Dintorni di Roma, Antonio Nibby

- Raccolta de Tempii e Sepolcri disegnati dall’antico da Gio. Battista Montano, Libro Terzo

- Opus Architectonicum, Francesco Borromini

- Regola delli cinque ordini d’architettura, Jacopo Barozzi da Vignola

- De Architectura, Marco Vitruvio Pollione


1 Peristasi: colonnato che cinge sia un tempio sia una basilica.


2 Lanterna: torretta circolare o poligonale, finestrata su tutti i lati e talvolta coperta a cupoletta, a coronamento di un tetto o di una cupola.


3 Trabeazione: il complesso delle membrature orizzontali sostenuto dai piedritti verticali.


4 Abside: originariamente porzione della basilica laica romana, per lo più semicircolare e coperta a semicupola; impiegata poi nei palazzi e nelle ville, anche con funzioni strutturali.


5 La zona della trabeazione classica posta tra architrave e cornice; può essere liscio, oppure ornato in serie di triglifi e metope, scolpito, figurato.


6 Tholos: tempio a cella circolare.


7 Periptero: tempio contornato da peristasi.


8 Tetrastilo: edificio antico, o parte di esso, con quattro colonne frontali.


9 Intercolumnio: distanza tra due colonne.


10 Va considerato che nell’architettura romana, soprattutto quella che rispecchia i canoni del De Architectura del Vitruvio, la proporzione (quasi sempre riferita al diametro di base della colonna) è alla base della progettazione. Non si sarebbe mai verificato, quindi, il sovradimensionamento dei pilastri angolari della peristasi, risultando così non in linea con i canoni imposti dall’architettura romana. Il Montano, però, è un architetto del ‘500/’600 e per questo se si dà credito ai suoi disegni, appellarci alle soluzioni del Vignola per riproporre un riproporzionamento dei pilastri con l’inserimento di lesene, è accettabile).


11 Crepidoma: basamento di solito costituito da tre gradini.


12 Èntasis: rigonfiamento a un terzo del fusto della colonna, sia apparente sia reale. È una correzione ottica della rigidezza della membratura e dà l’impressione che essa si opponga alla pressione cui è sottoposta.