Benvenuti nel sito ufficiale dell'A.P.S. ArcheoTibur di Tivoli (RM).NUOVO ANNALES VOL. III ANNO IV DISPONIBILE

Il Culto del Morti nell'età del Ferro e la grande necropoli tiburtina

A cura del dott. Stefano Del Priore.

Parte dei corredi funerari rinvenuti nella necropoli dell'età del Ferro arcaica di Tivoli: 
da sinistra a destra, anforetta biansata d'impasto bruno con spalla arrotondata e apofisi 
circondate da solcature semicircolari; calefattoio (vaso rituale a base quadrata e traforata
 con un alto collo a tronco di cono centrale e quattro piccoli sostegni di forma simile sui lati)
 d'impasto con quattro costole verticali sporgenti, decorate con metope, fasci e cornice con
 denti di lupo; vaso biansato d'impasto con solcature oblique continue (Tomba XIII, Museo
 Preistorico ed Etnografico "Luigi Pigorini", Roma).


Caratteristiche tecniche della necropoli e ritrovamenti del corredo funerario/cultuale

Una delle maggiori necropoli dell'intero Lazio è sita nell'attuale area del Piazzale Matteotti, fra la Rocca Pia e l'Ospedale civico, in Tivoli. La città dei morti fu scavata dalla primavera del 1953 al giugno del 1954 dal dott. Domenico Faccenna, ispettore dell'allora Soprintendenza di Roma, in tre campagne. Furono portare alla luce 75 tombe, ora conservate presso il Museo Preistorico ed Etnografico "Luigi Pigorini"di Roma, mentre successivamente la prof.ssa  M.O.Acanfora, della Soprintendenza alla Preistoria, ne recuperò altre 7 nel 1964. La sua estensione verso N non risultò determinabile, mentre verso S era probabilmente chiusa dall'anfratto tra Viale Trieste e Viale Tomei. Complessivamente lo strato scavato presentava oltre un centinaio di tombe ma non fu possibile salvarle tutte dati gli assai diversi interessi dei costruttori che in quella zona eressero nuovi edifici, lungo Viale Trieste, dall'Ospedale alla Rocca Pia. Caratteristica peculiare di questa necropoli è quella delle cosiddette "tombe a circolo", consistente nell'innalzare all'esterno delle tombe a fossa dei cerchi di circa 3-5 metri, costituiti da lastre di testina di travertino parallelepipede poste a coltello oppure di una o due fila di grossi sassi. All'interno dei cerchi si aprivano le fosse, generalmente scavate nel tufo, nelle quali venivano sistemati i cadaveri con armi, vasi posti dietro il capo, bracciali, anelli, fuseruole, fibule, collane, aghi e spilloni, orecchini, collane con perline in pasta vitrea o ambra ed altri monili. Al di sopra i corpi venivano ricoperti con terra e superiormente pietre di variabile grandezza con le maggiori fra esse in alto. Le tombe sono perlopiù orientate ad Est oppure ad Ovest, ad esclusione dei casi in cui, a causa della mancanza di spazio, si era stati costretti ad orientarle differentemente. Le tombe erano affiancate le une alle altre e spesso sovrapposte, indice di un'intesa attività funeraria e cultuale nella zona, e appartenevano prevalentemente a donne o a bambini (la casualità della scelta d'inumazione è tutt'ora posta al vaglio della dimostrazione), che vennero deposti nelle fosse distesi, con le braccia lungo i fianchi o con le mani incrociate sul ventre.

Le inumazioni complessivamente coprono un arco temporale che va dal IX agli inizi del VII secolo antecedenti l'era cristiana, ponendosi dunque nella piena età del Ferro (I-IV fase). Molto ben curate sono le tombe delle bambine, dalle quali sono emersi bracciali a spirale per i polsi, cinturoni e collane, mentre quelle femminili ci hanno restituito collane, fuseruole, fibule, orecchini, anelli, aghi e spilloni. Le tombe maschili, pur in assenza di analisi osteologiche, sono facilmente riconoscibili per la marcata connotazione bellica del corredo, ricco di pugnali, due vasi bronzei, lance e coltelli. Quantunque uno studio sistematico della necropoli non sia stato ancora effettuato, l'analisi dei dati stratigrafici riporta una sorprendente stratificazione del sepolcreto, stimabile in 7 metri. Questo dato, unito all'indubbia ricchezza dei corredi funebri e alla grande estensione della città dei morti, è sufficiente a catalogare la necropoli tiburtina come una delle più importanti dell'intero Lazio nonostante l'area effettivamente scavata ed analizzata sia di risibili dimensioni se confrontata con la superficie totale del bene in questione. La sua caratteristica saliente consiste nell'essere legata da una parte alle necropoli coeve dell'intera pianura laziale, dall'altra alle zone interne appenniniche. La connessione con queste ultime è proprio la presenza dei circoli attorno alle fosse, circoli che sono apparsi nei sepolcreti di Terni, di Tolentino e di Campovalano nel Piceno, di Teramo, di Introdacqua, di Pescìna e Alfedèna (*Alfòs = radice indoeuropea toponomastica, alterazione locale dell'aggettivo sostantivato *Arg/Argì, con significato di "Bianco, splendente, abbagliante" ; cfr con la dea Alfìto, con il toponimo "Albione", con il latino "Albus" e con il nome del metallo "Argento"). I corredi, invece, ci mostrano il sepolcreto tiburtino come simile a molte altre necropoli del Lazio con influenze interne OscoUmbre. Importante rimarcare la non contraddizione tra i due dati culturali, soprattutto considerando la posizione di Tivoli, che rispecchia esattamente quello di una città intermedia fra l'Abruzzo e la pianura laziale ed è quindi logico che, nella cultualità quotidiana come in quella funeraria, risenta dell'influsso dell'interno appenninico e della pianura romana. Probabilmente lo strato più superficiale ospitava genti sabine che, durante l'età del Ferro a partire dall'VII secolo antecedente l'era cristiana, scesero lungo la valle dell'Aniene ed occuparono l'importante passo di Tivoli che costituiva, ed è ancor così tutt'oggi, la porta dell'Abruzzo per chi viene da Roma. Dove si trovava il villaggio (una prima forma di conglomerato protourbano, generato da un movimento di sinecismo sorto, ragionevolmente, in risposta ad eventi invasori o migratori esterni) al quale apparteneva la necropoli in questione è tuttora oggetto di discussione ed indagine. Un tempo la teoria più accreditata fu quella di un posizionamento poco più a monte dell'attuale Campo Sportivo Ripoli, successivamente si propose una localizzazione nell'attuale centro di Tivoli, tra la Piazza S.Croce, via Due Giugno, via dell'Inversata, Piazza del Plebiscito e F. Sabucci seppur tenendo presente che non doveva assolutamente trattarsi di un unico centro abitato, bensì di più gruppi di capanne alla cui fusione si deve la "nascita" vera e propria di Tibur come città "storica", nel VI/VII secolo.

Dunque la necropoli potrebbe presentare, nella sua vasta stratificazione, livelli ben più antichi di quelli risalenti all'età del Ferro; prima di procedere oltre, occorre una doverosa quanto necessaria spiegazione al riguardo. Difficilmente, molto difficilmente, un terreno di inumazione, così come un luogo di culto, potevano, qualsivoglia sia l'epoca o il periodo analizzato, considerarsi vergini. Un luogo di sepoltura o di culto erano tali perché sin da epoche immemori innumerevoli generazioni di uomini vi avevano seppellito i propri cari o rivolto preghiere e sacrifici agli Dei. E' dunque assai improbabile che, prima della data indicata e risalente all'età del Ferro, un terreno ricco di risorse, ben difeso naturalmente e con un fiume (la vicinanza con l'acqua è un elemento a dir poco imprescindibile per uno sviluppo antropico) abbondante d'acqua e pesci, fosse rimasto disabitato per un lasso di tempo così lungo. E' ipotizzabile, al contrario, un'occupazione di Tivoli risalente alla Tarda Età del Bronzo I (XV secolo), da parte di gruppi migratori di Siculi (Sikeloi, popolo indoeuropeo di origine italica, fondatori di Sykelikòn), successivamente scacciati da invasori Pelasgi assieme agli Aborigeni, di cui possiamo trovare forti influenze nel culto eracleo e sibillino e fondatori di Polystephanon, a loro volta sconfitti dagli argivi Catillo Maiore e i suoi figli Corax, Tiburno e Catillo Iuniore che fondarono un primo nucleo abitativo fortificato, nel 1215, l'odierna Tibur (Tarda Età del Bronzo II B).

La scarsità dei ritrovamenti databili a tale epoca è da additarsi all'estrema arcaicità della stessa, in un luogo altamente stratificato come Tivoli, dove le varie epoche storiche si sono succedute, e con esse le loro immancabili opere edilizie, con una impressionante soluzione di continuità antropica. Anteriormente alla scoperta della necropoli della Rocca Pia ben pochi erano i resti attribuibili all'età del Ferro, consistenti soprattutto in una tomba appartenente al sepolcreto arcaico scoperto nella zona dell'Acquoria, studiata dal prof. Antonielli, e in un'altra tomba rinvenuta nella medesima località che restituì materiale d'avorio tipico dell'arte orientalizzante, chiara testimonianza di come, già all'epoca, la città di Tivoli fosse un fervente crocevia di commerci e genti, favorita dalla sua invidiabile posizione geografica che ne faceva un naturale luogo di transito soprattutto per la pastorizia, attività tra quelle con la maggior importanza. Successivamente alla scoperta della necropoli, invece, furono rinvenuti materiali risalenti all'età del Ferro in numerose località poste all'interno ed esterno dell'area urbana come i rinvenimenti al km 1 della via di Pomata, presso la sommità del Monte S.Angelo in Arcese, in due diversi punti della Valle Lungherina, in più luoghi della zona di Corcolle, a monte dell'attuale stabilimento "Trelleborg", all'interno della Grotta Polesini, lungo il corso dell'Aniene in località Favale (luogo di estrema importanza per la storia tiburtina sin dal lontano Paleolitico, con testimonianze litiche, ossee e grafitiche risalenti all'11.000 a.C., seppur con ritrovamenti databili al Paleolitico Superiore), lungo la Via Empolitana, ai piedi di Ciciliano, a Guadagnolo, in almeno due punti dei colli di S.Stefano, sul colle Ciaraffelo. Non molti anni fa materiale dell'età del Ferro è apparso presso i templi dell'Acropoli, un'area che fu abitata ininterrottamente a partire dall'età del Bronzo. A un'epoca più tarda (V-IV secolo dunque coeva e simile, per struttura e corredo,alla necropoli di Gallicano del Lazio), appartiene la necropoli scoperta dal dott. Faccenna nell'area dell'ex cartiera "Amicucci". La necropoli presente sotto l'area della Rocca Pia/ Ospedale Civico potrebbe dunque, in virtù della sua posizione estremamente centrale, della ricchezza dei corredi d'inumazione, della commistione di stili e culture ben evidenti, del suo elevato tasso di stratificazione e delle numerosissime sepolture presenti sulla strato più superficiale, rappresentare un oggetto di studio di profondissima importanza, che potrebbe, con adeguate campagne ben articolate nel rapporto forza lavoro/ durata dello scavo, gettare una luce del tutto nuova sul passato più remoto dell'antica "Città sul Colle" o forse solamente confermare quanto dall'antichità ci è stato tramandato a riguardo della fondazione di Tibur.


DATI TECNICI RELATIVI ALLE CAMPAGNE DI SCAVO E SBANCAMENTO CONDOTTE DURANTE IL BIENNIO 1953-1954, AD OPERA DEL DOTT.FACCENNA, ISPETTORE DELLA SOPRINTENDENZA DEI BENI ARCHEOLOGICI E CULTURALI DI ROMA.

Ubicazione della necropoli


La zona compresa tra la Rocca Pia, il Piazzale Matteotti, Viale Trieste e l'Ospedale Civico-immagini tratte da "Civiltà del Lazio Primitivo”-
Palazzo delle Esposizioni, Roma, Multigrafica Editrice, 1976.

Caratteristiche della necropoli

"Tombe a circolo", consistenti nell'innalzare, all'esterno delle tombe a fossa, dei cerchi di circa 3-5 metri costituiti da lastre di testina di travertino parallelepipede, poste a coltello, oppure di una o due fila di grossi sassi.  All'interno dei cerchi si aprivano le fosse generalmente scavate nel tufo, nelle quali venivano sistemati i cadaveri, con armi, vasi, bracciali, anelli, collane ed altri monili. Al di sopra, i corpi venivano ricoperti con terra e superiormente pietre di variabile grandezza, con le maggiori fra esse in alto.  Le tombe sono perlopiù orientate ad Est oppure ad Ovest, ad esclusione dei casi in cui, a causa della mancanza di spazio, si era stati costretti ad porle differentemente. Le tombe, affiancate le une alle altre e spesso sovrapposte, indice di un'intesa attività funeraria e cultuale nella zona, appartenevano prevalentemente a donne o a bambini. La casualità o meno di tale dato potrebbe essere verificata con ulteriori scavi da operarsi negli strati inferiori. L'elevato numero di sepolture presenti denota una popolazione stabilmente insediata sul territorio, aumentando dunque le possibilità che, nelle profondità ancora inesplorate della necropoli, vi possano essere sepolture ancora più antiche ed importanti.

-  Numero tombe ritrovate accertate: ottantadue, effettive:  oltre il centinaio

Disposizione e struttura delle tombe nella necropoli tiburtina. Ad un'analisi superficiale,
 sono chiaramente riscontrabili i circoli di pietre,  disposti attorno al corpo, e l'orientamento E/O, 
il medesimo  del Sole, indicante dunque una forte credenza
 in una resurrezione  dopo la morte. immagini tratte da "Civiltà del Lazio Primitivo”-
Palazzo delle Esposizioni, Roma, Multigrafica Editrice, 1976.
Corredi funerari ritrovati

Manca, dai diari di scavo e dai resoconti della Soprintendenza comunale e di Roma, qualsiasi indicazione numerica a riguardo dei materiali, delle armi, dei monili e delle suppellettili ritrovate. In via generale, possono essere elencati pugnali, coltelli e lance per le tombe maschili, bracciali, cinturoni e collane per le tombe di bambine,collane, fuseruole, fibule, vasi, orecchini, anelli, aghi e spilloni per quanto riguarda le tombe femminili. I ritrovamenti sono di pregevole e ricca fattura, indice di un diffuso benessere cittadino sin dell'età remota. La presenza di avori orientalizzanti nella tomba arcaica dell'Acquoria, con la raffigurazione di scene di caccia al leone, di chiara ispirazione assira, coeva della necropoli, denota una profonda connessione interculturale presente sul territorio tiburtino, centro di un crocevia che vedeva coinvolte varie popolazioni, in transito dalla pianura romana all'Abruzzo e viceversa.

Fibule e cinture ritrovate nelle sepolture femminili della necropoli tiburtina-immagini tratte 
da"Civiltà del Lazio Primitivo”-Palazzo delle Esposizioni, Roma, Multigrafica Editrice, 1976.


Vasi ritrovati nelle sepolture della necropoli tiburtina. Dall'analisi ceramica e dello stile, possiamo
notare una profonda  influenza dovuta allo stile sabellico. I vasi in questione possono essere catalogati 

come "Stàmnos",  atti a contenere liquidi,  simili ad un'anfora ma più rari e dall'aspetto più tozzo.
 Talvolta erano dotati di coperchio. Immagini tratte da"Civiltà del Lazio Primitivo”-
Palazzo delle Esposizioni, Roma, Multigrafica Editrice, 1976.

Fibule, spille, orecchini provenienti dal corredo funerario delle tombe femminili nella necropoli 
tiburtina. Possiamo notare, nelle decorazioni, un'evidente influenza dello stile tardogeometrico
 corinzio (circa VIII / VII secolo A.C., compatibile dunque con l'età delle sepolture), 
nei motivi triangolari  ed ondulati,  nonché delle interessantissime 
decorazioni spiraliformi, tipiche dei culti funerari EteoEuropei antichi.


Vasi ritrovati nelle sepolture della necropoli tiburtina: Aryballòs (contenitore di oli per il corpo, 
utilizzato dagli atleti)  e Skyphos (tazza a due manici, utilizzata per bere) con il primo avente
 corpo striato e decorazioni spiraliformi, il secondo
 una grande spirale presente tra la pancia e la spalla e apofisi globulare al centro.



Una delle sepolture a circolo rinvenute nella necropoli arcaica tiburtina: si può notare l'evidente struttura litica circolare di "chiusura" attorno alle sepolture a fossa; verosimilmente, un cromlech ( parola di origine bretone, stante ad indicare una serie di pietre di forma ondulata infisse nel terreno, atte a formare una linea circolare, che delimita e recinge uno spazio chiuso) poteva contenere più sepolture ed avere carattere familiare, indicando dunque un grado di parentela, più o meno prossimo, tra le persone sepolte al suo interno; in questo caso si parla di sepoltura collettiva.


Dimensioni della necropoli 

-2600 mq di lunghezza

-7 metri di profondità effettiva

-225 x 7, equivalente alla zona già sbancata e scavata; la forza lavoro venne stimata, all'epoca, in 200 giornate lavorative e circa 40 operai)



Una cartina della necropoli tiburtina, risalente al 1953 , data in cui vennero effettuati
 i primi lavori di sbancamento e scavo: è messa in risalto la superficie totale del sepolcreto
 e la porzione di scavi effettuati (in rosso). Confrontando le dimensioni della necropoli con
 la vicina Rocca Pia ed il prospiciente Viale Trieste, ci si può facilmente rendere conto 
della grande estensione del terreno di sepoltura. Immagine su gentile concessione 
dell'archivio Storico Comunale di Tivoli.



Considerazioni a riguardo dei riti d'inumazione e dell'attività cultuale

In totale assenza di testimonianze scritte o pittografiche, stabilire o quantomeno individuare le credenze di queste popolazioni è un compito particolarmente ostico. Possiamo, comunque, focalizzare la nostra attenzione su alcuni dettagli che, fortunatamente, sono in nostro possesso, tale da poter ipotizzare delle interpretazioni. L'inumazione diretta nelle fosse denota chiaramente un ritorno alla Madre Terra, primeva divinità dei popoli della Vecchia Europa (o EteoEuropea) che un tempo dominava tutta la cultura del continente dal Mediterraneo, sino alle isole Britanniche, prima delle grandi invasioni indoeuropee partite dalle steppe russe attorno alle sponde  N/O  del Mar Nero, dal V millennio a.C. Anche la posizione dei corpi nelle fosse è piuttosto indicativa, poiché le braccia distese lungo ai fianchi e ancor di più il posizionamento degli arti incrociati sul ventre indicano un voler far ritorno al "ventre materno" della Terra. Il motivo decorativo spiraliforme, simbolo di una credenza ferma nella vita dopo la morte, è largamente presente su fibule, spille e vasi: la spirale, o labirinto, indicava il ciclo della vita, la resurrezione dopo la morte, ed il ciclico svolgersi degli eventi concatenati in morte e rinascita; tutto ciò era tipico di una popolazione agricola, abituata dunque a percepire la vita umana come assimilabile alle estrinsecazioni naturali ove il seme diviene frutto, viene colto e mangiato, per poi essere nuovamente piantato nella Terra, traendo da essa nuove energie e potendo così rinascere come frutto, ininterrottamente. I recinti litici, o Cromlech, delimitavano circolarmente (ancora un esempio della circolarità o ciclicità dell'evento funebre) uno spazio sacro, una sorta di Tèmnos (un recinto sacro) ove il mortale non doveva accedere a causa dell'elevata sacertà del luogo. La decorazione protogeometrica triangolare ed ondulata, infine, rappresentava arcaicamente (ed ancora presente al giorno d'oggi nella segnaletica, ad esempio) l'acqua(*1), fonte di ogni esistenza, latrice di vita ma, al tempo stesso, quell'oceano sconfinato oltre il quale il defunto, una volta attraversatolo a bordo di una barca, avrebbe trovato l'Isola dei Beati, l'Avalon (Afallon : ossia "L'isola dei Meli"), i Campi Elisi, luogo di eterna beatitudine, sino alla sua successiva reincarnazione. Non mancano, tuttavia, elementi spuri, classificabili come prettamente indoeuropei, dunque tipici delle popolazioni di pastori nomadi che invasero l'Europa a partire dal tardo neolitico. Nelle sepolture maschili sono stati trovati armamenti bellici come lance, pugnali e coltelli, indicanti dunque una credenza di un aldilà dove si sarebbero continuate a svolgere le attività tipicamente quotidiane, come la caccia e, per l'appunto, la guerra. Tutto ciò indica una convinzione piuttosto marcata di una conservazione della propria classe sociale e del proprio prestigio anche in una vita successiva, intesa dunque come una continuazione della precedente scevra però dalle malattie, dalla sofferenza e dalla morte. L'orientamento delle tombe, con i crani dei defunti rivolti verso E/O, rafforza ancor di più quanto scritto in precedenza: il "cammino" che il defunto avrebbe seguito era assimilabile a quello solare nel suo percorso da Est, il sorgere dell'astro prodromo dunque di una nuova rinascita, ad Ovest, il tramonto, quindi una morte, seppur apparente e temporanea dove il Sole, durante il suo tragitto, s'inoltrava nelle regioni più occidentali sedi dell'aldilà, l'Ade o il Tartaro ellenico ("Tartaros"  raddoppiamento onomatopeico di un cardinale con funzione rafforzativa: "TarTar", ossia "Il lontanissimo Ovest", la dimora eterna dei morti). Altro importante indizio lasciatoci dalle tombe è l'estremo riguardo e l'elevata importanza di cui godevano le donne all'interno della società (carattere comunque tipico di moltissime culture di stampo arcaico, anche coeve e limitrofe, come ad esempio nella società etrusca), intuibile dalla ricchezza dei corredi funerari, consistenti in monili, cinture, fibule, spille e reperti ceramici di elevata e pregevole fattura: dunque non sembra esservi stata disparità tra i sessi nell'arcaica società prototiburtina. Le tombe dei bambini, inoltre, lasciano intendere che anche i morti in giovane età avrebbero proseguito l'esistenza nell'aldilà ultraterreno, in attesa di un ritorno al mondo che, precedentemente, li aveva privati della vita così prematuramente.
                                                   
Approfondimenti

(*1) L'acqua e le divinità che a essa soprintendevano mostrano una forte connessione con la figura del toro sacro, intimamente legato al simbolo del femminino e delle tube di Falloppio. Sia nella necropoli della Rocca Pia che in località Acquoria son stati rinvenuti vasi con biforcazione apicale decorata con corna taurine, chiaro segno indicante una chiara valenza del trinomio "Acqua-Donna-Toro" simboleggiante, tra le altre cose, la fertilità.

Fonti bibliografiche:

-"Civiltà del Lazio Primitivo-Palazzo delle Esposizioni, Roma, Multigrafica Editrice, 1976- pgg 188-212 e tvv. XXXIII-XLI;

-“Forma Italiae-Tibur Pars Prima”, Fulvio Cairoli  Giuliani, De Luca, 1970, p.246 ss;

-”Atti&Memorie della Società Tiburtina XXXVII, A. Parmegiani, 1964, p. 187 ss;

-”Atti&Memorie della Società Tiburtina XLII, F. Sciarretta, 1969, p.93 s., figg 47c, 45 nn. 1-4, p.105 fig.49 nn. 2&3, tav. XIII 7, 8 e p.108)


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