A cura del dott. Stefano Del Priore e di Christian Doddi.
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Il
cosiddetto Tempio della Tosse di Tivoli, veduta esterna.
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Cosiddetto
Tempio della Tosse, dettaglio interno della volta con Oculus apicale.
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Architettura, storia e ritrovamenti archeologici
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Modellazione
3D, ipotesi ricostruttiva del cosiddetto Tempio della Tosse
a cura di
Christian Doddi ArcheoTibur2020©,
Tutti i Diritti Riservati.
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Il
c.d. Tempio
della Tosse
è una struttura architettonicamente semplice, ma ingegneristicamente
molto avanzata. Come nel caso del Pantheon
(27
a.C. -110 d.C.
/ 125
d.C-128 d.C.)
si compone di una cupola con oculus,
in
opus
caementicium
armato da barre in ferro radiali e da un tamburo (parete portante
della struttura di copertura) composto da un sistema di archi di
scarico che permettono di generare un momento d’inerzia sufficiente
ad assorbire la spinta della copertura semisferica. La pianta del
monumento tiburtino si sviluppa su di una matrice circolare, scavata
all’interno da esedre e nicchie radiali, a motivi geometrici
rettangolari e semicircolari. Tale impostazione di progetto la si
riscontra anche in altri edifici contemporanei e non, a dimostrazione
dell’ottimo modo con cui gli Ingegneri e gli architetti romani
riuscivano a fondere al meglio efficienza strutturale, riscontro
estetico e funzionale. Difatti tali esedre e nicchie avevano più
funzioni, ovvero aiutavano la distribuzione delle spinte degli archi
(nel campo statico), generavano una spazialità articolata sia in
pianta che in alzato (in campo architettonico) ed erano luoghi in cui
potevano essere riposte statue varie o giochi d’acqua a seconda
della funzione dell’edificio (in campo funzionale). Parlando del
Pantheon di sicuro la prima caratteristica in comune che salta
all’occhio, anche dei non esperti, è la cupola gradonata. Ma non
bisogna soffermarci soltanto a ciò che si vede, difatti la pianta,
per quanto più articolata quella dello splendido edificio di Agrippa
prima e ristrutturato da Adriano
poi, è decisamente simile. Esedre e nicchie si aprono su tutto il
tamburo con una radialità di 45° sia nel Tempio di tutti gli Déi
romani che nell’edificio tiburtino. Se si analizzano altre
strutture contemporanee al c.d. Tempio
della Tosse,
si nota come tale gusto di progettazione nata (forse) nel Pantheon
stesso, prese poi piede dal III
– IV sec.
come una moda architettonica ben instaurata. Linee più semplici e
coperture cupolari meno mastodontiche, le ritroviamo nei seguenti
edifici:
- C.d. Tempio rotondo di Ostia Antica (222 – 244 d.C.)
- C.d. Tempio di Minerva Medica (inizio del IV d.C.)
- Mausoleo di Villa Gordiani (IV d.C.)
- Mausoleo di Sant’Elena (326-330 d.C.)
- Mausoleo di Romolo della Villa di Massenzio (IV d.C.).
Tali
edifici sono tutt’ora visibili e visitabili, il meno conservato è
il c.d. Tempio rotondo di Ostia Antica, mentre degli altri si
conserva gran parte della struttura. Il c.d. Tempio della Tosse di
Tivoli, invece, ha un livello di conservazione pressocché
perfetto, ciò grazie anche al riuso successivo a luogo di culto
cristiano. Studiando tali monumenti, salta subito all’occhio quanto
le piante siano praticamente identiche (con eccezioni architettoniche
soggettive di edificio in edificio) e tali analogie così tanto forti
ribadiscono quanto la rivoluzione planimetrica del Pantheon,
sia stata accolta dai progettisti del III – IV sec.
d. C. Dal punto di vista architettonico la struttura tiburtina si
presenta come cilindrica, in Opus Vittatum composto
da liste di tufetti e Latericium con
cupola a calotta emisferica avente un diametro di circa 12,75
m, corredato da oculus
o posto
nel punto apicale della medesima, sulla falsariga della ben più
famosa cupola del Pantheon capitolino. La presenza di questo
singolare elemento architettonico, ovverosia un punto d'accesso per
la luce posizionato esattamento nel punto più elevato e centrale
dell'intero edificio, apre una serie di ragionamenti circa
l'originaria destinazione d'uso: è altamente probabile che il fascio
di luce dovesse filtrare con precisione solo in un dato momento,
quasi fosse una celebrazione di un qualche evento particolare di tipo
civile o religioso. Per tale ragione, per quanto non del tutto
escludibile, riteniamo come la meno probabile l'ipotesi che vede il
c.d. Tempio della Tosse quale un atrium o
un vestibulum di una
grandiosa villa mai realizzata o completata, propendendo invece per
una classificazione quale edificio cultuale, religioso o funerario;
anche l'ipotesi di un ninfeo, data l'assenza di condotture idrauliche
o altri elementi idrici, sembra davvero poco plausibile, perlomeno
allo stato attuale delle prove archeologiche. Tornando alla disamina
architettonica il corpo della struttura si compone di due ordini
sovrapposti con l'inferiore di 5,43
m posto tra due muri ben
più antichi in Opus Reticolatum,
fungenti da basamento e
risalenti al I secolo a.C.
individuabili
come resti di una villa d'Otium,
avente due aperture affacciantesi l'una sull'antica via
Tiburtina Valeria e
l'altra sul lato opposto, mentre il superiore è corredato da 7
nicchie
(il numero 7 possiede una valenza estremamente importante per i culti
propri della Divinità il cui dominio era rappresentato dalla Luce
e dalla Conoscenza
intesa anche come Illuminazione
Interiore,
quali Febo Apollo
o Benelenus
sul quale torneremo più avanti), di cui 3
rettangolari
e 4 semicircolari,
al cui interno si aprono delle finestre aventi la funzione di
lucernario: le sopracitate nicchie posseggono dimensioni notevoli,
misurando ben 4,24
m in
altezza e poco meno di 3
in larghezza; internamente troviamo ulteriori nicchie rettangolari e
quadrate di dimensioni ancor maggiori. Sembra piuttosto palese che
l'intero edificio fosse stato pensato e concepito affinchè la luce
giocasse un ruolo piuttosto importante e denso di significato e ciò
è ipotizzabile sia considerando numero specifico di aperture che la
loro dimensione. In antichità dovette essere rivestito di marmo o
travertino, data la presenza di fori atti al fissaggio delle lastre,
forse anche sormontato da una cornice odiernamente perduta mentre le
mensole di sostegno della stessa si sono conservate. Altra
supposizione, concernente i resti dell'Opus
Quadratum posta
tra l'intercapedine della struttura, è che dovesse originariamente
contare quattro lati (oggi ne sono visibili solo due, con andamento
ad angolo retto) delimitanti una sorta di area sacra, quindi aventi
funzione di recinto: sul lato est vennero individuate tracce della
spalle di una porta, forse l'accesso alla zona sacra di cui sopra. La
pavimentazione era in mosaico, come testimoniato dagli sparuti resti
rinvenuti in situ.
A proposito di Belenus,
antichissima
divinità protoceltica della luce venerata probabilmente sin dai
tempi più antichi dell'umanità in moltissime civiltà,
una
sua
iscrizione
dedicatoria venne ritrovata frammentata in un edificio sepolcrale nei
pressi del cosiddetto Tempio
della Tosse,
recitante:
“ANTINOO
ET BELENO PAR AETAS FORMAQVE PAR EST CVR NON ANTINOVS SIT QVOQVE QUI
BELENVS
Q.SICVLVS
(*1) “
A
tal riguardo possiamo solamente elucubrare ricordando che, secondo
Tito
Livio,
nel 361
a.C.
i Galli attaccarono Roma, venendo respinti e dirigendosi poi verso la
Campania: ciò fu possibile solo con l'ausilio dei tiburtini, i quali
avevano concesso ai celtici Galli
di
stabilire degli accampamenti presso il loro territorio. Che la
divinità celtica di Belenus
debba
la sua presenza nel territorio tiburtino risalendo proprio a tale,
antichissimo, episodio, restando poi la divinità di riferimento di
un piccolo nucleo di etnia celtica rimasto nella nostra città?
Oppure, come altrove, sia finito per esser assorbito da Apollo
(Apollo
Belenus),
divenendo il teonimo celtico “Belenus”
un semplice appellativo del Dio della Luce, figlio di Zeus
e Leda?
Supposizioni, non altro,
seppur non prive di fascino.
Un ulteriore ritrovamento archeologico avvenuto in propinquità della
struttura ci è noto grazie all'archeologo britannico Thomas
Ashby,
il quale riporta testualmente (Atti
II, 106)
la descrizione del Revillas
(*2):
nel XVIII
secolo
venne rinvenuto un bassorilievo rappresentante un Taurobolium,
ovveorosia la purificazione catartica tipica della religione
mithraica avente il suo corrispettivo più tardo nel rito battesimale
del cristianesimo: sul corpo dell'iniziato si faceva grondare,
colandolo in una fossa attraverso l'ausilio di fori presenti su di un
coperchio in legno che ne chiudeva la sommità, il sangue caldo di un
toro appena ucciso, affinchè tutto il corpo ne fosse ricoperto, così
come la lingua (Prudenzio,
Peristephanon,
10,
vv. 1011
– 1050).
Vedremo
ora nel dettaglio gli edifici singolarmente e proveremo in
conclusione a dare un’attribuzione al misterioso monumento
tiburtino che in assenza di scavi e prove archeologiche (come per
esempio epigrafi) tutt’ora non ha un’identità certa. Quel poco
che possiamo affermare con un certo qual grado di certezza è che il
cosiddetto Tempio della Tosse è giunto fino a noi in condizioni
eccellenti grazie al successivo cambio di destinazione d'uso, come
poc'anzi accennato, dato che nel Medioevo divenne conosciuto come
Trullum
a cagione della sua pianta tonda, conosciuto anche come chiesa di
Santa Maria della Tosse
(nei pressi) di Porta Scura o
del Passo poiché
in prossimità della Porta
Scura,
ovveorosia ciò che restava della grandiosa Via
Tecta attraversante
il grandioso Santuario
di Ercole Vincitore,
dal quale vennero prelevate ingenti quantità di materiale edilizio
utili al restauro della struttura: prova di ciò è un frammento di
cornice marmorea angolare con scolpita una minuta clava di Ercole.
Menzioni specifiche le abbiamo a partire dal secolo
X dell'Era Cristiana,
periodo al quale risale anche una delle pitture interne
ancora
odiernamente ammirabili: posizionata nella conca dell'ultima abside,
a destra, si può scorgere un'Ascensione
di Gesù,
mentre in quella della prima troviamo un Cristo
Redentore
di circa tre secoli più tardo, risalente alla seconda metà del
XIII.
“Fu
nel secolo X consacrata la chiesa di S. Maria della Tosse nel vecchio
edificio rotondo nei pressi di Porta Scura. Sopra un rocchio di
colonnna che era fino a pochi anni or sono nella parete di frpnte
l'ingresso si leggeva incisa nei rozzi caratteri di quell'età, con
le maiuscole e minuscole alternate ad arbitrio, l'iscrizione
seguente:
(In mense decembris die XIV feria I inditione XIV consacrata ecclesia)”
Il Pacifici ci riferisce, al riguardo della sopramenzionata iscrizione, che nei primi di gennaio del 1925 non fu già più possibiole rintracciarla
Il Pacifici ci riferisce, al riguardo della sopramenzionata iscrizione, che nei primi di gennaio del 1925 non fu già più possibiole rintracciarla
Ipotesi circa l'origine del nome
Il
perchè il cosiddetto Tempio della Tosse sia così appellato resta un
mistero tutt'oggi irrisolto nonostante siano state avanzate
molteplici ipotesi, alcune a dir la verità anche piuttosto
fantasiose. Gli storici Cabral e Del Re lo ritennero un
luogo di culto dedicato alle Divinità Venere e Cerere,
mentre il Sebastiani lo identificò come un Tempio in onore
del Sole: Belenus e Apollo Belenus erano effettivamente
Dei Solari dalle virtù sanatorie e curative, inoltre la pianta
circolare era abbastanza comune negli edifici associati alla luce e
alle fiamme intese quali elementi purificatrici e di guarigione. Ciò,
nel tempo, potrebbe aver dato origine al termine “Tosse”
da intendersi quindi come una reminescenza dell'antica destinazione
d'uso del cosiddetto tempio e forse un suo perpetrarsi, in età
medievale, come nosocomio d'emergenza per il trattamento di afflittti
da morbi epidemici. Altre ipotesi, assai poco attendibili sia per
mancanza di prove che di fonti, narrano di un sepolcro della Gens
Tuscia o di un luogo di culto apotropaico dedicato alla Dea
Tosse, ubicato al di fuori delle mura urbiche affinchè essa ne
restasse fuori. Il Silla Rosa De Angelis, invece, basandosi
anche sul ritrovamento di un'epigrafe su stele marmorea nelle propinquità attualmente posizionata lungo il medesimo lato del Tempio lungo la via degli Orti, credette
che nel secolo IV dell'Era Cristiana e più precisamente
durante il principato di Costanzo e Costante, risalente all'Anno Domini 339 (per maggiori informazioni
durante questo periodo è possibile consultare l'articolo “Tibur
nelle Guerre Greco-Gotiche” del dott. Giovanni Di Braccio,
disponibile presso la sezione “Storia e Patrimonio
Artistico-Archeologico dell'Area Tiburtina” del nostro sito
internet), il senato e il popolo tiburtino incaricarono Lucio
Turcio Secondo Asterio, figlio del Praefectus Urbi di
Roma Aproniano governatore della Flaminia e del Piceno, affinchè operasse lavori di restauro e
miglioria del Clivus Tiburtinus lungo la via Tiburtina, tale da
renderlo più agevole al transito e meno ripido, a seguito dei
quali venne innalzato la nostra enigmatica struttura, la quale non
sarebbe dunque altro che un memoriale: da “Turcio” si
sarebbe poi ottenuto “Tosse” per decadimento dialettale.
Del tutto priva di fondamento, invece, la teoria secondo la quale fu
l'Imperatore Adriano a innalzare la struttura in onore del defunto
amante Antinoo, assimilato nei versi dell'epigrafe
precedentemente trattata al Dio Celtico Belenus, simbolo di
resurrezione e immortalità: non vi sono assolutamente indizi che
possano inquadrare il contesto nel II secolo d.C., ergo la
supposizione non presenta alcun grado di attendibilità, allo stato
attuale delle prove; in ultimo, menzioniamo il pensiero che volle il
termine “Tosse” derivante dal proprietario originario del
fundus (alla cui dimora andrebbero quindi collegati i
muri in opera reticolata di età augustea analizzati in precedenza),
ovveorosia il poeta, retore e filologo romano Plotius Tucca
(appartenente alla scuola epicurea napoletana e menzionato per
la prima volta nel 35 a.C. - post 19 a.C.), dotto
appartenente al celebre Circolo di Mecenate (tra i cui
esponenti molti possedevano una Villa d'Otium a Tibur)
e intellettuale grandemente stimato sia da Ottaviano Augusto
che dal suo collega Quinto Orazio Flacco, il quale lo
riteneva un superbo esponente dell'Ars Poetica romana negli
anni 30 del secolo I a.C. Sappiamo, attraverso la Vita
Vergilii del grammatico romano Elio Donato (appellato con
il titolo di “Clarissimus”, IV secolo dell'Era
Cristiana), che Ottaviano aveva in stima così elevata Plotius
Tucca tale da incaricare lui e Quintilio Varo Cremonese
(uno dei papabili proprietari dell'omonima e grandiosa villa
tiburtina) affinchè completassero la gloriosa Eneide di
Publio Virgilio Marone, da questi lasciata incompleta e priva
di revisione al momento della sua morte. Da “Tucca” a
“Tuscia”, per poi giungere infine a “Tosse”:
verità o fantasiose illazioni? Forse, con il tempo, si verrà a capo
anche di questo piccolo “mistero” tiburtino.
Analisi pittorica degli affreschi
I
caratteri stilistici intrinsechi degli affreschi più antichi in
effetti concordano con l'inquadramento temporale della grafia
relativa alla sopracitata iscrizione, oggigiorno perduta. Nel X
secolo il
giorno del XIV
dicembre cadde
precisamente di domenica (“feria
I”)
in una quattordicesima indizione sola: nell'anno 956
e,
successivamente, nel 1001:
in queste due uniche date, con più probabilità nella prima, avvenne
la consacrazione dell'edificio a luogo di culto cristiano.
Fu allora che, a seguito del rialzamento del livello del terreno circostante avvenuto nel corso dei secoli, venne murato per metà il grande arco fungente da ingresso dove venne posizionata la soglia della nuova porta, la quale fu decorata con un portichetto sostenuto da una coppia di pilastrini e coperto da un piccola volta. Ancora oggi è possibile vedere foglie stilizzate e pesci dipinti con contorno di colore rosso campeggianti su fondo bianco. Ulteriori fregi decorativi furono tracciati con motivi spiraliformi e in forma di chiocciola conginti da tratti neri, sempre su campo bianco. Come accennato in precedenza, presso la calotta dell'ultima abside di destra si può ammirare la porzione superiore di una scena decorante l'intera nicchia, ovverosia l'Ascensione del Signore. Il Messia, qui raffigurato imberbe, è immortalato nell'atto di benedire con la mano destra, mentre nella sinistra stringe un libro. La veste è color porpora e spicca decisamente sul fondo azzurro, delimitato dalla grande aureola composta da fasce concentriche verdi, rosse e bianche: alcuni raggi dorati, impreziositi da gemme, si separano dal corpo del Cristo e si riconnettono al motivo decorativo. Dietro la testa di Gesù è presente un nimbo solcato da una croce e tra i raggi campeggiano astri e fiori di rose. Una coppia di angeli sorregge, attraverso le vasti ali, l'aureola del Salvator Mundi; indossano vesti color neve e gialle, messe ancor più in risalto dal rosso che colora il fondo della nicchia. Due ali, del medesimo colore dei vestiti, seguono la curva ascendente del nimbo mentre le restanti due si chiudono verso l'estremità dei corpi dando origine a tre ovali, donando una sensazione di leggerezza e ascendenza. Ombre e luci vengono figurate attraverso l'ausilio di modeste linee, le immagini presentano un certo qual grado di piatta rigidità, denotate da volti allungati, pupille sbarrate e prive di movimento, zigomi e mento sovradimensionati, mani tozze e incarnato paonazzo. Tramite attenta analisi, possiamo riscontrare una certa somiglianza tra questi affreschi e quelli che campeggiano nella Basilica di San Clemente in Laterano a Roma, attribuibili al secolo X. Il Cristo Redentore risalente alla seconda XIII secolo è rappresentato con la medesima postura di quello più antico, benedicente con mano destra mentre sostiene un libro con la sinistra; il capo è cinto da un'aureola cruciforme ed è racchiuso in un ovale, dal fondo azzurro, sostenuto da due angeli ai lati. Iconograficamente presenta delle notevoli somiglianze con l'affresco del Cristo Pantocrator posto sulla lunetta ogivale che decora l'ingresso posteriore dell'ex Chiesa di San Vincenzo (per ulteriori approfondimenti è possibile consultare l'articolo “L'Ex Chiesa di San Vincenzo” dell'arch. Francesco Pecchi, disponibile presso la sezione “Le Chiese di Tivoli” del nostro sito internet), realizzato da un'artista del luogo presubilmente ai principi del XIV secolo.
Fu allora che, a seguito del rialzamento del livello del terreno circostante avvenuto nel corso dei secoli, venne murato per metà il grande arco fungente da ingresso dove venne posizionata la soglia della nuova porta, la quale fu decorata con un portichetto sostenuto da una coppia di pilastrini e coperto da un piccola volta. Ancora oggi è possibile vedere foglie stilizzate e pesci dipinti con contorno di colore rosso campeggianti su fondo bianco. Ulteriori fregi decorativi furono tracciati con motivi spiraliformi e in forma di chiocciola conginti da tratti neri, sempre su campo bianco. Come accennato in precedenza, presso la calotta dell'ultima abside di destra si può ammirare la porzione superiore di una scena decorante l'intera nicchia, ovverosia l'Ascensione del Signore. Il Messia, qui raffigurato imberbe, è immortalato nell'atto di benedire con la mano destra, mentre nella sinistra stringe un libro. La veste è color porpora e spicca decisamente sul fondo azzurro, delimitato dalla grande aureola composta da fasce concentriche verdi, rosse e bianche: alcuni raggi dorati, impreziositi da gemme, si separano dal corpo del Cristo e si riconnettono al motivo decorativo. Dietro la testa di Gesù è presente un nimbo solcato da una croce e tra i raggi campeggiano astri e fiori di rose. Una coppia di angeli sorregge, attraverso le vasti ali, l'aureola del Salvator Mundi; indossano vesti color neve e gialle, messe ancor più in risalto dal rosso che colora il fondo della nicchia. Due ali, del medesimo colore dei vestiti, seguono la curva ascendente del nimbo mentre le restanti due si chiudono verso l'estremità dei corpi dando origine a tre ovali, donando una sensazione di leggerezza e ascendenza. Ombre e luci vengono figurate attraverso l'ausilio di modeste linee, le immagini presentano un certo qual grado di piatta rigidità, denotate da volti allungati, pupille sbarrate e prive di movimento, zigomi e mento sovradimensionati, mani tozze e incarnato paonazzo. Tramite attenta analisi, possiamo riscontrare una certa somiglianza tra questi affreschi e quelli che campeggiano nella Basilica di San Clemente in Laterano a Roma, attribuibili al secolo X. Il Cristo Redentore risalente alla seconda XIII secolo è rappresentato con la medesima postura di quello più antico, benedicente con mano destra mentre sostiene un libro con la sinistra; il capo è cinto da un'aureola cruciforme ed è racchiuso in un ovale, dal fondo azzurro, sostenuto da due angeli ai lati. Iconograficamente presenta delle notevoli somiglianze con l'affresco del Cristo Pantocrator posto sulla lunetta ogivale che decora l'ingresso posteriore dell'ex Chiesa di San Vincenzo (per ulteriori approfondimenti è possibile consultare l'articolo “L'Ex Chiesa di San Vincenzo” dell'arch. Francesco Pecchi, disponibile presso la sezione “Le Chiese di Tivoli” del nostro sito internet), realizzato da un'artista del luogo presubilmente ai principi del XIV secolo.
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Cosiddetto
Tempio della Tosse, Ascensione di Gesù, affresco interno, X secolo.
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Cosiddetto
Tempio della Tosse, Cristo Benedicente, affresco interno, XIII secolo.
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Cosiddetto Tempio della Tosse, Ascensione di Gesù, affresco interno, X secolo. |
Confronti e Ipotesi
TEMPIO ROTONDO DI OSTIA ANTICA
Come
già ripetuto più volte, tale struttura si sviluppa su pianta
circolare con absidi e nicchie radiali, poggia su podio, presenta un
pronaòs
d’ingresso
connesso ad un ampio porticato del cortile antistante. Fu scavato nei
primi anni del 1800
ma
un rapporto dettagliato fu fatto solo nel 2004
da Rieger.
(A.K.
Rieger – Heiligtumer in Ostia, Munchen 2004). Costruito
forse sotto gli Imperatori Alessandro
Severo
o Gordiano
III,
gli si vuole attribuire una funzione templare e non funeraria. Tra le
varie ragioni quella che più conferma tale scelta è l’ubicazione
del monumento, sito a ovest della basilica lungo il decumano della
città portuale a pochi passi dal Capitolium
ostiense.
E’ fatto certo che le sepolture venivano fatte al di fuori della
cinta muraria, eccetto per le Vestali che però avevano una
regolamentazione “divina”. All’interno della città, quindi,
non poteva avere funzione funeraria ed escludendo quella civile e
residenziale per carenza di elementi tipici, non ci resta che credere
nella sacralità dell’edificio e quindi poter dire quasi per certo
che fosse stato un Tempio. Purtroppo per mancanza di statue, epigrafi
o fonti scritte dell’epoca, non possiamo sapere a chi fosse
dedicato, ma l’impostazione planimetrica (come quella del Pantheon
di Roma) ci può suggerire che potesse essere dedicato a più
divinità. Confrontandolo con il c.d. Tempio della Tosse, si nota
subito che, non solo è a pianta circolare con elementi radiali, ma
ha anche protuberanze laterali come ad estrudere la nicchia
rettangolare assiale. Inoltre la copertura era quasi certamente a
cupola e probabilmente anch’essa presentava un oculo centrale.
TEMPIO DI MINERVA MEDICA
Costruito
sotto l’Imperatore Gallieno, e chiamato erroneamente Tempio
di Minerva Medica, sorgeva sugli Orti Linciani ed era un
meraviglioso ninfeo. La disposizione interna absidale in questo caso
risulta rispettare un’angolazione di 36° e non di 45°, così da
regalarci nove ambienti anziché sette come nel caso del Pantheon.
Ancora oggi è possibile ammirare una parte del monumento e della
cupola gradonata. Tale edificio è molto più simile a quello
Tiburtino in alzato che in pianta, soprattutto per quanto riguarda il
doppio ordine murario sovrapposto con le aperture delle grandi
finestre arcuate superiori.
MAUSOLEO DI VILLA GORDIANI
È
l’edificio più conservato del parco archeologico di Villa
Gordiani ed
è un monumento funerario articolato su due piani. A differenza del
c.d. Tempio
della Tosse
e del c.d. Tempio
di Minerva Medica,
nel piano superiore vi sono degli oculi lucernari e non delle grandi
aperture finestrate. Sorge sul complesso residenziale della famiglia
imperiale dei Gordiani (anche se l’area presenta tracce più
antiche). In pianta e in alzato è pressocché identico al Mausoleo
di Romolo
e l’impostazione planimetrica riscontra la solita distribuzione
radiale di nicchie ed esedre ed aveva uno splendido pronaòs
d’ingresso
alzato su gradinata. Anche in questo caso vi è la copertura a cupola
in parte conservata tutt’oggi.
MAUSOLEO DI SANT’ELENA
Fatto
costruire dall’Imperatore Costantino tra il 326 e il
330 d.C. per la madre, Sant’Elena, è anch’esso
come il precedente un edificio funerario. All’interno alloggiava il
famoso sarcofago in porfido rosso, oggi conservato ai Musei Vaticani.
La pianta è quasi una copia del Mausoleo di Villa Gordiani con la
tipica impostazione di absidi e nicchie radiali a 45°. Tale
monumento però presenta aperture finestrate al piano superiore,
proprio come nell’edificio di Tivoli. Architettonicamente molto
simile agli altri esempi, era però connesso tramite un piccolo
porticato alla basilica antistante. All’interno doveva essere
adornato da splendidi marmi colorati e al di fuori da intonaco
pitturato di bianco e di rosso. La cupola era presente anche in
questo caso, ma ad oggi è sopravvissuta soltanto una parte
dell’imposta.
MAUSOLEO DI ROMOLO
Sito
nella Villa
di Massenzio,
era il monumento funerario dinastico dedicato al figlio
dell’Imperatore, Valerio Romolo. Come in quello di Villa
Gordiani,
si ergeva su un podio con scalinata e pronaòs,
all’interno
di un vasto quadriportico. Come i precedenti edifici, presenta in
pianta la distribuzione radiale delle absidi e delle nicchie e la
copertura cupolare. Non è da escludere che tale cupola sia stata
cassettonata come quella del Pantheon. In questo caso si ipotizza
l’assenza di lucernari e finestrature e difatti in alzato è molto
più simile al Pantheon che al c.d. Tempio della Tosse; in pianta,
però, la somiglianza è ben visibile.
Ipotesi conclusive
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Modellazione 3D, ipotesi ricostruttiva del cosiddetto Tempio della Tosse di Tivoli, a cura di Christian Doddi, ArcheoTibur2020©, Tutti i Diritti Riservati. |
Ben
visibile dalle immagini dell’articolo, questo gusto architettonico
scaturito probabilmente dal Pantheon, viene a conoscere una grande
popolarità nell’edilizia funerario/templare del III – IV sec.
d.C. Oggi noi identifichiamo il monumento all’ombra del
Santuario d’Ercole Vincitore come un Tempio, ma in realtà
le ipotesi possono esser varie e profondamente discordanti. Purtroppo
l’assenza di scavi settoriali, di ritrovamenti di elementi come
epigrafi o are, e la scarsità delle fonti antiche, non può darci la
certezza sulla funzione di tale opera. Se si paragona con gli edifici
sopra elencati, vi è una maggioranza di monumenti funerari piuttosto
che templari o addirittura di ninfeo. L’ubicazione al di fuori
delle mura ci può suggerire che il c.d. Tempio della Tosse potesse
essere anch’esso un mausoleo, ma tale ipotesi va in discordanza con
la totale assenza (momentanea) di scritti che indichino l’edificio
come una sepoltura di qualche grande famiglia tiburtina. Anche
l’attribuzione di Tempio non può essere presa totalmente per
buona, considerando che la somiglianza architettonica è ben più
spinta verso l’edificio funerario, e
anche in questo caso la totale assenza di fonti menzionanti di un
Tempio al di sotto del mastodontico Santuario d’Ercole
Vincitore. Purtroppo ad oggi è difficile attribuire una funzione
certa a tale monumento, quindi si prenderanno per buone entrambe le
ipotesi finché non vi saranno scoperte archeologiche o letterarie
che ci attestino il ruolo di questa meravigliosa e ben conservata
costruzione romana tardo-imperiale.
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Modellazione 3D, ipotesi ricostruttiva del cosiddetto Tempio della Tosse di Tivoli, vista interna, a cura di Christian Doddi - ArcheoTibur2020©, Tutti i Diritti Riservati. |
Precisazioni
Tra
i vari edifici simili, sia in pianta che in alzato andrebbero
menzionati anche il Mausoleo di Santa Costanza e l’ala
rotonda delle Terme Antoniniane (meglio conosciute come Terme
di Caracalla). Non sono state prese in considerazione perché si
è preferito analizzare quegli edifici che in pianta e in alzato
rispettano di più una similitudine attinente al c.d. Tempio della
Tosse. Nonostante ciò questi monumenti portano anch’essi diverse
analogie planimetriche e di alzato.
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Piante dei vari edifici, presi in esame, a confronto. Christian Doddi - ArcheoTibur2020©, Tutti i Diritti Riservati. |
Note
(*1)
”Antinoo,
e Beleno, hanno età pari e parimenti bellezza; perchè non avviene
dunque che Antinoo sia ciò che è Beleno?
Quinto
Siculo.”
(*2)
“Tauri
in antro veluti expirantis pars antica in hocce Anaglyphi fragmento
repraesentatur. Juvenis ante Taurum tiaram phrygiam capite gestans,
brevique tunica indutus facem versus terram deprimit. Supra hunc in
sinistro Tabulae superiori angulo Luna exculta inter cornus
visitur...Et praeter Lunam in sinistro angulo, ut heic expressam,
Juvenemque sub ea, facem gestantem, Sol in dextro angulo conspicitur;
ac sub eo pone Taurum alter Jubevin facem pariter, sed contrario
sensu aut deprimens aut erigens; qui quidem quo Juvenes duos alios
Mithras, orientem videlicet occidentemque Solem (sicuti qui medius
est, Taurumque calat Solem meridianum) rapresentant, ut Mythologorum
eruditiores arbitrantur. Sole itaque, seu Mithram, nostrum quoque
marmor exhibet.”
Fonti bibliografiche
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Franchetti Pardo Ortolani Viscogliosi, Laterza 2006;
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