Stemma di Angelo Leonini nel portale della chiesa di San Biagio. |
Suo fratello Vincenzo fu prefetto della guardia a cavallo di vari Papi rinascimentali quali Giulio II (1443 – 1513), Leone X (1475- 1521), Adriano VI (1459-1523), Clemente VII (1478 – 1534) e sposò, con il consenso pontificio, Bartolomea de' Medici nipote di Giovanni De Medici, figlio del “Magnifico” e futuro Papa Leone X. I Leonini sono attestati nei registri nobiliari a partire dalla fine del XIV secolo d. C. come “magistri Iohannis”, mercanti di origine plebea la cui ascesa fu favorita dal legame con la famigerata famiglia Orsini del ramo di Tagliacozzo. Ancora giovane Angelo fu introdotto e accolto dal cardinal Giuliano Della Rovere, al secolo Papa Giulio II. Studiò medicina, filosofia e arti liberali, intraprendendo la carriera ecclesiastica, lettore di medicina allo “Studium Urbis” dal 1483 al 1499, “archiatra pontificio” (medico personale del Papa) di Leone X, nonché dottore del Cardinale Scalfarenti.
Nominato abate di S. Eusebio di Melanico, nella diocesi di Lariano, godette delle rendite del priorato di Sutri e della parrocchia di S. Agata nella diocesi di Imola. Alla fine del 1400 la sua famiglia fu coinvolta, a Tivoli, nella lotta fra fazioni dove i Leonini, Teobaldi e Coccanari alleati degli Orsini erano schierati contro Zacconi, Fornari e Marescotti che parteggiarono per i Colonna. Tuttavia, nel 1499 fu nominato Vescovo della cittadina tiburtina dopo che il Pontefice Alessandro VI lo aveva dichiarato esente dal sospetto di aver preso parte alle lotte delle correnti politiche che tanto insanguinarono la città. Nel 1500 fu inviato da Alessandro VI a Venezia come oratore papale: la sua missione, presso la Repubblica della Serenissima, fu quella di sollecitare la liberazione del cardinale Ascanio Maria Sforza (1455- 1505) prigioniero dei veneziani, assicurarsi l'alleanza con Venezia, in difficoltà dopo la sconfitta di Navarino e la caduta di Lepanto (poi riconquistata nella vittoria sugli Ottomani), partecipare con il Papa alla costituzione di una lega di sovrani cattolici contro i Turchi e chiedere la fine della protezione che la Repubblica assicurava ai comuni di Pesaro, Faenza e Rimini ribellatesi al Santo Padre.
Dichiarò inoltre l'intenzione di stabilirsi “nella città dei Dogi” per svolgervi con continuità il compito di rappresentante pontificio. L'intervento in favore dello Sforza fu tardivo poiché la Repubblica lo aveva già consegnato agli alleati francesi, la Lega anti-turca, dopo una serie di scaramucce conclusesi con la pace stipulata tra il Sultano turco Bayazid II e il Re d'Ungheria Ladislao VII. Quanto alla Romagna ribelle, “la bizantina città veneta”, accettò di cedere Pesaro nel 1503, che come molte altre città fu “fagocitata” dalla brama di potere di Cesare Borgia (1475 - 1507) detto il Valentino.
Nel 1503 il nuovo Papa Giulio II inviò Angelo come “nunzio e legato” a Venezia per chiedere la restituzione alla S. Sede di Faenza e Rimini e delle altre città della Romagna di cui la Repubblica si era impadronita dopo la morte del Papa Borgia, Alessandro VI (1431-1505).
Tuttavia la Serenissima acconsentiva ad arrestare la sua espansione nella bassa pianura del Po ma non intendeva restituire le città già occupate scatenando così l'ira del Pontefice della Rovere, che minacciò di ricorrere alla Francia, Spagna e Sacro Romano Impero. Dopo due anni di interminabili lavori diplomatici tra le varie ambascerie europee per risolvere la questione della disputa territoriale dello Stato Vaticano e Venezia, con una parentesi di un incarico papale a Ferrara dove fu inviato per rallegrarsi con il nuovo duca Alfonso I d'Este. Nel 1505 il Leonini fu richiamato a Roma interrompendo le relazioni diplomatiche con la “veneta cittadina marinara”. Nel 1506 ricoprì l'incarico di commissario apostolico in Romagna con il compito di riportare l'ordine ai comuni di Fano, Cesena, Forlì e Bertinoro travagliati da sanguinose lotte di fazione.
Nel 1507 a Tivoli fece da mediatore tra le varie famiglie nobiliari in lotta, contribuendo alla loro riconciliazione sancita da un “istrumento” pubblico. Con il fratello Vincenzo, in questo periodo fece restaurare la chiesa di San Biagio, ponendo una lapide in memoria dei suoi avi:
(A Dio Ottimo Massimo. A Pietro Leonini, uomo eccezionale per senso di giustizia e pietà, a Giovanna sposa sua eccellente per carità e fede i quali vissero per 40 anni in perfetta unione, genitori amatissimi, al nonno Angelo, a Giovanni zio paterno, uomini ambedue eccezionali, raccolte le ceneri degli antenati dell'antica famiglia dei Leonini riunite in questo sacro luogo, e dei discendenti, Angelo, vescovo di Tivoli, assistente del pontefice massimo Giulio, impiegato onorevolmente in molteplici e prestigiose ambascerie presso la Sede Apostolica al tempo di Alessandro VI, di Pio III e di Giulio II, sommi pontefici, tornato infine in patria, per dovere di pietà consacrò questo monumento ad essi ben meritevoli, nell'anno della redenzione 1508. Questo monumento sarà consegnato in eredità agli eredi.).
Nel 1509 fu inviato da Sua Santità Giulio II in Francia alla corte del Re Luigi XII, nuovo alleato papale, come nunzio apostolico. Entrando in rotta di collisione con il Sovrano transalpino dovette dare fondo a tutte le sue capacità diplomatiche per difendere il Papa dall'accusa di tradimento, dopo la riconciliazione tra S. Sede e Venezia in funzione antifrancese; nel frattempo passò dal vescovado di Tivoli all'arcivescovado di Cagliari. Angelo tuttavia cercò di favorire un riavvicinamento tra Francia e S. Sede ma cadde in disgrazia presso il Pontefice, accusato dai veneziani di lavorare contro di loro e contro “il Patrimonio di San Pietro” e, in aggiunta a ciò, di essersi fatto corrompere dai francesi. Nel 1510 dopo ampi contrasti con il Vaticano e con il Sovrano francese decise di ritirarsi ad Avignone, con nomina di governatore.
Nel 1507 a Tivoli fece da mediatore tra le varie famiglie nobiliari in lotta, contribuendo alla loro riconciliazione sancita da un “istrumento” pubblico. Con il fratello Vincenzo, in questo periodo fece restaurare la chiesa di San Biagio, ponendo una lapide in memoria dei suoi avi:
D.O.M.
D.O.M-PETRO LEONINO PIETATE IUSTITIAQVE SINGVLARI IOANNE EVIS CONIVGI CHARITATE AC FIDE CONSPICVAE QVI ANNOS XL. CONCORDISSIME VIXERE PARENTIBVS PIIS ANGELO AVO IOANNI PATRV VIRIS CLARISSIMIS MAIORVMQVE CINERIBUS EX ANTIQVA FAMILIA HOC SACRO COLLECTIS POSTERISQVE ANGELUS EPISCOPVS TIBURTINUS IVLII II. PONT. MAX. ADSISTENS VARII OPEROSISQVELEGATIO NIBVS ALEXANDRO VI. PIO III. IVLOQVE II. SUMM. PONT. PRO SEDE APOSTOLICA HONESTE FVNTVS IN PATRIAM SE ALIQVANDO RECIPIENS HOC MONVMENTVM BENEMERENTIBUS VOTO SACRAVIT ANNO SALVTIS MDVIII. H.M.H.S
(A Dio Ottimo Massimo. A Pietro Leonini, uomo eccezionale per senso di giustizia e pietà, a Giovanna sposa sua eccellente per carità e fede i quali vissero per 40 anni in perfetta unione, genitori amatissimi, al nonno Angelo, a Giovanni zio paterno, uomini ambedue eccezionali, raccolte le ceneri degli antenati dell'antica famiglia dei Leonini riunite in questo sacro luogo, e dei discendenti, Angelo, vescovo di Tivoli, assistente del pontefice massimo Giulio, impiegato onorevolmente in molteplici e prestigiose ambascerie presso la Sede Apostolica al tempo di Alessandro VI, di Pio III e di Giulio II, sommi pontefici, tornato infine in patria, per dovere di pietà consacrò questo monumento ad essi ben meritevoli, nell'anno della redenzione 1508. Questo monumento sarà consegnato in eredità agli eredi.).
Nel 1509 fu inviato da Sua Santità Giulio II in Francia alla corte del Re Luigi XII, nuovo alleato papale, come nunzio apostolico. Entrando in rotta di collisione con il Sovrano transalpino dovette dare fondo a tutte le sue capacità diplomatiche per difendere il Papa dall'accusa di tradimento, dopo la riconciliazione tra S. Sede e Venezia in funzione antifrancese; nel frattempo passò dal vescovado di Tivoli all'arcivescovado di Cagliari. Angelo tuttavia cercò di favorire un riavvicinamento tra Francia e S. Sede ma cadde in disgrazia presso il Pontefice, accusato dai veneziani di lavorare contro di loro e contro “il Patrimonio di San Pietro” e, in aggiunta a ciò, di essersi fatto corrompere dai francesi. Nel 1510 dopo ampi contrasti con il Vaticano e con il Sovrano francese decise di ritirarsi ad Avignone, con nomina di governatore.
Questa carica comportava anche quella di rettore del Contado Venassino, generando l'astio della comunità locale. Nel 1513 con l'elezione del nuovo successore al trono di San Pietro, Leone X (Giovanni di Lorenzo De Medici 1475-1521) fu nominato assistente partecipando alla IX sessione del concilio Lateranense V. Morì nel 1517 sepolto in pompa magna, con cerimonia pubblica, nel Duomo tiburtino di San Lorenzo Martire, riposto in un sarcofago nella cappella dedicata alla sua famiglia. Così recita l'epitaffio sepolcrale che fece incidere suo fratello Vincenzo e suo nipote Camillo, futuro vescovo tiburtino:
ANGELO EX VETVSTA TIBVRTINA LEONINORVM FAMILIA PHILOSOPHIAE CAETERARVMQVE LIBERARVM ARTIVM SCIENTIA ERVDITISSIMO GRATISSIMO ASPECTV SINGULARI FACUNDIA INNVMERISQVE NATVRAE DOTIBVS PRAEDITO SVMMIS PONTIFICIBVS ALEXANDRO VI. QVI EVM AD TVRRITANAM TRANSTVLIT LEONI X. QVI GRANDIOREM ETIAM DIGNITATE CONCESSVRVS AFFINITATE HONESTA VIT CARISSIMO ERVM NOMINE AD DIVERSOS REGES ET PRINCIPES CHRISTIANOS LEGATIONIBUS MAGNA OMNGNVM ET ADMINISTRATIONE FIDELITER. PRVDENTERQVE PERFVNCTO CAMILLUS EPISCOPUS TIBURTINUS NEPOS ET VINCENTIUS PONTIFICIAE CUSTODIAE PRAEFECTUS FRATRES PATRVO OTTIMO FACIENDVM CVRARVNT ANNO SALUTIS CHRISTIANAE MDXVII.
Nella portale lapideo in travertino della chiesa del Santo di Sebaste o Sebastea (Biagio) è ritratto il suo stemma nobiliare, in una cornice rettangolare, all'interno di uno scudo esagonale fiancheggiato da due festoni. Lo stemma vero e proprio è rappresentato da un Leone rampante che si erge sulle zampe posteriori al fianco di una grande penna d'oca, palese richiamo alla devozione a San Giovanni Battista, dettaglio confermato anche nello stemma araldico del fratello Vincenzo. Il grado ecclesiastico del Leonini è confermato dalla mitra vescovile posta la di sopra del Leone. A tutt'oggi la sopra citata immagine risulta essere gravemente danneggiata e di difficile lettura, poiché fu presa di mira non da uno o più gruppi di vandali attuali, ma dai tiburtini stessi durante il periodo post Rivoluzione Francese, tra la fine del '700 e i primi del '800,a causa dei “venti rivoluzionari” che miravano a cancellare qualsiasi immagine del precedente Governo Papale, colpendo ciecamente ogni forma che ricordasse anche minimamente il potere ecclesiastico cittadino.
Arch. di Stato di Roma,Camera Urbis, regg. 279, cc. 24v, 29v; 280, cc. 17v, 18v, 20v, 49v, 51v, 53r; 281, cc. 10v, 13r, 15r; Manoscritti, 144, cc. 232, 233v-234v, 236, 241.
Arch. segreto Vaticano, Armadi I-XVIII, 1443, c. 128v; Armadio XXXIX, tt. 22-26, 28-30, passim; Armadio XL, t. 2, cc. 43R, 110.
Camera apostolica, Diversa Cameralia, 52, c. 218v; 57, c. 198v; 59, c. 182v; 66, c. 166v; ibid., Introitus et Exitus, 546, cc. 120r, 150r, 172v; 548, cc. 130r, 137r, 162v; 551, cc. 117r, 135v.
Archivio Concistoriale,Acta miscellanea, 18, c. 180v; Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 1552, cc. 72-75; 4815, cc. 218-219.
J. Burchard, "Liber notarum…, II", a cura di E. Celani, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., pp. 199, 376.
"I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia". Regesti, VI, a cura di R. Predelli, Venezia 1904, pp. 42, 44, 76.
G.M. Zappi, "Annali e memorie di Tivoli", a cura di V. Pacifici, Tivoli 1920, pp. III, 119 s.
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B. Dovizi da Bibbiena, "Epistolario", I,1490-1513, a cura di G.L. Moncallero, Firenze 1955.
M. Giustiniani, "De' vescovi e de' governatori di Tivoli", Roma 1665, pp. 58-61.
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G.C. Crocchiante, "L'istoria delle chiese della città di Tivoli", Roma 1726, pp. 17, 96 s., 168, 232.
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S. Carocci, "Tivoli nel basso Medioevo. Società cittadina ed economia agraria", Roma 1988, pp. 79, 85.
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