A
cura del dott. Stefano Del Priore.
Uno degli ingressi del ghetto ebraico di Tivoli, posizionato sull'attuale Piazza Palatina.
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Notizie certe circa la presenza
di una comunità ebraica nella città di Tivoli, per quanto
nonostante l'assenza di prove certe non se ne possa escludere la
presenza in età classica come avvenne parimenti nella vicina città
di Roma sin dal II secolo antecedente l'era cristiana (secondo il Viola, in "Monumenti scritti tiburtini in Roma", 1850, entro l'antica cinta muraria pare esistesse un sacello dedicato alla Felicità e ubicato nei pressi dell'attuale vicolo dei Giudei),
risalgono agli anni 1305 – 1308; a tal riguardo, su
delibera dell'allora comune, veniva fatto cenno all'attuazione di
aspre disposizioni suntuarie, citando per l'appunto il prestito
ebraico dietro pegno: trattasi, per la precisione, di una
deliberazione datata al 28 settembre del 1308 la quale integrò
lo Statuto della città tiburtina, redatto nel maggio del 1305,
assieme a due ulteriori ordinanze emesse nel maggio e
nell'ottobre del medesimo anno. Successivamente dobbiamo
operare un salto temporale fino all'anno 1373 nel quale,vergato su di un atto testamentario, veniva fatta chiara menzione
dell'attività d'usurai ("feneratizia") giudaica,
mentre nel 1387 troviamo un certo Consilio Dactuli
ebreo, il quale prestava somme di denaro dietro garanzia di pegno: il
tale non doveva certo essere sconosciuto alle autorità comunali
figurando il suo nome nel registro notarile delle spese sostenute dal
Palazzo nell'anno 1389 così come, nello stesso periodo,
documenti della medesima matrice menzionano severe sovvenzioni
commissionate ad Angelo Dathuli assieme ad altri ebrei,
multati per aver partecipato al proibito gioco dei dadi. Sempre nel
1389 Elia di Vitale risulta aver prestato contanti al
Comune di Tivoli, venendo rimborsato, e l'ebreo Brunetto,
trasferitosi da Firenze a Tivoli in quegli anni, era considerato
particolarmente attivo nell'attività dell'usuraio: proprio in quel
periodo, il 3 luglio, venne reso obbligatorio l'utilizzo di un
tabarro color rosso, una sorta di mantella a ruota dotata di
cappuccio e lunga pressapoco fino alle ginocchia per gli ebrei della
città, "sotto pena della vita, e confisca de' beni in caso
di contravvenzione". E' lecito supporre, data l'intensa
quantità di segnalazioni, provvedimenti e misure restrittive messe
in atto in un periodo di circa 80 anni, che Tivoli dovette seguire la
scia delle altre grandi città medievali, che videro nel periodo
terminale dell'alto medioevo crescenti moti d'intolleranza,
persecuzione e discriminazione nei confronti dei Giudei: non è
certamente un mistero che, durante i terrificanti anni dell'incedere
impietoso della grande pestilenza della Morte Nera, gli ebrei
furono visti e accusati come tra i maggiori responsabili del
diffondersi del morbo, tacciati d'essere untori e messaggeri della
letale malattia la quale, negli anni tra il 1347 e il 1353,
fu in grado di mietere tra i 20 e i 25 milioni di
vittime nella sola Europa, un ammontare pari a 1/3 dell'intera
popolazione.
A tal riguardo, il primo documento attestante la
presenza di un medico ebreo nella nostra città risale invece
all'Anno Domini 1388, dove Nicola Pometta del
Castello dei Colli di Santo Stefano promette di pagare la somma
di "4 fiorini" a Mastro Salomone, ebreo,
medico in fisica residente a Tivoli, mentre alcuni anni più tardi,
precisamente nel 1405, il medico ebreo Mosè di Tivoli
ottenne la cittadinanza romana convalidata, l'anno seguente, da Papa
Innocenzo VII. Per quanto concerne, invece, i primi, chiari e
inequivocabili segni dell'impiantarsi di una comunità stabile,
nutrita e organizzata, dobbiamo operare un breve salto temporale fino
al 1428, dove con il trasferimento in Tivoli di circa 20
famiglie ebree si assistette contestualemente all'edificazione di una
Sinagoga e all'allestimento di un cimitero dedicato esclusivamente
all'accoglimento dei Figli di Salomone: ponendo tali attività come
Terminus Post Quem, ne vien da sè che prima di tale anno la
comunità ebraica in Tivoli non dovette essere molto nutrita,
popolosa e, soprattutto, integrata, tale da non rendersi necessaria
la costruzione di un luogo di culto apposito tantomeno per l'eterno
riposo. Logica vuole che, in precedenza, tanto i riti quotidiani
quanto quelli funebri furono in prevalenza di carattere privato,
familiare e certamente non su larga scala, quanto invece relegati a
una dimensione prettamente riservata. Da quanto tramandatoci dai
documenti, la Sinagoga era ubicata "in Palatiis",
ragionevolmente posizionata nell'angolo tra l'attuale Via Palatina
e Vicolo dei Granai (già "Vicolo dei Giudii",
attualmente ricordato come Vicolo dei Giudei nella
toponomastica locale): di essa non resta alcuna traccia visibile, demolita nel 1937 per permettere
l'allargamento di Via Palatina dopo esser stata inglobata, nel corso
dei secoli, in altri edifici, mentre per quanto concerne il cimitero
sappiamo che un primo fu posto nella località denonimata "Magnano",
a circa 3 chilometri a valle del centro cittadino lungo
l'attuale Via Nazionale Tiburtina, dove altri due furono allocati nei
pressi della Rocca Pia e nel cosiddetto "Ortaccio"
sito al di fuori della "Porta Cornuda" (la Porta
Cornuta abbattuta nell'anno 1899).
L'angolo tra l'attuale Via Palatina e il Vicolo dei Granai |
Come da tradizione ben attestata
ovunque, i luoghi di sepoltura ebraici erano considerati al pari di
quelli dedicati agli scomunicati, gli infedeli e via discorrendo,
venendo quindi posti al di fuori dell'abitato e delle mura urbiche,
non venendo dunque considerati parte integrante della società
cristiana residente nella città. Da una lapide rinvenuta nei pressi
dell'originario cimitero di Magnano apprendiamo della
sepoltura di Rachel, moglie del medico Salomone attivo
a Tivoli; per quanto concerne gli altri luoghi d'inumazione, venendo
a mancare per essi ogni riferimento cronologico o menzione degna di
nota, si è sempre voluto inquadrarli in un periodo successivo al
1428, il che risulterebbe anche logico: con l'accrescersi
della comunità, si resero necessari ulteriori luoghi di sepoltura in
differenti località poste poco al di fuori dei confini urbani di
Tivoli. Nonostante la tesi possa sembrare probante, a riguardo del
provvedimento del 1389 circa l'obbligo d'indossare il tabarro
rosso per gli Israeliti, viene menzionato un primevo loro luogo di
culto, posizionato all' "angolo della città" e in
prossimità del "Convento de' Domenicani": si può
dunque supporre che, prima dell'istituzione ufficiale del 1428,
esistessero luoghi dedicati al culto ma dal carattere semiclandestino
o, comunque, non ufficiale.
Porta
Sant'Angelo o Porta Cornuta, demolita nel 1899.
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.
Sempre
nell'anno
1428,
vennero ratificati tra la città e l'Università
Ebraica,
nella quale il Magister
Saban era
annoverato tra i membri più prestigiosi e di chiara fama, i
cosiddetti capitula:
quest'ultimi stabilivano esattamente la cifra che la comunità
ebraica doveva versare per il tributo al popolo romano stabilito nei
patti del 1259,
per i Ludi
di Testaccio e
per eventuali spese in caso di emergenza, necessità e calamità: in
cambio di ciò, gli israeliti erano esenti da qualunque altra spesa,
tassa o gabella comunale e non avrebbero dovuto subire processi per
aver ricevuto in pegno, a seguito di prestito di denaro, oggetti
rubati o sottratti con la forza a persone terze: nell'anno 1475,
risulta attivo l'ebreo Magister
Sabatutius (o
Sabaritius)
nell'attività
di prestito di denaro, chiaro segno di come il mestiere di usuraio
fosse ancora pienamente praticato dagli israeliti locali, nonostante
i ripetuti e forti divieti che le autorità promulgavano più o meno
ciclicamente. La
comunità raggiunse nei secoli XIV
e XV
un ottimo livello culturale e a testimonianza di ciò possediamo
numerosi codici conservati in importanti biblioteche: a
Tivoli
fu ultimato, nel
1332,
il Codice
29
della Casa
dei Neofiti,
successivamente custodito alla Biblioteca
vaticana,
mentre nello stesso anno Yitzhaq
di Yaaqovde
Synagoga svolgeva
attività di amanuense nella località; nel 1383
fu
rabbino Daniel
di Shemuel di
Daniel-ha
Rofe,
mentre nel
XV secolo
"Mordekhai
di Yitzhaq
di
Tivoli"
copiò il
Codice 269
custodito attualmente nella Biblioteca
nazionale di Parigi
e un amanuense di origine tiburtina, Shabbetai
di Yehoshua,
copiò due codici negli anni Settanta e Ottanta del secolo, uno a
Napoli
e l'altro a Ferentino.
Tale comunità fu inoltre sede di una riunione indetta tra i
rappresentanti delle varie comunità ebraiche sparse sul suolo
italiano, affinchè si potessero discutere le leggi antiebraiche
emanate dal Concilio
di Basilea
negli anni 1431
– 1439;
altra importante testimonianza può essere rintracciata nella
Descriptio
Urbis della
città di Terracina
risalente
all'anno
1472,
nella quale è possibile leggere che la comunità ebraica di Tivoli
era ritenuta la più popolosa e al contempo più povera: infatti,
viene specificato nel documento, "14
case"
fruttavano circa "42
ducati",
ergo poco più di 3 per nucleo familiare. Numerosi
furono gli ebrei
beneficiari
di tolleranze,
naturalmente dietro il pagamento d'ingenti somme,
della
Camera apostolica per poter "fenerare"
a Tivoli, nel '500:
il medico Maestro
Consulo de Rosata,
Emanuele
alias Sbardella,
Abramo
de Sermoneta,
Prospero
di Gabriele
e Moyse
di Moyse,
soci (1538);
Aleutio
di Moyse da Veroli,
Pellegrino
da Aversa e
Abramo
di Deodato,
figlio di Mathesia
da Capua
nel 1542;
Emanuele
di Isacco da Aversa
(1543,
1544);
Maestro
Angelo di Gaudio da Fondi
e suo nipote Sabbatuccio
di Beniamino,
Ventura
di Isacco Bonnani da Fondi,
Angelo
di Aleutio Consilio de Salomone
e suo genero Sabatucio
de Gavio da Fondi
nel 1543;
Gayo
di Emanuele,
Moyse
de Moyse
da Rieti e Moyse
di Angeluno da Loreto
nel 1544;
Peregrino
di Davide e
Emanuele
di Isacco di Lazaro da Aversa
nel 1546;
Emanuele
di Abramo da Cori,
Emanuele
di Isacco di Lazaro da Aversa
e Gentildonna;
vedova di Pellegrino di Davide, Raffaele e Davide di Moyse da Aversa
nel 1548
ed i fratelli
Angelo
e Ventura
di Sabbatucio
nel 1552.
I Pontefici Paolo
III
e Giulio III,
rispettivamente nel 1549
e 1553,
prorogarono tutti i privilegi elargiti agli Israeliti tiburtini,
dietro lauto pagamento della vigesima,
concedendo contestualemente il perdono per tutti i delitti commessi
in precedenza. Il 12 luglio dell'anno 1555
si
assistette, sotto il pontificato del Papa Inquisitore Paolo IV,
al secolo Gian
Pietro Carafa,
a un radicale mutamento dei rapporti tra la Santa Sede e la comunità
israelitica di Tivoli: a seguito della bolla "Cum
Nimis Absurdum"
(*1)
("Poichè
è oltremodo assurdo")
il quartiere di loro residenza venne letteralmente separato dal resto
della città attraverso l'innalzamento di due porte, rendendolo de
facto un
ghetto vero e proprio, così come in Roma venne adottata medesima soluzione; sempre il 12 luglio di 265 anni prima, nel 1290, gli Ebrei furono espulsi dall'Inghilterrra per volere del Sovrano Edoardo I Plantageneto.
Il
simbolo del Kinnor (*2) inciso su di una delle colonne
poste
all'ingresso del ghetto ebraico di Tivoli.
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Fino
al 1560
nell'elenco delle Sinagoghe corrispondenti la tassa alla
Casa dei Catacumeni di
Roma è presente anche quella di Tivoli, perlomeno fino alla bolla di
espulsione "Hebraeorum
gens sola quondam a Deo dilecta"
emanata da Papa
Pio V
il 26
febbraio 1569,
in base alla quale tutte le genti ebraiche risultavano espulse dai
territori appartenenti allo Stato della Chiesa tranne che nella città
di Ancona
e Roma,
dove per effetto della sopramenzionata bolla di Paolo IV avrebbero però dovuto soggiornare in appositi ghetti dall'alba fino
al tramonto. Il ghetto tiburtino restò in funzione fino al 1847.
Note
e approfondimenti
*1)
Nella
bolla, in particolare, s'impose agli ebrei l'obbligo di portare un distintivo grigio, fu fatto divieto ai medici giudei di curare cristiani e di possedere
beni immobili. La bolla stabilì inoltre la costruzione di appositi
ghetti dove gli ebrei avrebbero dovuto dimorare, così come avvenne a
Tivoli e nel famoso ghetto ebraico di Roma.
(*2)
Antichissimo
strumento musicale israelita, assimilabile a una cetra greca
(kithara)
o un'arpa; il termine deriva dal cananeo Kinnaru,
di comunissimo utilizzo nell'antico testamento, largamente riscontrabile presso i gruppi nomadi e seminomadi semitici già dal 2000
a.C.
Il Kinnor,
al quale spesso ci si riferisce come "L'Arpa
di Davide"
è uno dei simboli con il quale si identifica la Terra d'Israele.
Fonti
Bibliografiche
-Sante
Viola, Storia
di Tivoli dalla sua origine fino al sec. XVII;
-V.
Federici (a
cura di), Statuto
di Tivoli del 1305 con aggiunte del 1307-8, Istituto
Storico Italiano per il Medioevo;
-T.
Tani,
Gli ebrei a Tivoli,
in Bollettino di Studi Storici ed Archeologici di Tivoli,
Anno
I – 1919;
-T.
Tani, Gli
archiatri israeliti tiburtini,
in Bollettino di Studi Storici e Archeologici di Tivoli, anno X –
1932;
-N.
Pavoncello, Le
comunità ebraiche laziali prima del bando di Pio V,
in Lunario
Romano 1980: Rinascimento nel Lazio,
Roma 1980;
-V.
Pacifici, Tivoli
nel Medioevo, in
Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d’Arte,
V-VI,
1925-26;
-A.
Freimann,
Jewish
Scribes in Medieval Italy;