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Gli acquedotti : i giganti dell'acqua.

A cura del dott. Stefano Del Priore, arch. Francesco Pecchi.

Con il fine di promuovere e far comprendere le testimonianze storico-culturali del nostro territorio, quella dei resti degli Acquedotti romani nella valle di Tivoli risulta essere esigenza primaria, dato il carattere fondativo e unico che questa presenza dispiega lungo il corso del Fiume Aniene. Un percorso che può partire dall'antica Tibur, dalla valle del fosso Empiglione, passando per Castel Madama o S. Gregorio da Sassola fino ad arrivare a Subiaco, seguendo una logica distributiva e funzionale che molto deve alla sapiente ingegneria idraulica romana nell'antichità. Si tratta, anche, di un percorso che riesce a coniugare questi aspetti pratici ad una visione chiara e di grande valenza architettonica e paesaggistica, in grado di disegnare un territorio e organizzarlo compiutamente, secondo un disegno riconoscibile.



La Valle degli Arci, così chiamata proprio con l'evidente toponimo, può vantare una lunga serie di lineari resti di acquedotti; strutture ipogee o in elevazione, che potevano avere diversa funzione a secondo delle necessità legate proprio alla gestione del trasporto dell'imponente flusso idrico. Si possono seguire diversi itinerari che offrono scorci di grande bellezza, apprezzabili ora come nei secoli passati. Nulla ha quindi da invidiare questo territorio alle più note campagne romane fra la via Latina e la via Appia.


Per avere un quadro chiaro della distribuzione e della presenza dei diversi tracciati di acquedotti, di epoche e committenze diverse, possiamo partire proprio dal fiume Aniene e dalle strutture che incontriamo lungo il suo corso.
Cosa resta oggi di queste imponenti strutture?
I tratti visibili e più significativi sono sicuramente i ponti, in corrispondenza di corsi d'acqua o dislivelli notevoli del terreno. 

Segnaliamo ad esempio il Ponte dell'Acqua Marcia sul Fosso delle Cannuccette, databile in età adrianea o inizio del II sec, oggi quasi del tutto crollato. E' qui chiaramente visibile lo speco, piuttosto alto e stretto che dal terreno fuoriesce per proseguire il suo corso, coperto a spioventi a risega e rinforzato da una serie di pilastri in laterizio e opera reticolata. Si può notare ancora un pozzetto forse utile per rallentare il corso dell'acqua, nella parte a sud. In quella a Nord possiamo trovare un pozzetto per l'ispezione dello speco.

Il ponte dell'Acqua Claudia, sul Fosso della Noce, si segnala per una serie notevole di arcate monumentali che correvano anche su due ordini, ora però interamente crollati. I fornici poggiano su pilastri provvisti di cornici e sono stati successivamente ristrutturati per ricavarne locali utili.
Il Ponte dell'Anio Novus a Fonte Luca è anch'esso crollato. Sulle sponde possiamo notare sostruzioni in blocchi di tufo e fodere in laterizio.

I resti dello Speco dell'Acqua Marcia, visibile a Monte Papese, è invece rivestito in opera reticolata di pietra calcarea, databile al periodo augusteo. coperto con volta semicircolare.
Spiccano poi i mirabili resti della Cisterna di Monitola, di pianta rettangolare. Quest'opera, costruita in opera incerta di calcare, presenta tre navate da due file di sei pilastri complessivi in blocchetti quadrati. I pilastri dovevano sorreggere delle volte a botte ora però crollate. Alcuni dettagli, come i brani di intonaco in Cocciopesto, ci svelano la sua funzione di conserva per l'acqua piovana. La struttura presenta sostruzioni medievali e non si esclude, per alcuni dettagli legati all'architettura della pianta (come il muro curvilineo absidale a Nord) un utilizzo in Chiesa. Il Moreschini di C. Madama azzarda una identificazione nell'antica Chiesa di S. Maria voluta da Valila il Goto.


Il Ponte dell'Anio Novus all'Osteriola conserva ben undici archi in laterizio risalenti a metà del III secolo. Lo speco qui ha ben otto ghiere di tegole e cornici rispettivamente alla base e all'imposta. Spicca l'elevata usura delle arcate, che presentano il rivestimento lapideo quasi del tutto asportato. Questo doveva essere già stato notato in epoca medievale se pensiamo che vengono descritti, in un documento del X secolo, come Archi Fulgurati.


L'Anio Novus a Sud dell'Empolitana ci propone un interessante rudero di tre arcate, ricostruite probabilmente in età adrianea con cornice all'imposta, lo speco è qui coperto con due spioventi. Pochi metri più a Sud possiamo notare un bellissimo e monumentale complesso con piloni contraffortati in opera reticolata e doppio ordine di arcate. Da segnalare la presenza di pilastri a croce che ben potevano sopportare le sollecitazioni del vicino fosso, Un intuizione che ben anticipa addirittura le moderne prescrizioni antisismiche utilizzate per le strutture.

Molto note al traffico pendolare sono invece le due monumentali fornici dell'Anio Novus e dell'Acqua Marcia. Il primo arco è decisamente il più notevole in termini di dimensioni. Doveva essere a doppio ordine di arcate e le sue dimensioni sembrano combaciare con quelle descritte da Frontino (il quale riferisce di tipiche arcate con altezza massima 109 piedi, misura che qui pare ritrovarsi). Nel Medioevo vennero parzialmente chiuse per realizzarvi la Porta Adriana, di accesso alla città. Si nota ancora a questo scopo la sostruzione/torretta in alto.

Il secondo arco ha dimensioni più modeste, con il pilone in ghiere di conci di tufo. Qui possiamo notare un significativo espediente per cui in realtà uno dei piedritti ingloba lo speco dell'Anio Vetus. realizzato in blocchetti di tufo e copertura a due spioventi, che risalirebbe al III sec.

Roma era rifornita di acqua da un sistema di acquedotti che principalmente traevano origine proprio dalla Valle dell'Aniene. l'Anio Vetus, costruito nel 272 a.C., l'Aqua Marcia, 144 a.C., l'Aqua Claudia e l'Anio Novus, entrambi completati nel 52 d.C.
Per meglio comprendere i valori della loro importanza possiamo riferirci al sopra citato Sesto Giulio Frontino, celebre trattatista romano del De Aquaeductu Urbis Romae, che dimensiona il contributo degli acquedotti aniensi al fabbisogno della città per quasi il 75% del totale. Da considerare, inoltre, che la Roma imperiale, con i suoi 11 acquedotti principali, era rifornita di un quantitativo di acqua superiore alla Roma odierna : un dato soprendente, se consideriamo che le dimensioni della Roma antica erano ben minori della città attuale.
L'acronimo, così largamente in uso nel linguaggio moderno, “Spa” altro non è che la contrazione del latino “Salus per aquam” : per gli antichi romani, il concetto di salute ed igiene non era qualcosa strettamente privato, così come era radicato nella mentalità degli antichi greci : la salute era un aspetto fondamentale della vita quotidiana, un res publica, una ragion di stato. Una popolazione in salute, pulita, rifornita quotidianamente da milioni di litri di acqua, avrebbe difeso più solidamente lo Stato, sarebbe stata più produttiva, non avrebbe diffuso malattie derivanti da scarse igiene personale e così via. 

Gli acquedotti, così come le terme, le strade, il sistema fognario di smaltimento delle acque reflue, i circhi , i teatri e gli anfiteatri sono una chiara testimonianza di come le più imponenti, importati e maestose opere mai realizzate da Roma furono prevalentemente ad uso e consumo del popolo, opere pubbliche a tutti gli effetti, in netta contrapposizione con altre grandi opere appartenute a civiltà del passato come le piramidi egizie, ad esempio : monumenti grandiosi, quasi sovrannaturali ma sorti unicamente per esser goduti da un sola persona, dunque di minore utilità sociale rispetto a quanto sopra elencato di matrice romana. Basti pensare che, dell'acqua giungente nell'Urbe, il 44,2% era destinato ai servizi pubblici, il 38,6% ai privati e solamente il 17,2% era destinata all'Imperatore e le utenze che ricevevano concessione direttamente dal principe (sub nomine Caesaris).


Analizziamo più dettagliatamente cosa fossero davvero gli acquedotti e quale fosse la progettazione di queste magnifiche opere d'ingegneria idraulica.
Gli acquedotti hanno funzionato ininterrottamente per secoli, portando acqua, superando valli, traforato montagne e superato le depressioni delle campagne. Gli acquedotti, per lo più, venivano costruiti sotterranei poichè un percorso di tale tipo avrebbe fornito maggiori garanzie di affidabilità e sicurezza se paragonato ad un percorso interamente concepito ad arcuazione. Non è certamente un caso se, quando decadde l'Impero Romano d'Occidente, i Goti decisero di privare la città del suo approvvigionamento idrico, tagliando gli acquedotti nell'unico punto in cui transitavano in sopraelevazione, nell'odierna zona del Parco di Policarpo, presso Tor Fiscale. Presso i romani l'approvvigionaento di un bene di primaria necessità e importanza come l'acqua, il tutto grazie ad una specializzazione idraulica sviluppatasi nel tempo fino a divenire una tradizione, si trasformà in un sistema altamente tecnologico che, ancora al giorno d'oggi, desta stupore e profonda meraviglia. Nell'antica Roma fino all'età regia e all'alba dell'età repubblicana l'acqua veniva attinta da pozzi di acqua viva o presso fonti urbane come la Giuturna nel Foro o la Lupercale sul Palatino, per poi essere distribuita tramite condotti sotterranei. L'acqua del Tevere, nonostante venisse utilizzata, non era amata poichè spesso fangosa e torbida. Forse fu tale inconveniente di dover dipendere dalla disponibilità d'acqua present nel territorio che spinse i romani ad ingegniarsi nella costruzione di acquedotti alimentati da sorgenti permamenti : l'acqua venne così raccolta, persino da notevoli distanze, trasportata e distribuita nella città.


Fu proprio il connubio inscindibile tra monumentalità e pubblica utilità che rappresentò la caratteristica maggiormente degna di nota dell'architettura romana : le numerose testimonianze di autorevoli autori antichi come Dionigi di Alicarnasso, Strabone, Plinio il Vecchio, Sesto Giulio Frontino e Rutilizio Namaziano ci lasciano comprendere, ancor di più, quanta ammirazione dovessero ispirare gli acquedotti nell'antichità. Ovviamente, il primo passo nella costruzione di un acquedotto era la scelta delle sorgenti : esse dovevano trovarsi ad un altezza tale che permettesse l'arrivo dell'acqua a destinazione, calcolando la perdita di quota lungo il percorso, ad un livello che desse la possibilità di distribuzione agli utenti finali. Prioritaria era la salubrità e la purezza delle acque, ragion per cui venivano effettuate delle osservazioni pratiche ed esami obiettivi. Le sorgenti dovevano essere visibilmente limpide, inaccessibili all'inquinamento e prive di muschio e canne ; per accertarsi della bontà delle acque si esaminavano attentamente le condizioni di salute degli abitanti della zona, con particolare attenzione alla carnagione, alla struttura ossea e alla limpidezza degli occhi. Venivano inoltre accertate la capacità corrosiva dell'acquae, la sua viscosità, la sua effervescenza, il suo punto di ebollizione e la presenza di eventuali corpi estranei. Una volta scelte le sorgenti si procedeva con il convogliamento delle acque, con gli ingegneri intenti allo studio e alla progettazione del percorso che l'acquedotto avrebbe seguito. Successivamente, si provvedeva all'acquisizione del terreno per il passaggio della struttura : non esistendo potestà di esproprio, lo Stato adottava un atteggiamento piuttosto generoso nei riguardi dei venditori poichè la fascia di terreno acquistata era, in campagna, di 15 piedi (4,35 metri) per ogni lato della struttura e si riduceva a 5 piedi (1,45 metri) nel qual caso si trattasse di strutture sotterranee o che si trovavano all'interna della cerchia urbana. La nuova destinazione d'uso dell'area non faceva decadere dal diritto al pascolo al taglio dell'erba e alla raccolta della legna, mentre erano vietate le piantagioni e le costruzioni. E' importante premettere che negli acquedotti romani l'acqua non veniva sottoposta a pressione ma fluiva esclusivamente grazie alla pendenza dello speco, la mensura declivitatis (la quale era compresa in un valore oscillante tra lo 0,2 e il 2%, secondo i dettami di Vitruvio, Plinio ePalladio) tramite la quale veniva regolata anche la violenza delle acque. La pendenza era calcolata con l'ausilio del Chorobates, della Libra Aquaria e della Dioptra : solo il primo era ritenuto, da Vitruvio, realmente affidabile.



Pertanto, per mantenere un'inclinazione quanto più uniforme lungo tutto il percorso questo veniva prolungato per una distanza due o tre volte maggiore di quella rettilinea tra il capo e la foce. L'acquedotto iniziava con un serbatoio, il caput aquae, un bacino di raccolta creato con sbarramenti o dighe nel caso di sorgenti superficiali o di presa diretta sul fiume. L'acqua, lasciando le sorgenti o i bacini entrava nel canale vero e proprio dell'acquedotto : lo specus, rivus o canalis. Costruito in muratura o scavato direttamente nella roccia era poi rivestito intermanete con malta a stucco dura e grassa (maltha, bitumen cum oleo) con effetto impermeabilizzante. La sezione dello spec era solitamente rettangolarre fino all'impostaa, la copertura infine poteva essere piana, a cappuccina oppure a volta : l'altezza variava di solito tra 1,30 e 2 metri, la larghezza da 0,50 a 1,20 metri. Come già detto in precedenza, l'acquedotto era solitamente sotterraneo (rivus subterraneus) : ciò venne considerato prioritario specialmente con i primi acquedotti, costruiti quando Roma non poteva garantirisi il completo controllo dei territorio circostanti e un acquedotto fuori terra avrebbe potuto essere facilmente interrotto e successivamente utilizzato da potenziali assedianti per penetrare nel cuore dell'Urbe. Il cunicolo scavato nella roccia era coperto con della malta idraulica, il cocciopesto o opus signinum, un rivestimento liscio impermeabilizzante composto di anfore o mattoni sbriciolati uniti a malta cementizia. Una serie di pozzi detti puteus, lumen o spiramen, posti in corrispondenza delle sezioni della galleria, venivano previsti per facilitare la costruzione dell'opera, la ventilazione, le successive ispezioni e la pulizia. Un altro elemento indicatore del percorso degli aquedotti erano i cippi, blocchi di tufo o travertino corredati da incisioni recanti informazioni : segnavano infatti la posizione dell'acquedotto e la distanza lungo il percorso. Nei periodi successivi sostegni a muro pieno o ad arcate, le arcuationes, vennero utilizzati per mantenere alto il canale sulle depressioni del suolo : di qui i tipici acquedotti nel loro aspetto monumentale, i quali potevano salire anche oltre i 40 metri. I canali sopra terra erano costruiti con lastre di pietra, collegate con malta colata nelle giunture o in calcestruzzo con paramento a blocchi o in muratura, nei casi più antichi. In età imperiale si usarono opus reticolatu e opus latericium. Una copertura con lastre garantiva la protezione dalla pioggia e preservava le acque dal calore del sole.



Lungo il percorso erano disposti, secondo il grado di purezza naturale dell'acqua, uno o più bacini di depurazione, le piscine limariae, nei quali, per mezzo di un'improvvisa diminuzione della velocità dell'acqua, precipitavano tutte le sostanze eterogenee e le impurità che si raccoglievano sul fondo, da dove erano eliminate attraverso l'utilizzo di appositi canali di scarico. Alcuni di questi bacini presentano delle disposizioni particolari e più articolate, come quello dell'Acqua Vergine sul Pincio, a quattro vani a coppie sovrapposte. Al termine degli acquedotti si trovavano i grandi serbatoio di distribuzione, i castella, imponenti costruzioni a torre solitamente molto decorate. Il castellum aquae principale era generalmente posizionato all'interno delle mura cittadine. I serbatoi secondari ricevevano l'acqua dal principale ed erano presenti in largo numero.
I castella pubblica erano divisi in sei classi e fornivano acqua per i seguenti usi : 1)Gli accampamenti militari dei pretoriani (castra) – 2) I laghi e le fontane (lacus et salientes) – 3) Il circo, le naumachi e gli anfiteatri (munera) – 4) Le terme, le tintorie e le concerie (opera publica)- 5) Distribuzioni irregolari richieste dall'Impeatore (nomine Caesaris)-6) Concessioni straordinarie a privati per volontà dell'Imperatore (beneficia Caesaris).
I castella privata approvvigionavano le abitazioni private e le spese per la loro costruzione erano sostenute dai diretti interessati ma la costruzione rimaneva di pubblica proprietà. La distribuzione dell'acqua all'interno della città avveniva attraverso l'utilizzo di tubazioni di prelievo bronzee lunghe 12 dita circa, dette calices, dal diametro rigorosamente calibrato : per evitare frodi o contraffazioni, ogni calix era addirittura marchiato. Dalle tubazioni l'acqua passava in condotti plumbei o fittili, calibrati di base sulla fistula quinaria, dal diametro di 2,2 cm e con una portata di 0,48 litri al secondo. L'approvvigionaento era quindi convertito da fornitura gravitazionale nei condotti a fornitura a pressione assai più bassa nei tubi
Le rovine degli acquedotti furono poi osservate e citate da molti studiosi nel corso dei secoli, ma in epoca più recente dobbiamo a Thomas Ashby (1874 – 1931) uno dei migliori di lavori di ricerca e di studio sull'argomento, magistralmente riassunto nel suo The Aqueducts of Ancient Rome, edito in Italia nel 1935. L'opera si compone di numerose tavole illustrative e in particolare illustra i rilievi di alcuni dei resti ancora visibili, come quelli rinvenuti durante i lavori di riconduzione dell'acqua Marcia-Pia.

Ma è possibile dunque tracciare le caratteristiche principali di un Paesaggio degli Acquedotti?.

Fondamentale è allora individuare e distinguere le componenti antropiche e quelle naturali. Possiamo notare un'orografia pianeggiante; i campi arati,coltivati,o lasciati a prato vengono a dispiegarsi come diversi tessuti, aventi diverse trame, accostati fra di loro. A definire questi campi una rete di fossi, evidenziati dalla vegetazione ripariale che cresce folta presso questi piccoli corsi d'acqua. Sullo sfondo in lontananza abbiamo la cornice dei Monti Prenestini, dei Colli di Monitola e di Colle S. Angelo, i monti Pagliaro Ramone (a. 948 m), ancora i colli Zappacenere (975 m) e Tronetta (1050 m) che corrono verso la catena prenestina ove spicca la vetta di Guadagnolo (1218 m).


E' proprio qui che si dispiega uno dei fondamentali valori di questi monumenti; i resti degli Arciinquadrano e delimitano delle viste, creano delle quinte che traguardano lo spazio scenico, e aiutano a cogliere l'unità d'insieme fondamentale di un preciso paesaggio. Tutto questo può accadere quasi senza soluzione di continuità, se si escludono i piccoli nuclei rurali e le infrastrutture necessarie all'urbanizzazione.


Elemento importante e la serialità e il ritmo che i lunghi tracciati degli acquedotti posseggono. Si tratta di strutture che hanno una imponenza ma sono contemporaneamente permeabili allo sguardo, che vanno a fondersi perfettamente con gli altri elementi del paesaggio naturale. In questo aiutano il disegno semplice e il passo sempre costante, l'altezza non particolarmente elevata, con una forma che essenzialmente si riduce a struttura, al necessario statico per assolvere la funzione principale di trasporto dell'acqua.


E' utile chiedersi se (e quanto) questa armonia architettonica col paesaggio naturale sia stata voluta e attentamente studiata, o quanto sia frutto di un logica molto poco speculativa del costruire e progettare le infrastrutture; con Utilitas e Venustas, cioè utilità ed estetica secondo il significato vitruviano, che si incontrano in un sapiente accordo; un fondamento teorico irrinunciabile dell'Architettura romana.


Annotava Goethe nel suo diario, l'11 settembre del 1786 : “Gli avanzi dell'imponente acquedotto impongono veramente rispetto. Quale grande e nobile scopo è quello di abbeverare un popolo mediamente un monumento così grandioso.”. A distanza di più di due secoli dalle parole del grande poeta e scrittore tedesco, non possiamo fare a meno di riconoscere una profonda veridicità nelle sue semplici, eppur lapidarie, parole che con tanta chiarezza hanno ben descritto il senso di profondo rispetto e ammirazione che si prova di fronte alle rovine degli acquedotti romani, immoti e silenti testimoni di una grandezza passata che, probabilmente, mai più benedirà le italiche terre.

Fonti bibliografiche:


-A. DERETTA, S. URAS, "Progetto del Museo e del Parco Archeologico dell’Acqua Claudia", “Architettura e Città” (5/2010).
-G. STRAPPA, "Gli acquedotti e Ashby.Uno sguardo sulle rovine", “Corriere della Sera”, (12 ottobre 2007).
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-T. ASHBY, "The aqueducts of ancient Rome", London 1908.
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-A. MORESCHINI, "Le chiese di Castel Madama: monografie storiche", 2000.
-D.CEIRANI, "Regina Aquarum. Roma antica e il governo dell'acqua",Il Levante, 2016
-S.G.FRONTINO, "De aquaeductu urbis Romae".
-S.BALL PLATNER,"A Topographical dictionary of ancient Rome",Londra,Oxford University press,1929
-J.W.GOETHE,"Italienische Reise" ,”Viaggio in Italia”,1816-1817




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