Benvenuti nel sito ufficiale dell'A.P.S. ArcheoTibur di Tivoli (RM).NUOVO ANNALES VOL. III ANNO IV DISPONIBILE

Feronia

 A cura del dott. Stefano Del Priore



Il Dies Natalis di Feronia, Dea sabino-italica della Fertilità e delle Selve cadeva, secondo la sacralità calendariale romana, due giorni dopo Idi di Novembre, ovverosia il 15: ciò ci è noto grazie a un'iscrizione riportata nel CIL 1, 335. A onor del vero, ignoriamo quando il suo culto venne introdotto nell'Urbe, seppur possiamo supporre che ciò dovette avvenire in tempi moderatamente remoti, e si collocò nel Campus Martius. La Dea venne scarsamente menzionata nei libri degli storici capitolini: degno di nota l'episodio risalente all'anno 207 antecedente l'era cristiana in cui la città, ricolma di angoscia a causa delle cruente battaglie in seno alla seconda guerra punica, pregava incessantemente tutte le manifestazioni di Giunone e alcune schiave furono inviate a raccogliere oboli utili al presentare un'offerta a Feronia. La relazione tra la Dea e le libertae è attestata dall'unica dedica ritrovata in Roma e a lei consacrata, proveniente da un'ancilla (CIL VI, 30702). Al di fuori dell'Urbe, Feronia godette di una certa popolarità e ciò non deve certo destar stupore: come abbiamo precedentemente ricordato, ella soprintendeva ai boschi, alle messi e alla fertilità, ambiti divini che la collacano al di fuori dell'abitato lasciando così intatta al sua dimensione naturale. Sappiamo di luoghi a lei dedicati ad Amiternum, al confine tra Sabini e Vestini, a Pisarum nell'attuale Umbria, a Praeneste - Palestrina, tra le genti dei Picenti e in Trebula Mutuesca in terra sabina, mentre gli eruditi del passato narrano di templi a lei dedicati a Tarracina-Ταρρακινή -Terracina nel Latium meridionale e, soprattutto, nei pressi dell'Ager Capenas nell'odierna Capena, ai piedi del sacro Monte Soratte, in ciò che rappresentava un trivio di connessione tra Etruschi, Sabini e Latini. In generale, come accennato poc'anzi, tutti i luoghi di culto erano posizionati al di fuori del Pomerium, moderatamente distanti dall'abitato: l'antica Capena e il Lucus Feroniae, l'ancestrale bosco sacro a lei dedicato, sorgevano lungo il corso d'acqua del Capenas, il fiume eponimo del popolo dei Capenati identificabile oggigiorno con il fosso Gramiccia. La città s'ergeva su di una collina, distante circa 8 km dalla confluenza del sopracitato torrente con il fiume Tevere, posta grossomodo a 5 km in direzione N/O dalla città attuale, e il santuario si collocava a 1km dalla convergenza: da ciò si può comprendere facilmente come sussistesse una certa distanza tra il santuario e il centro abitato; nella Campania Felix, il Fanum Feroniae si trovava alla terza pietra miliare partendo da Tarracina – Ταρρακινή - Terracina. Lo splendido sito archeologico, misteriosamente poco noto e ancor meno coinvolto nei grandi flussi turistici, si trova lungo la via Tiberina: possiamo datarne con sufficiente certezza la facies abitativa perlomeno dal III secolo a.C., tradizionalmente ritenuta colonia Falisca, e nel 211 a.C. il ricco santuario venne saccheggiato per la prima volta nella sua storia per mano di Annibale, mentre in età tardo - repubblicana divenne colonia romana. Durante il principato di Ottaviano Augusto divenne una colonia indipendente nella quale s'insediarono i veterani di guerra con più di 20 anni di servizio e venne ribattezzata Colonia Iulia Felix Lucus Feroniae rimanendo un centro prevalentmente agricolo sino al secolo IV quando, oramai fuori da ogni centro gravitazionale di potere, venne abbandonata. Gli attuali scavi archeologici hanno riportato alla luce il Foro Romano, al cui centro sembra si stagliasse una statua rappresentante l'Imperatore, di pianta rettangolare sul quale si affaccia una terrazza sacra impreziosita dall'Aedes Genii Coloniae risalente all'età augustea, un Augusteum del tardo periodo tiberiano e una culina connessa con gli Augustales, prospicienti su di un cortile colonnato; sul lato occidentale del Foro, sempre delimitato da un altro cortile peristilio, si trovano delle tabernae (in alcune è ancora possibile ammirare dei pregevoli esempi di opus tessellatum, dove in altre il tipo di attività svolta all'interno era indicata da una sorta d'ideogramma posto all'ingresso della stessa). Il sito comprende anche un Anfiteatro della capienza di circa 5000 unità, due terme dotate di calidarium, frigidarium e tepidarium, un'Area Sacra, la celebre Villa dei Volusii1 e una schola. In età oramai pienamente romanizzata sono a noi noti ben tre collegi sacerdotali associabili alla Dea, ovverosia le Mulieres Feronenses, congrega di donne fedeli alla Dea ma al di fuori del culto ufficiale e presenti anche a Roma, gli Iuvenes Lugo Feronense dal carattere ginnico – marziale e composta da giovani e i Seviri Augustales addetti al culto augusteo.






Testa marmorea di Feronia rinvenuta a Punta di Leano, Terracina, attualmente custodita presso il "Museo della città di Terracina", ultimo quarto del II secolo a.C.





La popolarità della Dea fu grande soprattutto nell'Italia centrale, testimoniata da molte epigrafi dedicatorie ritrovate, ad esempio, nelle località di San Severino Marche in provincia di Macerata, ove un teatro recava il suo nome in ricordo di un luogo di culto omonimo situato nelle vicinanze, e nella frazione di Monticchio dell'Aquila, dove ancora si può ammirare una statua di Feronia recante delle invocazioni a lei dedicate. La costumanza arcaica di dedicarle luoghi di culto boschivi dovette proseguire anche successivamente poichè, se non possiamo affermalo con certezza per quanto concerne i santuari a noi noti solo in base a testimonianze epigrafiche, i santuari di Capena e quello di Terracina dovettero sorgere tra le selve ombrose; secondo l'iscrizione romana, il tempio di Feronia sul Campo Marzio doveva trovarsi in un lucus. Per quanto concerne Capena, in un'iscrizione risalente al terzo secolo antecedente l'era cristiana, si crede di poter restituire la parola tesco che, in lingua sabina, era un vocabolo di ambito religioso stante a indicare un luogo consacrato dal carattere boschivo, selvaggio e agreste. Gli scavi effettuati presso il lucus di Capena hanno restituito numerosissi oggetti di culto di tipo votivo, chiara testimonianza che a Feronia erano attribuiti, come molte altre Dee sue pari, parimenti poteri sanatori e guaritivi poichè, tra gli ex voto suscepto, sono tornati alla luce figurazioni di occhi, mani, piedi, teste, infanti e animali da lavoro: non è da sottovalutare, in questo caso specifico, la vicinanza del santuario con un fiume esplicitamente dichiarato sacro; il binomio costituito dall'ipostasi di una Dea Madre e un corso d'acqua sottintende sempre, o quasi, a una sfera divina sfociante nella guarigione. Il ruolo di Feronia quale responsabile della fecondità nei campi, invece, è superbamente dimostrato nella ricorrenza delle primitiaee frugam donaque alia, che i Capenati recavano al sacro tempio nel lucus e, allo stesso modo, ricordando che la celebra fiera di Capena attirava grandi masse di artigiani, commercianti e agricoltori da tutto l'Italia centrale. L'essenza stessa della Dea reclamava a gran voce quest'esigenza di risiedere in luoghi che fossero distanti dalle città: Vigilio, nell'Eneide (VII, 800) narra che quando il bosco sacro venne divorato dalle fiamme e gli abitanti volettero mettere in salvo le statue, muovendole altrove, la selva d'improvviso tornò verde e rigogliosa; Feronia dunque preferì manifestarsi attraverso un evento miracoloso piuttosto che accettare d'esser traslata altrove. La Dea esercitava, però, anche una certa influenza sulla liberazione degli schiavi, comunicataci dalla tradizione letteraria dato che, secondo Servio, in Terracina la Dea Feronia era appellata come Libertorum Dea e nel suo tempio gli schiavi, con il capo rasato, ricevevano il pileum: era presente, forse nel nàos, uno scranno di pietra sul quale era vergata l'iscrizione "Bene meriti servi sedant surgant liberi", traducibile con "Sedetevi da schiavi di buoni costumi, alzatevi da uomini liberi". Infine, per quanto Feronia fosse una divinità generalmente benevola verso il genere umano, localmente venne associata a miti e leggende sinistri2e violenti infatti a Trebula Mutuesca, l'odierno Monteleone Sabino3, l'unica altra divinità nota dalle testimonianze archeologiche è un Marte dagli aspetti spiccatamente bellici: a testimonianza di ciò, possiamo analizzare la teriomorfia paredra della Dea con l'enigmatico picus Feroniae, strettamente simile al picus Martius, uccello che secondo Plinio il Vecchio aveva l'usanza di costruire il suo nido tra i folti recessi delle Peonie; la presenza di questo volatile, nel quale bisogna riconoscere un'ipostasi di Feronia stessa, colloca la divinità anche nell'ambito mantico delle profezie e dell'ornitomanzia. Presso il Monte Soratte, invece, ella era così intimamente connessa al selvaggio Soranus Pater che Strabone4 le assegnò il delirante rituale dei fedeli del Dio, gli Hirpi Sorani (ovverosia, i "Lupi Sorani", dall'antico vocabolo osco hirpus significante, per l'appunto, "lupo", animale sacro a Marte e all'ellenico Ἄρης - Ares), i quali camminavano a piedi scalzi sulle braci rovente senza che alcun danno fosse loro arrecato; nella vicina Praeneste - Palestrina, invece, Feronia era ritenuta essere la divina genitrice del mostruoso Erilo, leggendario Rex della città, il quale era stato dotato, al momento della nascita, di triplici spoglie e triplice vita: quando l'eroe Evandro, figlio di Hermes e della ninfa Carmenta, si scontrò con lui dovette ucciderlo per ben tre volte. Analizzare con precisione tale da inquadrare Feronia in un dato ambito divino non è impresa semplice, a causa dell'estrema arcaicità delle divinità in questione, così come antichissimi devono essere i rituali a lei associati.




Denario d'argento risalente al 19 a.C. coniato dal Triumviro Monetale Publio Petronio Turpiliano; al dritto busto drappeggiato e coronato della Dea Feronia, al rovescio guerriero Partico inginocchiato nell'atto della resa dei Signa Legionis, la cosiddetta Sign[isRece[ptis]. Queste coniazioni monetarie autocelebrative furono commissionate da Ottaviano Augusto per magnificare il recupero dei Signa Legionis, restituiti nel 20 a.C. dal Re dei Parti Phraates IV, perduti nelle disastrose Campagne Partiche condotte da Crasso nel 53 e Marco Antonio nel 33 – 37 a.C.





Ciò che immediatamente risulta preponderante, tra i suoi aspetti caratterizzanti, è il fatto che i suoi luoghi di culto sorgessero distanti dai centri abitati, in zone persino selvagge, il rifiuto di abbandonare queste sedi primordiali, seppur temporaneamente, e l'intima connessione con alcuni rituali arcaici e connotati da peculiarità teriomorfe, bestiali. Seppur differentemente da Fauno (persino nella sua successiva incarnazione di Evandro, colui il quale sconfisse Erilo il Triplice, figlio di Feronia stessa), la Dea possiede l'intrinseca qualità della localizzazione, del Genius Loci: ella tutela "la natura", le sue forze selvagge e potenti, in modo tale però che possano risultare benevole nei riguardi del genere umano, utili alla sua alimentazione, alla prosperità e salute, disponendo di una dimensione agreste e agricola al tempo stesso. Di notevole interesse è il profondo parallelismo che intercorre tra il rituale degli Hirpi Sorani e il collegio sacerdotale, anch'esso antichissimo, dei Luperci nella Roma arcaica: in ambedue le circostanze Feronia risulta coinvolta, seppur a livelli differenti: nel primo caso essa, strettamente associata al Pater Soranus, diviene la destinataria del frenetico rituale della pirobazìa5 messo in atto dagli Hirpi Sorani, i fedeli seguaci teriomorfi della coppia divina Soranus Pater - Feronia; nel secondo sappiamo che il rituale purificatorio e apotropaico inscenato dai Luperci il 15 di febbraio derivava la sua origine dalla figura di Fauno Luperco, il quale era la trasmutazione teriodivina dell'arcade Evandro (la tradizione vuole che tale rito dei Lupercalia fosse stato introdotto nelle italiche terre da Evandro in epoche remote antecedenti la guerra di Ilio assieme all'alfabeto, come abbiamo già avuto modo di approfondire, quando approdò sulle nostre coste assieme al fiore della gioventù argolide tra i quali spiccava il comandante della sua flotta, Catillo figlio del celebre Eroe - Vate Anfiarao, padre dei tre fratelli Catillo Iuniore, Corax e Tiburno, gli ecisti della città di Tibur), che uccise Erilo il Triplice, figlio di Feronia. Possiamo quindi riconoscere un sottile file che lega la Dea Feronia ad ambiti antichissimi, ancestrali, selvaggi e di tipo similare allo sciamanico, con uomini che assumono sembianze bestiali, della bestia stessa da cui traevano forza e, al contempo, dovevano proteggersi perchè ritenuta depositaria di energie pericolose per la sopravvivenza dei nuclei umani, prevalentemente pastorali (in questo caso il lupo, animale notturno, ctonio e predatore, era visto come l'incarnazione del potere ostile e ferale del Creato): nel vocabolo latino Ferus, d'altronde, non son forse compresi i significati che meglio descrivono tale aspetto, quale selvaggio, ferale, feroce, impetuoso, inaccessibile, indomito? Per quanto concerne il suo esser patrona degli schiavi liberati, non si può affermare che Feronia fosse stricto sensu una divinità specifica preposta alla liberazione degli schiavi, poichè in Roma vi era una lunga serie di procedure apposite: ella sovrintendeva anche a tale aspetto poiché, probabilmente, la liberazione di uno schiavo e la sua conseguente trasformazione in uomo libero sottintendeva a un mutamento, un cambiamento di condizione sociale che traslava l'uomo da uno status selvaggio a uno civile. In ultima analisi, soffermandoci sul suo teonimo, possiamo invece inquadrarlo con una relativa semplicità: alcune ipotesi la vedono associata all'etrusca Cavatha, nonostante la poca solidità di tale ipotesi. Ella, piuttosto, appartiene a un gruppo abbastanza folto di divinità italiche, sabine in particolar modo, aventi la derivazione del teonimo in -òna, -ònia, quindi un sostantivo atto a designare un pericolo o uno stato di travaglio, in questo caso rappresentanto dall'ignoto delle forze natuali, nel quale la divinità soccorre l'uomo e lo aiuta a trarne vantaggio (confrontare con la Dea che soccorreva gli uomini nei giorni angusti e perigliosi del solstizio invernale, l'antichissima Angeronia). In ambito locale, seppur nessuna tradizione sia giunta a noi al giorno d'oggi, risulta assai complicato non ipotizzare una probabile venerazione di Feronia in territorio tiburtino, ricadente nell'area d'influenza sabina, fittamente coperto di selve, boschi, campi agricoli e luoghi selvaggi, per di più legato indirettamente al mito della Dea grazie alle figure di Evandro, Erilo e al territorio di Praeneste - Palestrina: possiamo quindi supporre che, con il passare dei secoli, il suo ambito d'influenza sia confluito in nelle innumerevoli manifestazioni di Giunone ed Hera che popolavano la sfera religiosa del tempo. Ella, dunque, era certamente Signora e Padrona delle inarrestabili forze naturali, delle profonde selve con i suoi abitanti e dei recessi oscuri dei boschi ma, di rimando, utilizzava tali poteri per far si che essi potessero docilmente piegarsi a vantaggio del genere umano e della sua prosperità, purché i dettami della Dea fossero rispettati e tutelati.







Lucus Feroniae, veduta settentrionale del Forum cittadino - Ph credit Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International License;











Fonti Bibliografiche:


- Publio Virgilio Marone, Eneide;

- Plinio il Vecchio, Naturalis Historia;

- Corpus Inscriptionum Latinarum, 1, 335; VI, 30702;

- Strabone, Γεωγραφικά – Geografia e Storia Universale in Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio;

- Servio Mario Onorato, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros;

- George Dumézil

"La Religione Romana Arcaica", BUR Biblioteca Universale Rizzoli

"Feste Romane", edizioni Il Melangolo, Genova, 1989:

- Mircea Eliade, Trattato di Storia delle Religioni, Universale Scientifica Boringhieri, 1976;

- Henri - Charles Puech “Storia delle Religioni – Il Mondo Classsico”, Universale Laterza, 1978;

- Pietro Tacchi Venturi, Storia delle Religioni, UTET, 1954;

- Dionigi d'Alicarnasso, Ῥωμαικὴ ἀρχαιολογία – Antichità Romane;

- Massimiliano Di Fazio, Feronia. Spazi e tempi di una dea dell'Italia centrale antica, Quasar, Roma 2013;

- Filippo Coarelli, I santuari, il fiume, gli empori, vol.13, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, 2008;


Note:


1Ubicata a circa 200 metri dall'area archeologica del Lucus Feroniae, era un complesso residenziale dotato di cisterna a quattro navate e ritratto marmoreo di Menandro; nel corso degli scavi gli archeologi hanno individuato gli ergastula dove trascorrevano la loro esistenza gli schiavi. Essendo una delle rarissime ville romane ove tali luoghi son stati individuati con certezza, il ritrovamento è da considerarsi estremamente prezioso.

2 Localmente anche conosciuta con il teonimo di Ferocia, a volerne ribadire la natura ferina, selvaggia, di Ἡ Πότνια Θηρῶν – Potnia Theròn, "Signora delle Bestie" al pari di Cibele o l'Artemide Efesina.

3In tale località è stata rinvenuta una favissa estremamente ricca di ex voto suscepto anatomici: dalla forma circolare, al suo interno erano contenuti numerosi frammenti di statuine fittili dalla forma di mani, piedi, teste votive, organi, e figurine di animali, il tutto databile tra il IV e il III secolo a.C.

4 "[...] Ai piedi del monte Soratte è la città di Feronia, c’ha il nome a comune con una divinità di quel luogo, grandemente onorata dagli abitanti circonvicini, e della quale avvi colà un tempio dove le suol esser renduto un mirabile culto. Perocchè alcuni invasati da quella Dea attraversano a piedi nudi un ampio letto di cenere calda e di ardenti carboni, senza rimanerne offesi; e vi concorre gran numero d’uomini, così per la fiera che vi si celebra ogni anno, come per lo spettacolo or ora detto." (Strabone, Γεωγραφικά – Geografia, V, II, IX)

5Vedi spiegazione nota precedente.