Benvenuti nel sito ufficiale dell'A.P.S. ArcheoTibur di Tivoli (RM).NUOVO ANNALES VOL. III ANNO IV DISPONIBILE

Aegyptiaca. Antichità egizie ed egittizzati nel territorio Tiburtino

 A cura della dott. ssa Ottavia Domenici



PARS PRIMA - LA NASCITA DELL'EGITTOLOGIA


Tra le civiltà antiche fiorite nel corso dei secoli entro il bacino del Mediterraneo la civiltà egizia è senza dubbio quella che più ci affascina. Molto del fascino dell’Egitto è dato ancora oggi dai suoi misteri, dalla costruzione delle piramidi al significato della sfinge, dal ricorso alla numerologia a tutta una serie di pratiche legate alle scienze astronomiche ed astrologiche. Inoltre oggi è forse l’unica a poter essere documentata su due suoli, l’Egitto da un lato e l’Italia dall’altro, in quanto a partire dall’epoca preromana iniziarono ad affluire nella nostra Penisola numerosi oggetti egizi generalmente utilizzati come amuleti. L’afflusso di tali manufatti portò con sé anche la diffusione di culti dedicati a divinità egizie, primo fra tutti quello della dea Iside. A Roma vennero edificati numerosi isei, ovvero templi dedicati al culto della dea a cui aderivano non solo schiavi e liberti ma anche commercianti, artigiani e membri dell’aristocrazia. Il fascino della cultura e dei motivi faraonici affonda le sue radici in Occidente già in epoca ellenistica e romana; i primi contatti fra i due Paesi risalgono al periodo medio e tardo-repubblicano quando, grazie a una fitta rete di scambi commerciali, incominciarono ad arrivare nella penisola italica non solo temi e motivi decorativi ma anche e soprattutto artisti ed artigiani i quali contribuirono ad arricchire l’arte romana di una componente alessandrina1. Uno degli esempi più interessanti e significativi di questo periodo è il mosaico con scena nilotica proveniente dall’ambiente absidato di un edificio che si affacciava sull’antica piazza del foro di Praeneste (attuale Palestrina), conservato oggi presso il civico Museo Archeologico Nazionale, e datato alla fine del II sec. a.C (figura 1). L’opera, di chiare maestranze alessandrine, rappresenta una grande carta geografica dell’Egitto in veduta prospettica in cui è raffigurato il Nilo lungo tutto il suo corso, dal territorio selvaggio della Nubia all’Egitto.



Figura 1- Mosaico con scena nilotica di Praeneste, II sec. a. C. - Museo Archeologico Nazionale di Palestrina



L’Egitto con cui si confronta Roma non è più quello degli antichi faraoni bensì quello del periodo ellenistico posto sotto la guida della potente dinastia dei Tolomei i quale eleggono la città di Alessandria, fondata da Alessandro il Grande, quale nuovo centro politico, economico e culturale del paese. La battaglia di Azio del 31 a.C. combattuta fra Ottaviano e Marco Antonio segna l’entrata definitiva dell’Egitto nella sfera di controllo e di influenze di Roma e i contatti commerciali e culturali tra le due potenze prendono a intensificarsi. Per la nuova arte decorativa romana è possibile così parlare della nascita di una vera e propria moda esotica facilmente rintracciabile nella pittura e nell’opera musiva. Abbondano vedute di genere sullo sfondo di paesaggi nilotici, scene di vita quotidiana, piante e animali, soprattutto coccodrilli, proprie del paesaggio egiziano. Lo stesso imperatore Adriano, qualche secolo più tardi, non resterà immune da questo fascino esotico per la progettazione dell’impianto decorativo della sua villa presso l’antica Tibur. I primi interessi da parte della comunità «moderna» verso l’antico Egitto presero le mosse da due filoni principali. Un primo volto a rintracciare tutte quelle testimonianze atte a comprovare la veridicità dei fatti narrati nell’Antico Testamento; l’Egitto da sempre fa da sfondo agli episodi della «Sacra Famiglia», basti pensare alla fuga di Giuseppe, Maria e del piccolo Gesù per scampare alla strage perpetrata da Erode il Grande o alla figura di Mosè che libera il popolo di Israele dalla schiavitù per condurlo nella «Terra promessa». Un secondo filone invece inteso quale esplorazione di un mondo nuovo, sconosciuto e per questo degno di essere indagato, seguendo quel clima di fermento scientifico proprio della filosofia illuministica. Le prime notizie di uno studio sistematico delle vestigia egiziane risalgono al secolo XVI, in seguito al rinvenimento a Roma degli obelischi e di molteplici sculture egizie di epoca romana. La scoperta di tali testimonianze e ancor prima, nel secolo XV, la circolazione in Italia2 di una piccola guida alla lettura dei geroglifici3 portarono all’affermarsi di una fiorente stagione archeologica estesa su tutto il territorio nazionale e in particolar modo nel Lazio, sotto l’egida dei papi (basti pensare agli scavi condotti da papa Alessandro VI Borgia a Villa Adriana già sul finire del ‘400) e dei ricchi collezionisti. Il restauro degli obelischi fatto eseguire dall'architetto Domenico Fontana nel 1586 per volere di papa Sisto V finì col rinnovare l’interesse per la scrittura geroglifica. Fondamentale in questo campo fu l’attività del padre gesuita Athanasius Kircher (1602-1680) considerato il primo studioso della scrittura geroglifica nonché il primo grande collezionista di materiale archeologico egizio. Kircher ebbe per primo l’intuizione che i caratteri della scrittura egizia racchiudessero un significato simbolico, rivelato cioè direttamente dal Dio, allontanandosi però dalla sfera più propriamente semantica della lingua. Sulla scia di nuove e continue scoperte e di un campo di studi oramai avviato, la passione per la civiltà egizia continuò a diffondersi sempre di più investendo tutta l’Europa. È nel ‘600 che si diffuse su vasta scala quella tendenza, già cinquecentesca, propria dei ricchi signori di raccogliere o meglio «collezionare» i loro tesori all’interno della cosiddetta Wunderkammer, o “camera delle meraviglie”, prototipo del più moderno concetto di museo. Nel campo dell’arte ad esempio era frequente il ricorso a piramidi per le tombe di famiglia ispirate alla più famosa piramide romana di Caio Cestio di epoca augustea, (figura 2) fino ad arrivare all’arredo di locali, giardini e padiglioni ispirati a temi chiaramente egittizzanti come il famoso “Caffe degli Inglesi” a Roma decorato da Giovan Battista Piranesi. (figura 3) 


Figura 2 - Veduta della piramide di Caio Cestio, G. Battista Piranesi



Figura 3 - Caffè degli Inglesi, G. Battista Piranesi



La moda egiziana non influenzò però solo l’arte figurativa ma anche la letteratura e la musica, basti pensare al Flauto magico di W. Amadeus Mozart. Per tutto il corso del Settecento l’interesse verso l’Egitto venne alimentato da un sempre più diffuso gusto collezionistico promosso da scavi, spesso clandestini, o da attività di viaggiatori e diplomatici italiani all’estero. Sul finire del ‘700 un notevole impulso giunse dalla spedizione napoleonica in Egitto, tra il 1798 e il 1800, che portò alla scoperta e al rinvenimento della celeberrima stele di Rosetta presso l’attuale città di al-Rashid, sul delta del Nilo e datata al 196 a.C. Oggi è conservata presso il British Museum di Londra. (Figura 4)


Foto 4_Stele di Rosetta, The British Museum, Londra



È alla prima metà dell’Ottocento dunque che è possibile ascrivere la nascita dell’Egittologia, intesa quale disciplina della storia antica che si occupa dello studio dell’antico Egitto sotto tutti i punti di vista. Una disciplina che nasce con il lavoro di Jean François Champollion a cui va il merito di aver decifrato per primo i geroglifici egizi, nel 1822, in seguito al ritrovamento della sopra citata stele di Rosetta. Differentemente dall’opera del gesuita, l’egittologo francese individuò la corretta chiave di lettura dei geroglifici secondo cui ad ogni segno corrispondeva una parola. All’impresa di Napoleone Bonaparte farà seguito in Egitto una spedizione franco-toscana (1828-1829) voluta dal granduca Leopoldo II e dal re di Francia Carlo X. A capo di essa si trovavano il francese J. F. Champollion, già all’apice della sua carriera, e il pisano Ippolito Rosellini che a soli ventiquattro anni era già professore di lingue orientali all’Università di Pisa. Come insegna la storia, è già nel corso del Rinascimento4 che è possibile tuttavia rintracciare i segni di un precoce fascino verso la terra dei faraoni che porterà poi nel pieno Settecento all’esplosione di una vera e propria moda egizia, l’Egittomania, e alla formazione nella prima metà dell’Ottocento delle prime grandi raccolte «museali» in Europa e soprattutto in Italia. Basti pensare a tal riguardo al Museo Egizio di Torino che nel 1824 mise in mostra le raccolte di antichità volute dal re Carlo Felice per mano del console di Francia Berardino Drovetti; negli stessi anni a Firenze si andava allestendo il «Museo Nizzoli» con l’appendice delle collezioni dei Granduchi di Toscana5. Poi ancora, solo per citare le più grandi ma non per questo le uniche in Italia, le raccolte di Milano, Bologna, Napoli e infine Roma, col Museo Gregoriano Egizio che aprì le porte al pubblico nel 1839 per volere di papa Gregorio XVI6. In questo clima generale di fermento culturale ben si inserisce la città di Tivoli, l’antica Tibur. Nel corso del 1500 papa Adriano VI (1522-23) dichiarò la città immediatamente soggetta alla Santa Sede, togliendola al Senato romano cui si era sottomessa con il trattato del 1259. La città del resto era andata progressivamente decadendo nella seconda metà del Quattrocento e il suo definitivo passaggio sotto il controllo del governo pontificio venne sancito dalla costruzione7 della Rocca Pia, voluta da papa Pio II nel 1461. Se però la creazione del governatorato finirà col sopprimere gli ultimi residui del municipalismo tiburtino, avrà invece effetti benefici sulla sua vita artistica e culturale. Nonostante infatti tale situazione di sudditanza, Tivoli poté godere di rapporti sempre più stretti e diretti con la Capitale: è in questo periodo che iniziarono ad affluire in città artisti, letterati, eruditi, desiderosi di esplorare le ricchezze e le bellezze della campagna romana. Tale afflusso si fece particolarmente intenso quando il cardinale Ippolito II d’Este venne nominato governatore di Tivoli da papa Giulio III (1550-55), con bolla del 22 febbraio 1550. L’allora costituenda fabbrica della sua residenza tiburtina richiamò in città un cospicuo numero di artisti ed architetti impegnati nel cantiere della villa. Ciò sancisce l’inizio di una nuova stagione culturale per la città che sarà impegnata nei secoli a venire nella riscoperta, condotta in chiave scientifica e potremmo dire anche archeologica, delle vestigia antiche. Nel corso del Medioevo gli abitanti di Tivoli si erano già visti impegnati in attività di sfruttamento delle antiche ville circostanti, prima fra tutte la villa dell’imperatore Adriano che sorgeva non lontano dalla via tiburtina, come cave di materiali da costruzione e tesoro di spolia architettoniche8. Fra le prime statue ad essere sottratte alla villa adrianea le fonti parlano dei due telamoni egittizzanti in granito rosso che con ogni probabilità dovevano decorare il portale d’ingresso del palazzo vescovile in piazza S. Lorenzo, poi piazza dell’Olmo (attuale piazza Domenico Tani). (figura 5) 



Figura 5 - Particolare di uno dei due telamoni in piazza S. Lorenzo, Tivoli. Willam Kent, 1709-1719, Victoria & Albert Museum, UK.



Nel 1779 furono trasferiti e donati per volontà di sua Eminenza Giulio Mattei Natali, allora vescovo della città, e del consiglio comunale di Tivoli a Papa Pio VI (1717-1799) in cambio della donazione alla comunità di ben 1000 scudi utili al rifacimento dei pubblici acquedotti cittadini. Quando furono sottratti alla villa non è dato saperlo con certezza, oggi sono custoditi ai lati d’ingresso della Sala a Croce Greca del Museo Pio Clementino. Questa però è un’altra storia.











Fonti Bibliografiche:


-Adembri, Benedetta (2006), “Elementi esotici nella decorazione dei giardini di Villa Adriana”, in Suggestioni egizie a Villa Adriana, Catalogo della mostra, Mondadori Electa, Milano 2006, pp. 15-19.


-Bresciani, Edda (2004), “I protagonisti italiani dell’Egittologia nascente”, in Il fascino dell’Egitto nell’Italia dell’Ottocento: la collezione di Cortona e la diffusione del gusto egittizzante, Atti della giornata di Studio – Cortona, 3 maggio 2003, pp. 35-46.


-Donadoni, Sergio - Curto, Silvio – Donadoni Roveri, Anna Maria (1990), L’Egitto dal mito all’egittologia, Fabbri – Bompiani – Sonzogno - Etas - Istituto Bancario San Paolo, Milano 1990.


-Ferruti, Francesco (2008), “I rapporti artistici e culturali tra Roma e Tivoli nella seconda metà del Cinquecento”, in Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d'Arte, 2008, pp. 5-51.


-Guidotti, Maria Cristina (2004), “Il primo nucleo di antichità egizie del museo di Cortona e il collezioniamo egizio nel Seicento e nel Settecento”, in Il fascino dell’Egitto nell’Italia dell’Ottocento: la collezione di Cortona e la diffusione del gusto egittizzante, Atti della giornata di Studio – Cortona, 3 maggio 2003, pp. 49-53.


-McDonald, William L. – Pinto, John A. (2002), Villa Adriana. La costruzione e il mito da Adriano a Luis I. Kahn, Mondadori Electa, Milano 2002.


-Rosati, Gloria (2004), “Da Alessandria d’Egitto a Cortona: le spedizioni di antichità di Mons. Guido Corbelli”, in Il fascino dell’Egitto nell’Italia dell’Ottocento: la collezione di Cortona e la diffusione del gusto egittizzante, Atti della giornata di Studio – Cortona, 3 maggio 2003, pp. 55-64.


NOTE:

1) Cfr. Adembri 2006, p. 15.

2) Cfr. Guidotti 2004, p. 49.

3) Si tratta dell’opera intitolata Hieroglyphiká dello scrittore egiziano Orapollo e scritta 

verosimilmente tra il II e il IV sec. d.C.

4) Cfr. Bresciani, 2004, p. 35.

5) Cfr. Rosati 2004, p. 55.

6) Cfr. S. Donadoni, S. Curto, A. D. Roveri 1990, p. 138.

7) Cfr. Ferruti 2008, p. 5.

8) Cfr. McDonald-Pinto 2002, p. 325.