Cioccolata, regali, cene romantiche e mazzi di rose rosse: la festa San Valentino, al giorno d'oggi, rappresenta l'apoteosi degli innamorati, il giorno in cui esprimere ciò che si prova nei riguardi della propria “metà”. Come ogni celebrazione, nasconde però un'origine profondamente dissimile da ciò che rappresenta odiernamente: scopriamola assieme.
Le origini remote
Ciò che viene oggi celebrato come San Valentino altro non è che la riduzione e cristianizzazione di rituali molto più antichi, così come abbiamo avuto modo di comprendere anche per altre festività. Il mondo cristiano, una volta assurto a dominatore assoluto del panorama religioso, si preoccupò di assorbire gli antichi aspetti in seno al mondo pagano, depurandoli da quelle caratteristiche licenziose che stridevano fortemente con la morale del nuovo credo. In generale, celebrazioni in onore della fertilità, volte a propiziarne il ritorno dopo le asperità del rigido inverno, hanno sempre interessato la sfera religiosa delle popolazioni antiche, desiderose di rendersi partecipi, con le loro azioni, al beneaugurante approssimarsi della stagione della vita, la primavera, quando ogni ciclo cosmico e naturale tornava al suo apogeo. Nel mondo celtico vi era Imbolc la cui data è tradizionalmente posta al nostro 2 di febbraio, collocata nel punto intermedio intercorrente tra il solstizio invernale e l'equinozio primaverile, durante la quale erano accesi fuochi purificatori e greggi e bestiame venivano benedetti: il ritorno della luce, con il progressivo aumentare della durata del giorno, simboleggiava chiaramente la ripresa dei meccanismi vitali del Creato. Il 6 febbraio cadeva la celebrazione della Luna in Grecia, la Dea Σελήνη-Selene chiamata in Atene Lanaea, protettrice delle donne libere e selvagge: un toro, rappresentante Διόνυσος-Dionysos, veniva sacrificato e sezionato in nove parti, delle quali una sarebbe stata bruciata e le restanti 8 utilizzate per il banchetto sacro. Le 9 parti totali rappresentavano il numero originario delle sacerdotesse orgiastiche della Luna, a loro volta simboleggianti le fasi attraversate dall'astro selenico (8 fasi più 1 parte destinata al sacrificio).
Festival dei Fuochi di Imbolc a Marsden, West Yorkshire, Inghilterra, 2 febbraio. |
(Per una trattazione più completa sulla festività di Imbolc e sulla trasformazione subita sino ai nostri giorni sino all'attuale celebrazione della Candelora si rimanda a un precedente articolo della nostra associazione, “Le Origini del Carnevale”, consultabile sulla pagina Facebook e sul sito internet.).
I Lupercalia
"Infatti la festa sacra dei Lupercali ebbe inizio per opera di Romolo e Remo, quando, esultanti per il permesso avuto dal loro avo Numitore, re degli Albani, di edificare una città nel luogo in cui erano nati, sotto il colle Palatino, già reso sacro dall’arcade Evandro, fecero, per esortazione del loro maestro Faustolo, un sacrificio e, uccisi dei capri, si lasciarono andare, resi allegri dal banchetto e dal vino bevuto in abbondanza. Allora, divisi in due gruppi, cinti delle pelli delle vittime immolate, andarono stuzzicando per gioco quanti incontravano. Il ricordo di questo giocoso rincorrersi intorno si ripete da allora ogni anno." (Val. Max., II, 2, 9)
Nell'antica Roma, nel periodo compreso tra il 13 e il 15 di febbraio, erano festeggiati iLupercalia, in onore dell'ancestrale Dio Fauno Lupercus. L'origine dei Lupercalia e del sodalizio sacerdotale dei Luperci era da attribuirsi, secondo alcuni autori come Ovidio e Dioniso d'Alicarnasso, all'arcade Evandro stabilitosi in età remote ai piedi del colle Palatino assieme alla sua gente, il quale perpetrò l'usanza di officiare un rito appartenente alle sua terre sin da epoche immemori: privi di abiti, coperti solo nelle zone intime dalle pelli appartenute agli animali sacrificati, gli abitanti della città di Pallanzio correvano forsennatamente attorno alPomerium (il confine sacro e inviolabile della città), onorando massimamente il Dio Πάν-Pannel suo aspetto di Λύκειος-Liceo, ovverosia “dei lupi”, epiteto condiviso con altre divinità come Zeus o Apollo.
Secondo altre fonti, riportate dagli stessi Ovidio e Dioniso d'Alicarnasso, da Valerio Massimo e Plutarco, i Lupercalia commemoravano lo straordinario allattamento, da parte di una lupa che da poco aveva partorito, di Romolo e Remo, i due gemelli di divina stirpe, figli della vestale Rhea Silvia e del Dio Marte: tale rito veniva officiato presso la grotta detta Lupercale ubicata alle pendici del colle Palatino, dove i due fratelli nipoti del Re degli Albani Numitore avevano vissuto in gioventù assieme alla fiera, la quale li aveva salvati dalle acque del Tevere. Una tradizione riportata da Ovidio vuole che al tempo di Re Romolo, una terribile sterilità colpì le donne: domandati numi alla Dea Iunonis Lucinae-Giunone Lucina nel suo bosco sacro sull'Esquilino, ella rispose attraverso lo stormire delle fronde che queste avrebbero dovuto esser penetrate da un capro sacro al fine di scacciar via la sterilità. Fortunatamente per loro, un augure etrusco interpretò correttamente l'oracolo sacrificando un caprone e ricavando dalla sua pelle delle strisce con le quali fustigò la schiena delle donne; dopo 10 mesi lunari, esse partorirono. Il collegio sacerdotale dei Luperci deteneva il compito di celebrare questa ancestrale festività, ogni anno, il 15 di febbraio: qualunque possa essere l'origine è di certo da inquadrarsi in un periodo antecedente la nascita e la fondazione dell'Urbe, essendo un rituale dai connotati estremamente arcaici e tipici di ere molto remote.
Di notevole interesse è l'estrema somiglianza dei Lupercalia romani con il culto falisco degliHirpi Sorani (in lingua sabina “hirpus” significava per l'appunto “lupo”), il quale sembra venisse praticato sul monte Soratte: tali rituali venivano celebrati all'incirca verso la metà di Febbraio poiché in questo mese, percepito come il climax del gelido periodo invernale, i lupi affamati si avvicinavano alle greggi in cerca dei giovani agnelli appena partoriti (notare la fortissima e profonda somiglianza magico-sacrale con il celtico Imbolc) e possedevano dunque una valenza sia atta al praticare una forma di magia simpatica volta alla salvaguardia degli ovili, sia di rinnovamento della fertilità in vista dell'approssimarsi del nuovo anno che, come analizzato nei precedenti articoli, vedeva il suo principio il 1° giorno di marzo, aspetto comune in moltissime popolazioni sia indoeuropee sia semitico-accadiche. Il lupo, animale di abitudini prevalentemente notturne e predatorie, fu percepito dai popoli pastorali sin dai tempi più antichi come una creatura soprannaturale legata al mondo ctonio e della morte, con il suo ululato messaggero di sventure e disgrazie.
A tal proposito i moderni studiosi di glottologia ritengono che il termine “Lupercalia” possa esser fatto derivare da “Lupus-arcere”, ovverosia “scacciare il lupo”, da correlarsi dunque alla particolare natura del Dio Fauno Luperco il quale diverrebbe (l'allontanatore) “dei lupi”; altre ipotesi ritengono di poter ricavare l'origine del termine “Lupus-Hircus” equivalente a “Lupo-Capro”, da ricondursi alla doppia natura ferina dei Luperci, coperti solo nelle pudenda delle pelli dei capri sacrificati. Sappiamo che il sodalizio dei Luperci era suddiviso in due fazioni, i Fabiani compagni di Remoe i Quinctiales fedeli a Romolo: in età tardo repubblicana a queste due schiere ne venne aggiunta una terza, gli Iulii, in onore del Dictator Perpetuo Giulio Cesare. Sembra che iLuperci fossero scelti tra i membri delle famiglia aristocratiche con il prerequisito fondamentale della gioventù: la festa veniva celebrata dalle sopracitate schiere, ognuna composta da 12 elementi (chiaro rimando alla sacralizzazione della solarità regale di questi rituali) e posta sotto le direttive di un soloMagister.
Studiosi come il Dumézil e il Mommsen ipotizzarono che tale suddivisione originariamente dovesse essere ricondotta all'appartenenza dei membri del sodalizio allegentes dei Fabii e dei Quinctii e, ad avvalorare tale ipotesi, notarono che il praenomen Kaesoera diffuso solamente all'interno delle due gentes di cui sopra, da collegarsi a Februis Kaedere, da intendersi come “tagliare (caedere) le strisce (februa) della pelle dei capri sacrificati”. A riguardo del praenomen, di notevole interesse è che il sistema dei trianominafu tipico solamente dalla Roma tardo-repubblicana in poi, in quanto in età arcaica e regia era costumanza delle genti latine utilizzare il solo nomen, al quale si aggiunse poi il praenomen di tradizione prettamente sabina: dunque la leggendaria correggenza tra l'ecista Romolo e il sabino Tito Tazio trova nella glottologia onomastica una sua veridicità, così come la somiglianza tra i Lupercalia e il rito falisco degli Hirpi Sorani sembra basarsi su equivalenti conferme. Secondo Plutarco, il giorno dei Lupercalia venivano iniziati due nuovi giovaniLuperci, uno per ogni fazione, nella sacra grotta del Lupercale: a seguito del sacrificio di capre e di un cane (ciò non deve stupire, se effettivamente i Luperci furono coloro che “scacciano i lupi”) e in presenza del Flamen Dialis, i due iniziati venivano marchiati sulla fronte con una lama intrisa del sangue sacrificale, lavato via subito dopo attraverso l'ausilio di un batuffolo di lana imbevuto di latte; terminato ciò, i nuovi Luperci dovevano prorompere in una fragorosa risata. Non possediamo notizie certe sulla durata del sacerdozio ma, poiché ogni anno venivano iniziati due nuovi membri, è logico supporre che due tra i più anziani lasciassero il posto ai neofiti o che tale avvicendamento riguardasse solo i “giovani” prendenti parte alla corsa attorno alle pendici del Palatino e che gli “anziani” mantenessero dunque la loro posizione gerarchica fino alla morte.
La valenza di queste ritualità dovrebbe dunque ricercarsi nell'iniziazione dei pueri al mondo degli adulti, un passaggio esemplificato attraverso una morte e una rinascita simboliche, dove il sangue rappresentava la precedente condizione sfociante nella “morte” mentre il latte, il nutrimento del neonato, la nuova “vita” che sorgeva in seno al collegio sacerdotale, possessore dei Mysteria. A seguito del sacrificio, aiLuperci venivano fatte indossare le pelli appartenute alle capre immolate, dalle quali si ricavavano delle strisce denominate anche amiculum Iunonis da utilizzarsi come fruste e, dopo aver consumato un abbondante banchetto, i giovani sacerdoti iniziavano la loro corsa saltando, battendo con gli scudisci ircini sia il suolo sia coloro che incontravano durante il rituale, in particolar modo il ventre o i palmi delle mani delle donne al fine di propiziarne la fertilità: la corsa dei Luperci possedeva dunque la valenza di una lustratio (“purificazione”) estesa sia al popolo che all'abitato, una purificazione comune a moltissime festività officiate nel mese di febbraio. In questa fase della celebrazione, i sacerdoti impersonificavano sia la potente forza sessualmente feconda del capro sia i lupi che gravitavano al di fuori dell'abitato: il movimento rotatorio, chiassoso e sfrenato avrebbe dovuto creare una sorta di mistica, invisibile protezione attorno alle dimore umane proteggendole dagli assalti delle forze ctonie, mentre il sacrificio dei capri avrebbe avuto la funzione di placare la fame dei lupi i quali, percepiti come araldi della divina natura selvaggia incarnata dal Fauno Luperco, nel giorno a loro dedicato irrompevano furiosamente nella dimensione umana riconducendola al caos primordiale, appartenente alle selve e ai boschi.
Il Dio Fauno era una divinità tipicamente pastorale strettamente legata alla sopravvivenza della comunità attraverso la salvaguardia delle greggi poiché possedeva la duplice natura di “allontanatore dei lupi” e di lupo egli stesso: la sua dimora, il Santuario Lupercale, sorgeva al di là dell'abitato ai bordi della paludosa area del Velabro, la cui acquitrinose distese ben simboleggiavano la componente infera e ctonia della divinità. Di estremo interesse è un episodio legato ai Luperci Iulii, terzo schieramento voluto da Caio Giulio Cesare e abolito subito dopo la sua morte: durante iLupercalia del 15 febbraio dell'anno 44 antecedente l'era cristiana il luperco Antonio, degliIulii, più volte offrì, abbandonando la corsa rituale alla quale era destinato, un serto d'alloro avvolto attorno a un diadema a Cesare, il quale era seduto sui rostri del Foro indossando la veste trionfale, quasi come a volerne ufficializzare la regalità. Il dittatore rifiutò molte volte con sdegno, gesto che suscitò le acclamazioni di un popolo sempre più innamorato della propria guida politica, e per lungo tempo si protrasse la schermaglia, con Cesare che alla fine si allontanò dichiarando che offriva la sua gola (la sua vita) a chiunque la desiderasse, ordinando che la corona fosse recata come offerta al tempio di Giove in Campidoglio.
Questa cronaca offertaci da Plutarco (Antonio, 12, 1 – 6) potrebbe conservare la memoria di un aspetto intrinseco dei Lupercalia del quale non ci è giunta alcuna testimonianza diretta: una persistenza dell'eco di un antichissimo passato quando, attraverso corse sfrenate e sacrifici, si testava la virilità e il vigore del nuovo Rex Sacrorum, il giovane sovrano scelto dagli Dei con l'approssimarsi del nuovo anno che avrebbe guidato il suo popolo sostituendo il vecchio Re, forse destinato a un crudele sacrificio devozionale. La caratteristica portante della nudità, in seguito parzialmente civilizzata attraverso l'ausilio di pelli caprine coprenti le zone intime, le frustate propizianti fertilità, le membra cosparse di grasso, il volto coperto da una maschera di fango dalle fattezze belluine e il sangue inquadrano questi particolari rituali nella sfera del selvaggio, dell'irrazionale e delle forze primordiali della natura: l'eccezionale presenza delFlamen Dialis, tra i cui severissimi divieti vi era l'assoluta proibizione di essere in presenza di capre, simboleggerebbe dunque la forza legislatoria della comunione tra uomini e Dei volta a controllare l'impeto furastico e privo di freni degli spiriti divini operanti per volere del Dio Fauno, significante il voler sì attingere alle necessarie forze rinnovatrici del Creato senza però abbandonare la faticosa opera di civilizzazione intrapresa, assolutamente imprescindibile affinché si scongiurasse un ritorno alla violenza barbarica delle epoche trascorse. I Lupercaliafurono una delle ultime grandi festività pagane a esser abolite dai cristiani tanto che papaGelasio I, nel V secolo dell'era cristiana (492-496), scrisse nel 495 un trattato confutatorio nei confronti di Andromaco, l'allora princeps senatus, rimproverandolo aspramente a causa della nutrita partecipazione dei cristiani alla festa: è probabile che già a quel tempo i Lupercaliaavessero perduto qualunque valenza sacrale e che la loro rilevanza fosse nulla più di arcaico folklore, del tutto scevri dell'ancestrale memoria che custodirono per più di un millennio.
La festa di San Valentino
Come poc'anzi scritto il responsabile dell'abolizione, o trasformazione, dei Lupercalia fu papaGelasio I, tradizionalmente riconosciuto come colui che mutò tale festività nella celebrazione di San Valentino, posta al 14 febbraio, con l'evidente scopo di cristianizzare anche una delle ultime sacche di reminiscenza pagana. Il santo in questione, Valentino (Terni 176-Roma 14 febbraio 273) fu martire e vescovo romano. La menzione più antica al suo riguardo è rintracciabile nel Martyrologium Hyeronimianum, documento ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa e risalente ai secoli V-VI, indicante il suo nome e la data della morte. Anche la Passio Sancti Valentini, risalente all'incirca al VII secolo, fornisce particolari circa le torture subite, la sua morte avvenuta per decapitazione notturna, la sua sepoltura a opera dei discepoli Proculo,Apollonio ed Efebo, a loro volta successivamente martirizzati e sepolti. Valentino nacque da una famiglia patrizia a Interamna, l'odierna Terni, nel 176 circa, venendo consacrato a vescovo cittadino nel 197, alla giovane età di 21 anni. Sembra che nel 270 si trovasse in Roma su invito dell'oratore Cratone, al fine di coadiuvarlo nella missione di convertire al vangelo i pagani: l'Imperatore Marco Aurelio Flavio Valerio Claudio, detto “Il Gotico”, tentò di farlo desistere dalla predicazione e lo invitò ad abiurare la fede cristiana. Valentino non solo si rifiutò ma provò a convertire l'Imperatore il quale, nonostante restò fedeli ai suoi Dei, risparmiò la vita al vescovo affidandolo alle cure di una nobile famiglia romana. Valentino andò incontro al suo destino poco dopo, quando l'Imperatore Aureliano succedette a Claudio II: poiché le persecuzioni contro i cristiani non accennavano a diminuire il vescovo venne arrestato e condotto sulla via Flaminia, in piena notte per paura che la popolazione potesse schierarsi in sua difesa, flagellato e decapitato il 14 febbraio del 273, alla veneranda età di 97 anni, per mano del soldato Furius Placidus.
La festa di San Valentino
San Valentino battezza Santa Lucilla, Jacopo Bassano, 1575, museo civico di Bassano del Grappa. |
Come poc'anzi scritto il responsabile dell'abolizione, o trasformazione, dei Lupercalia fu papaGelasio I, tradizionalmente riconosciuto come colui che mutò tale festività nella celebrazione di San Valentino, posta al 14 febbraio, con l'evidente scopo di cristianizzare anche una delle ultime sacche di reminiscenza pagana. Il santo in questione, Valentino (Terni 176-Roma 14 febbraio 273) fu martire e vescovo romano. La menzione più antica al suo riguardo è rintracciabile nel Martyrologium Hyeronimianum, documento ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa e risalente ai secoli V-VI, indicante il suo nome e la data della morte. Anche la Passio Sancti Valentini, risalente all'incirca al VII secolo, fornisce particolari circa le torture subite, la sua morte avvenuta per decapitazione notturna, la sua sepoltura a opera dei discepoli Proculo,Apollonio ed Efebo, a loro volta successivamente martirizzati e sepolti. Valentino nacque da una famiglia patrizia a Interamna, l'odierna Terni, nel 176 circa, venendo consacrato a vescovo cittadino nel 197, alla giovane età di 21 anni. Sembra che nel 270 si trovasse in Roma su invito dell'oratore Cratone, al fine di coadiuvarlo nella missione di convertire al vangelo i pagani: l'Imperatore Marco Aurelio Flavio Valerio Claudio, detto “Il Gotico”, tentò di farlo desistere dalla predicazione e lo invitò ad abiurare la fede cristiana. Valentino non solo si rifiutò ma provò a convertire l'Imperatore il quale, nonostante restò fedeli ai suoi Dei, risparmiò la vita al vescovo affidandolo alle cure di una nobile famiglia romana. Valentino andò incontro al suo destino poco dopo, quando l'Imperatore Aureliano succedette a Claudio II: poiché le persecuzioni contro i cristiani non accennavano a diminuire il vescovo venne arrestato e condotto sulla via Flaminia, in piena notte per paura che la popolazione potesse schierarsi in sua difesa, flagellato e decapitato il 14 febbraio del 273, alla veneranda età di 97 anni, per mano del soldato Furius Placidus.
La causa scatenante, per meglio dire il pretesto, fu l'aver infranto il divieto, da parte di Valentino, di celebrare matrimoni tra cristiani e pagani: l'anziano sacerdote aveva infatti unito in sposalizio il centurione pagano Sabino e la cristianaSerapia, malata da tempo e oramai morente. Vinte le resistenze della famiglia di Serapia,Valentino unì in matrimonio i giovani, con Sabino che chiedette di non esser mai più separato dalla sua amata: venne battezzato e i due innamorati morirono assieme poco dopo esser stati benedetti, mentre Valentino conobbe il martirio a seguito della cerimonia. Le sue spoglie, dopo la tragica uccisione, furono deposte al LXII miglio della via Flaminia, sulla collina di Terni, nei pressi di una necropoli: sul luogo, nel IV secolo, venne edificata una basilica. Per tale ragione, utilizzando come sfondo una storia probabilmente dai connotati romanzati e volutamente tragici, tipici dello stile compositivo dei martirologi, papa Gelasio I mutò il periodo festivo dei Lupercalia nella santità della festa degli innamorati, il cui patrono divenne colui che offrì la sua vita in nome dell'amore, puro e incontaminato, di due novelli sposi il cui desiderio di restare assieme per sempre trovò compimento nella pietà del matrimonio cristiano.
Fonti bibliografiche:
- George Dumézil, “La Religione Romana Arcaica”, Bur Rizzoli 1997;
- Sir George James Frazer, “Il Ramo d'Oro”,Studio sulla magia e sulla religione, Newton Compton 2006;
- P. Tacchi Venturi, “Storia delle Religioni”, UTET 1954;
- Henri-Charles Puech “Storia delle Religioni”, Universale Laterza, 1978:
“Il mondo classico”;
“Il cristianesimo delle origini”;
- Friedhelm Winkelmann, “Il Cristianesimo delle origini”, edizioni Il Mulino, 2004;
- Gerardus van der Leeuw, “Fenomenologia della Religione”, Universale Scientifica Boringhieri, 1975;
Questo articolo è protetto dalla Legge sul diritto d’autore. Proprietari del Copyright sono l’A.P.S. ArcheoTibur e l’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Fonti bibliografiche:
- George Dumézil, “La Religione Romana Arcaica”, Bur Rizzoli 1997;
- Sir George James Frazer, “Il Ramo d'Oro”,Studio sulla magia e sulla religione, Newton Compton 2006;
- P. Tacchi Venturi, “Storia delle Religioni”, UTET 1954;
- Henri-Charles Puech “Storia delle Religioni”, Universale Laterza, 1978:
“Il mondo classico”;
“Il cristianesimo delle origini”;
- Friedhelm Winkelmann, “Il Cristianesimo delle origini”, edizioni Il Mulino, 2004;
- Gerardus van der Leeuw, “Fenomenologia della Religione”, Universale Scientifica Boringhieri, 1975;
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