Benvenuti nel sito ufficiale dell'A.P.S. ArcheoTibur di Tivoli (RM).NUOVO ANNALES VOL. III ANNO IV DISPONIBILE

I Padri fondatori e gli eroi micenei.

A cura di dott. Giovanni Di Braccio, sig. Christian Doddi, dott. Stefano Del Priore.


I sala Tiburtina, Tiburto, Villa D'Este.



Nella superba e orgogliosa città più che trimillenaria, in pochi tra i sui abitanti, nel passato e presente, conoscono le gesta leggendarie ed eroiche dell'uomo che diede inizio all'entrata trionfale di Tibur nella grande Storia dell'Occidente, che tanto ha influenzato ed influenza il pensiero, la mentalità e le concezioni di vita di milioni di persone. Stiamo parando dell'eroe peloponnesiaco, il fondatore o l'ecista, Tiburto, che Gaio Giulio Solino (scrittore latino 210-258 d.C.) descrive come figlio di Catillo, progenie del mitico indovino argolide Anfiarao, figlio a sua volta di Oicle il tebano, colui che contro la sua volontà partecipò alla spedizione disastrosa dei cosiddetti “Sette contro Tebe”. Tuttavia nel testo, Collectanea rerum Memorabilium, molto in voga nel periodo bassomedioevale sotto il nome di De Mirabilius Mundi si notano espliciti riferimenti a testi più antichi, nel caso specifico alle Origines, II libro, di Marco Porcio Catone (234 – 149 a.C.) detto il Censore. “Il sapiente” afferma che Catillo, fuggito con il mitico Evandro, figlio del Dio Ermes e della Ninfa Carmenta, scappa con una parte della gioventù argolide sfuggendo alla guerra civile che insanguinava la Penisola Elladica, nello scontro tra Eteocle e Polinice, dopo la guerra tebana. Giunti nel Lazio, a seguito di un lungo viaggio irto di pericoli e peripezie, la truppa argolide si divise: una parte seguì Evandro, che divenne re della città di Pallante o Pallantia (nome dato in onore del figlio che verrà ucciso da Turno) sul Palatino, mentre un'altra si diresse nel territorio tiburtino per fondare una nuova città. Tuttavia in questa fase ( 1215 a.C.) secondo tradizioni nate a carattere orale, poi successivamente messe per iscritto e reinterpretate in parte o totalmente, la città, denominata in origine Sykelikòn, era abitata dal popolo dei Siculi, che ivi viveva sin da epoche remote.



I sala tiburtina, Tiburto sconfigge i Siculi, Villa D'Este.



I sala tiburtina, Tiburto costruisce la città. 




I sala tiburtina , Tiburto in atto di fondatore.


Secondo Solino e Catone vi fu uno scontro tra gli esuli di Argo e i Siculi, che portò alla vincita i greci-micenei e all'esilio ed emigrazione in massa, sino alle sponde della Sicilia,degli sconfitti Siculi, eredi dei leggendari Enotri. Nella succinta fase guerresca emerge la figura di Tiburto, il più grande dei tre figli di Catillo (gli altri sono i gemelli oriundi Catillo Iuniore e l'aspro Coras, secondo Virgilio, nel testo epico dell'Eneide, libro VII, 670) artefice della lotta risolutiva contro i Siculi e fondatore di Tibur per rispetto alla sua maggior età.
Virgilio nell'Eneide descrive, molto brevemente, le vicende che accompagnarono l'eroe argolide durante la sollevazione della Terra d'Ausonia, capeggiata dai Rutuli di Turno, contro gli esuli troiani rispondenti agli ordini dell'anchiseide divino, poiché secondo Omero Enea fu figlio del prode Anchise e della Dea Venere, in cerca di terra abitabile dopo un lunghissimo viaggio che dalla Rocca di Pergamo, la devastata Troia, lo portò ad approdare sulle sponde meridionali del Lazio, precisamente a Lavinium.
Il “maestro” del Sommo Dante Alighieri nel testo afferma che Tiburno, alleatosi con gli Ausoni, si schierò apertamente contro i Troiani, intervenendo in prima persona in una formazione di battaglia a falange, fornendo pieno appoggio all'aspro Messàpo, capo degli Equi e figlio di Nettuno, contro i cavalieri Etruschi posti al fianco e alleati degli eneidi (Eneide libro XI, 519). Si narra che morì in tarda età senza eredi, pressapoco nel medesimo periodo di Enea, e dopo aver consacrato la città al Dio Ercole affidò il governo a una Curia di anziani.

Omero e l'armatura dei Micenei

I Micenei, i valorosi Re Guerrieri cantati da Omero nei suoi Poemi Immortali, facevano dell'Arte della Guerra una ragione di Stato : l'Età Eroica, dove le sorti della battaglia erano spesso decise dallo scontro tra i campioni dei rispettivi schieramenti, un'età dove il singolo , spesso di natali divini, contava molto di più del collettivo, dove il condottiero, il Wanax (il Re, il comandante) riassumeva in sè tutte le caratteristiche del Mesocosmo, un ponte di collegamento tra Uomini e Dei.
Il potente Agamennone era appellato " Poimen Laon", ossia "Pastore di Popoli" , come ad evidenziare chiaramente quale fosse la concezione del Re, dell'Eroe, nella cultura micenea. La panoplia, ossia l'armamentario al completo comprendeva spada (ξίφος-xìphos), lancia(δορυ-dòry) e nella difesa elmo (κράνος-krànos),scudo (ἀσπίς-aspìs), corazza (composta da due pezzi, θώραξ-thórax e ἐπιβραξιωνίος-epibraxiōníos, proteggenti rispettivamente il petto e il ventre), bracciali (ἐπιπηχύον-epipēkhýon), schinieri (κνημίς-knēmìs) e le protezioni per le caviglie (ἐπισφύριον-episphýrion) e per i piedi (ἐπιποδίον-epipodíon). Uno degli elementi distintivi, o perlomeno presente in quasi tutte le immagini di battaglie di tale periodo, è l'imponente scudo a torre, o ad "otto" che proteggeva completamente il guerriero. Le due tipologie sembra non avessero una marcata distinzione dal punto di vista sociale o funzionale e tendettero a convivere per gran parte della loro storia, anche se il tipo ad "otto" perdurò e sopravvisse allo scudo torre. Basandosi sulle raffigurazioni a noi pervenute, fu un possente scudo con armatura in legno, rivestito da pelli bovine sovrapposte : la torre aveva forma rettangolare con un prototipo del semi umbone superiore sporgente a protezione del viso, mentre quello ad "otto", come facilmente si evince dal nome stesso, l’aspetto di due scudi rotondi sovrapposti e collegati fra loro da una strozzatura centrale(tale tipologia ebbe anche notevole diffusione e fortuna tra le popolazioni celtiche centinaia di anni dopo). Lo scudo torre, nelle armature da parata con funzione sacrale o cerimoniale o nei guerrieri maggiormente di spicco, poteva essere rivestito di lamine di bronzo dorato, smaltato e decorato con motivi narranti eventi mitologici, a voler maggiormente tracciare una linea di distinzione tra il Re-Eroe ed i semplici mortali. Lo scudo veniva generalmente sorretto con una striscia di cuoio., il telamon cingente il petto, e lasciato ricadere sul fianco sinistro in atteggiamento da battaglia oppure fissato sulla la schiena durante le marce. La tecnica d'utilizzo prevalente dovette essere con lo scudo appeso sul fianco e usato in combinazione con una lancia pesante usata a due mani, com'è possibile vedere su di un affresco della West House di Thera. Molto probabilmente questi scudi erano dotati anche una maniglia che permetteva al guerriero di controllarne al meglio i movimenti ed eventualmente d'impugnarlo, così come avverrà poi per gli scudi di epoca storica. Un anello in oro dalla tomba IV di Micene mostra chiaramente su uno di questi scudi un quadrato cucito al centro, assai probabilmente interpretabile come la cucitura della maniglia di supporto precisamente nel punto ove in futuro sarà collocato l’umbone. Degna di nota è la descrizione omerica della nuova panoplia, ed in particolare dello scudo, che il Dio Efesto forgia per l'eroe Achille, dopo intercessione della di lui madre Teti :

" Ivi ei fece la terra, il mare, il cielo
E il Sole infaticabile, e la tonda
Luna, e gli astri diversi onde sfavilla
Incoronata la celeste volta,
E le Pleiadi, e l’Iadi, e la stella
D’Orïon tempestosa, e la grand’Orsa
Che pur Plaustro si noma. Intorno al polo
Ella si gira ed Orïon riguarda,
Dai lavacri del mar sola divisa." (Omero, Iliade, XVIII, rr. 483-48 )


La tradizione epica trasmette anche indicazione sul nome di questa particolare tipologia, poiché Omero lo chiama σάκος nel VII canto dell’Iliade descrivendo lo scudo di Aiace Telamonio mentre Esiodo nell’Aspis, appellò φερεςσακής il guerriero che se ne fregiava. La corazza pesante, come osservabile nel raro esempio a noi pervenuto della "corazza di Dendra", rinvenuta nel sito archeologico di Dendra, nell'Argolide, si compone di un'armatura completa in lamine di bronzo, con spallacci e barbozza a girocollo e completata di un elmo in zanne di cinghiale ( esattamente come l'elmo di Odisseo, stando a quanto ci narra il Mito). Precedentemente alla scoperta della panoplia di Dendra, porzioni delle corazze bronzee risalenti al termine del periodo miceneo furono rinvenute a Micene, Tebe e Festo mentre scaglie bronzee furono scoperte a Troia e nella stessa Micene, a dimostrazione che tale equipaggiamento era ampiamente diffuso in tutto il Mediterraneo orientale ed nel Medio Oriente. La corazza aveva una duplice funzione : fungeva sia da protezione per il guerriero sia da simbolo volto a marcare lo status sociale di chi la indossava. Particolarità degna di nota è rappresentata dalle spade micenee : infatti rappresentarono quasi un unicum nella storia delle armi da taglio nell'antichità : erano particolarmente allungate e con cordoli poco resistenti, risultando quindi molto fragili se usate di taglio. Da ciò se ne deduce che il loro uso primario dev'essere stato quindi stato quello di armi da affondo pensate per colpire rapidamente di punta, analogamente alle spade dette appunto “da stocco” usate in Europa a partire dal XVI secolo. Inevitabilmente, la tipologia di un’arma influenzava lo svolgersi di un combattimento , dunque si ritiene verosimile che una tenzone fra due spadaccini micenei o minoici possa esser stato molto simile ad un duello alla spada del XVII o XVIII secolo, un combattimento composto di movimenti rapidi e veloci , basato in gran parte sulla capacità di schivare i colpi dell’avversario e di replicare con fendenti di punta letali direzionati negli angoli morti della difesa avversaria. In conclusione, l’associazione più comune nello schieramento bellico sembrerebbe esser stata quella che affiancò al "feressakes" un arciere. Infatti, nel mondo miceneo l’arco non fu vittima dei pregiudizi che lo caratterizzeranno successivamente in età classica quale arma barbarica e orientale ma appartenne invece a pieno titolo all’armamento eroico (si pensi solo al caso di Odisseo, ad esempio). Alcune immagini pervenuteci da Micene rappresentano una chiara testimonianza del funzionamento del sopracitato schema : il "feressakes" creava una barriera protettiva con lo scudo torre, forse anche ancorandolo a terra come avvenne poi per i grandi pavesi medioevali , mentre l’arciere rimaneva riparato dietro lo scudo per poi sortire, colpire e rientrare immediatamente dietro la protezione approfittando dell'estrema mobilità concessagli dalla leggerezza delle sue vesti , poiché gli arcieri indossarono verosimilmente solo elmo e perizoma,o più raramente una corazza di lino. A riprova di ciò, le immagini dei sigilli micenei corrispondono perfettamente alla descrizione dell’attacco congiunto di Aiace e del suo fratellastro Teucro descritto in Omero.

Fonti bibliografiche:

-Ginafranco Madddoli, Universale LATERZA, “La civiltà Micenea, guida storica e critica”, 1977;
-Publio Virgilio Marone, “Eneide”;
-Omero, “Odissea”;
-Diodoro Siculo, “Bibliotheca Historica”;
-Dionisio d'Alicarnasso, “ Ῥωμαικὴ ἀρχαιολογία” o “Antichità Romane”.

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